Intervista: tUnE-yArDs

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tune yards

di Alessandro Besselva Averame

Al telefono con Merrill Garbus parliamo di Nikki Nack, in uscita in questi giorni, e del passo in avanti che il nuovo album rappresenta per i suoi tUnE-yArDs (duo che comprende oltre alla cantante il bassista Nate Brenner, con il quale fa coppia anche nella vita), uno dei più originali progetti in circolazione. Dopo l’esordio Bird-Brains (2009) e soprattutto Whokill (2011), vero e proprio manifesto di interazione creativa tra loop, voci e strumenti, il nuovo album allarga il proprio raggio d’azione alla ricerca sui ritmi, esplorazione influenzata in particolare dalle percussioni haitiane, con le doti canore fuori dal comune della Garbus che risultano se possibile ulteriormente valorizzate.

I tUnE-yArDs si esibiranno il 10 luglio al Magnolia di Milano, concerto che sarà una sorta di anteprima del Siren Fest (24-27 luglio): ingresso gratis il 10 per chi ha l’abbonamento per il festival.

Alla base del nuovo disco c’è un viaggio ad Haiti, dove sei andata a studiare le percussioni…

Merril Garbus: “Il lavoro sul disco in realtà è iniziato molto prima, ho incominciato a scriverlo a gennaio dell’anno scorso mentre ad Haiti sono stata a marzo. Il viaggio è stato una piccola parte del percorso che ha portato al disco, che non ha esattamente a che fare con Haiti, la verità è che conosco troppo poco quella cultura… Però volevo migliorare la mia tecnica percussiva. Qui in California ho incominciato a studiarle con un insegnante haitiano, è stato lui ad introdurmi a quei suoni. Credo che la musica folk, a qualsiasi cultura appartenga, sia fondamentale. Puoi imparare molto se presti attenzione. Inludo nel discorso anche il folk americano, la musica che ascoltavano i miei genitori quando ero bambina. Musica che la gente suona per sé, non per i soldi, non per il pubblico, e che accompagna la quotidianità e le fasi della vita. Haiti è meravigliosa, e sono stata davvero molto fortunata a entrare in contatto con quella cultura, ma diciamo che rappresenta una piccola parte del viaggio che ha portato al disco”.

Volevi in ogni caso dare una impronta più ritmica (anzi, poliritmica) al tuo lavoro, no?

MG: “Volevo senz’altro fare qualcosa di diverso, o per meglio dire volevo sfidare me stessa, suonare di più e meglio le percussioni. Mi sono ritrovata a scrivere le parti ritmiche e non l’avevo mai fatto, credo che uscire dal sentiero più collaudato sia una delle cose più difficili in assoluto, nella vita in generale, è come smettere di fumare le tue sei sigarette al giorno, abbandonare le abitudini più radicate. Può essere un processo molto doloroso. Da un certo punto di vista l’ho vissuto come un esperimento scientifico: andavo in studio, partivo con un ritmo e poi cercavo di costruirci sopra qualcosa , che però doveva essere diverso da quanto fatto in precedenza. In passato usavo una pedaliera per i loop, ma in quel caso riproduci sempre la stessa frase. Questa volta mi sono detta, niente loop, voglio farlo dal vivo, niente pattern che si ripetono.. è stato eccitante, ma anche difficile, e ora penso che non sarà affatto facile replicare quei suoni in concerto. Quando interrompi una abitudine però ti accorgi di essere in grado di fare di più, e dunque sono molto soddisfatta della piega che ha preso la mia musica”.

Come in Laurie Anderson, mi sembra di capire che l’idea di raccontare storie sia molto radicata in ciò che fai. È un bisogno umano primario…

MG: “Credo tu abbia ragione, sono le storie che raccontiamo a renderci ciò che siamo. Per me è necessario che ci sia della fiction, permette di dare a quello che racconti un valore metaforico, è importante andare al di là della propria storia. La mia storia, di per sé, non è molto interessante, è noiosa. Molta musica parla di esperienze personali ma a me questo aspetto non interessa granché, quello che racconto deve riguardare un gran numero di persone. Le canzoni più potenti sono le più universali”.

Nel disco prima hai fatto tutto da sola, qui in alcune canzoni intervengono produttori esterni (John Hill e Malay, già al lavoro con Rihanna, Shakira, MIA e Alicia Keys, nda). È stato difficile mollare la presa, il controllo, per – lo hai dichiarato in una intervista – “il bene delle canzoni”?

MG: “C’è anche l’orecchio esterno di Nate (Brenner, compagno di musica e di vita della Garbus, nda), ovviamente, che suona il basso e contribuisce alla scrittura de brani, ma l’idea era vedere che cosa capitava. A me spaventava non tanto l’idea di lasciare ad altri il controllo, ma di mettere in disparte la mia ‘autorità’, se così si può dire. Ma il trucco è non pensarla in questi termini, i produttori con cui abbiamo lavorato sono stati molto rispettosi nei confronti del nostro materiale, hanno mantenuto la nostra visione. Hanno lavorato al servizio dei brani e questo, in un certo senso, ha spinto anche me a lavorare in quel modo. È stato un po’ come fare un corso universitario di produzione artistica, visto che io e Nate in genere siamo i produttori di noi stessi, abbiamo prodotto materiale altrui e a me piacerebbe pure continuare a farlo in futuro. Volevamo imparare e siamo migliorati”.

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