Intervista: A Toys Orchestra

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di Ercole Gentile

Per A Toys Orchestra Berlino ha senso. Lo ha l’Europa in generale, il voler cercare di legittimare quanto di enorme fatto in Italia per una band che scrive e canta in inglese. Oltrepassare i confini del Belpaese un passo alla volta, come è stato anche in Italia, dove Enzo Moretto e soci hanno saputo evolvere step by step.

Il loro ultimo album Midnight (R)evolution del 2011 li ha portati ancora più in alto, fino alla televisione come resident band del programma di Fabio Volo ‘Volo in diretta’ su RaiTre. Già, la tv. Croce e delizia per tanti artisti ed anche per loro. Di questo, del nuovo album, di Berlino, di un tour commemorativo e di tanto altro abbiamo parlato in un cafè di una via di Prenzlauer Berg, dove i Nostri hanno appena finito di incontrare il team di produttori che lavorerà al loro prossimo album.

Partiamo proprio dal prossimo disco allora e dal team che lavorerà con voi…

“Uno di loro è Francesco Donadello (ex batterista dei Giardini di Mirò, nda), che ha lavorato con noi in tutti i nostri precedenti capitoli, ad eccezione del primo, che era molto casalingo – ci racconta Enzo -. Da qualche anno Francesco si è trasferito a Berlino ed ha messo in piedi uno studio davvero importante e quindi abbiamo immediatamente pensato di contattarlo e capire se poteva introdurci anche ad altri produttori che avessero un’ottica diversa rispetto a quella italiana. Non per una questione ‘discriminatoria’ ovviamente, ma semplicemente perchè abbiamo voglia di dare un respiro diverso al nuovo capitolo discografico. Abbiamo quindi incontrato Niels Zuiderhoek, produttore olandese che ad un primo impatto ci è piaciuto molto e con il quale ci stiamo trovando in sintonia”.

Ed in effetti dal Vox-Ton Studio c’è passata gente come Moderat, Efterklang, Agnes Obel, Johann Johannson e molti altri. Una garanzia. Altri dettagli? Tempi? Ospiti speciali?

“Dovremmo entrare in studio a gennaio. Al momento ancora non sappiamo se ci saranno ospiti, ma è un’eventualità che non escluderei. Quando andremo in pre-produzione o addirittura in fase di registrazione, allora possono venire in mente idee. Al momento i pezzi sono ancora in versione demo, ma banalmente posso dire che sarà un lavoro molto diverso dai precedenti, crediamo di avere dei brani molto molto validi. E poi questa è una città talmente viva che penso potranno esserci delle belle sorprese”.

Appunto. Arriviamo a Berlino. Ok, qui c’è Donadello con il quale avete un rapporto molto stretto, ma provocatoriamente vi chiedo… non è che volete conquistare l’Europa?

Bé nella musica 2+2 fa sempre 5, quindi venire a registrare a Berlino non è garanzia di poter fare qualcosa in Europa. Sicuramente è un primo passo, anche a livello fisico, e ci permette di andare incontro ad alcune strade che potrebbero aprirsi grazie al lavoro del nostro management. Intanto siamo qui, poi starà a noi proporci nel modo giusto. Ci vogliamo provare. In Italia abbiamo fatto tanto (e vogliamo ancora fare), ma certo mettere un piede in Europa è una nostra ambizione”.

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In Italia spesso quando si parla di voi, vi si cita come un esempio. ‘Se canti in inglese il massimo che si può raggiungere sono i livelli di A Toys Orchestra’. Anche qui, provocatoriamente, vi chiedo: è possibile fare di più o quello che voi avete fatto è effettivamente il top?

Difficile dirlo. Ad oggi pare che noi abbiamo toccato il cielo con un dito. Non era semplice in una nazione nella quale cantare in inglese non è così accettato e  devo dire, senza falsa modestia, che abbiamo raggiunto ottimi risultati. Basti pensare al numero dei concerti che abbiamo fatto e mi viene la pelle d’oca. Abbiamo lavorato in televisione, abbiamo suonato sul palco del Primo Maggio, ricevuto premi e diciamo che siamo riusciti a raggiungere il livello di quelle band che fanno il nostro stesso lavoro però in italiano.

Dire però che tutto è stato fatto mi sembra triste. Non penso che siamo arrivati da nessuna parte, abbiamo iniziato con il piede giusto, siamo in corsa, ma c’è ancora spazio per fare di più.

Tra l’altro – interviene Raffaele Benevento, polistrumentista anche lui fondatore insieme a Enzo e Ilaria del progetto – “non abbiamo punti di riferimento, perchè nessuna band che canta in inglese prima di noi ha fatto tanto. Ma tutto è successo a step ed ogni volta pensiamo ‘di più non si può fare’ e invece con la giusta dose di ‘cazzimm’ come si dice da noi, ce la si fa”.

Insomma il ruolo di pionieri però lo avete recitato, questo è innegabile…

“Si, siamo un po’ dei pirati, perchè non ci possiamo accorpare in nessuna vera scena. Magari con alcune band, come ad esempio Zen Circus, abbiamo diviso numerose volte il palco, ma non condividiamo la lingua e nemmeno lo stile, noi stiamo esplorando un territorio molto più pop. Poi è vero che nel microcosmo esistono tante altre realtà di qualità, ad esempio i Jules Not Jude (con i quali Moretto ha collaborato per un brano del loro nuovo album The Miracle Foundation, nda), che comunque si avvicinano al nostro mondo. Indubbiamente non è un territorio semplice nel quale muoversi. Mi fa molto incazzare quando mi dicono che cantare in inglese è più facile. Sicuramente non in Italia”.

Avete mai pensato di trasferirvi all’estero, visto appunto le vostre caratteristiche e la vostra ambizione europea?

“E’ un pensiero che ci viene spesso. Siamo ingolositi e da buoni italiani ‘piagnoni’ ci accorgiamo di alcune differenze pazzesche a livello strutturale, anche se non di entusiasmo. Su questo credo che l’Italia sia ad altissimi livelli: basti pensare che da noi un gruppo straniero ha sempre garantito l’alloggio, cosa che all’estero non è per nulla scontata se non a certi livelli.

Detto ciò, vivere all’estero sarebbe uno stimolo, è innegabile. Ovviamente se l’Europa dovesse diventare una nostra zona di lavoro è chiaro che ci penseremmo seriamente”.

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E dove vi spostereste?

“Diciamo che Berlino sicuramente non sarebbe un’ipotesi da scartare. E’ una città che ci affascina molto. Poi certo quando siamo stati in Belgio ed in Olanda abbiamo scoperto anche lì delle realtà molto vive che ci hanno ingolosito, per la competenza che abbiamo trovato e perchè la musica viene considerata un lavoro. In Italia solo se vai in televisione sembri legittimato.

E poi – aggiunge Ilaria – ho trovato un’attenzione incredibile verso la musica. Ieri abbiamo suonato al Reeperbahn Festival ad Amburgo e la gente era incuriosita ad ascoltarci. Anche la fascia d’età è più alta, non ci sono solo studenti a vederti.  C’è meno diffidenza, c’è una curiosità genuina, mentre in Italia si ha sempre bisogno di instaurare un rapporto con il musicista”.

Ecco, a proposito di televisione. Com’è stato lavorare al programma di Fabio Volo su RaiTre? Sicuramente vi ha dato una visibilità diversa rispetto al consueto pubblico, ma oltre a questi effetti positivi ci sono state anche delle controindicazioni?

“Ovviamente c’è stato anche chi ci ha criticato per questa scelta, ma secondo me questo era anche l’aspetto più intrigante della questione: abbiamo accettato proprio perchè era atipico portare in tv gli A Toys Orchestra che facevano A Toys Orchestra, non una semplice resident band.

Non ci piace essere radical-chic, sarebbe troppo semplice. Quando si può sconfinare, mantenendo una certa integrità di pensiero, per noi è una conquista. E con umiltà posso dire che abbiamo creato un precedente: una band come la nostra in un programma commerciale sulla tv nazionale non si era mai vista.

Inoltre ci ha aiutato anche a crescere, perchè abbiamo dovuti vestire i panni degli improvvisatori, quando noi siamo sempre stati una band che ha sempre ragionato molto in sala prove. Lì invece si doveva essere in grado di sonorizzare al momento un reading con un ospite, ad esempio, e costruire una musica in base al momento. I tempi sono velocissimi in tv ed a volte gli autori arrivavano con le scalette all’ultimo momento e noi ci guardavamo negli occhi all’inizio spaesati, poi qualcuno partiva con una nota e via.

Il negativo… bah forse poteva esserci una tentazione. Lavorare in tv ti dà il massimo guadagno con il minimo sforzo ed eravamo in una situazione allettante. Però, nonostante sia stata una bellissima esperienza, ci siamo guardati in faccia ed abbiamo capito che non volevamo ripeterlo ed abbiamo scelto di tornare col culo sui furgoni”.

Uno sguardo al futuro quindi, ma anche uno al passato. Avete infatti deciso che per dicembre/gennaio effettuerete un piccolo tour nel quale proporrete per intero “Technicolor dream”. Come mai proprio questo disco?

“Innanzitutto perchè non lo abbiamo mai suonato dal vivo nella sua interezza, neanche in quel tour. Poi visto che siamo fermi dalla classica tournée, abbiamo deciso di portare in giro un disco che è da sempre molto amato dal nostro pubblico e che ha sempre messo d’accordo un po’ tutti i nostri fan. Infine noi ci siamo molto affezionati anche dal punto di vista sonoro e ci intriga proporlo live”.

Possibile che venga suonato qualche nuovo pezzo?

“Magari capita, ma ancora non ci abbiamo pensato. Sicuramente essendo un disco che dura circa 50 minuti proporremo un bis con altri brani, ma le nuove tracce al momento sono ancora in fase di completamento, quindi è difficile dirlo”.

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