Ascolta la ristampa e i remix di Stanza 218, l’album del progetto El Muniria di Emidio Clementi

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Love Boat ha pubblicato la ristampa e una raccolta di remix dell’unico album del progetto El Muniria di Emidio Clementi

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“Pochissimo tempo dopo lo scioglimento dei Massimo Volume, Mimì mi propose di fare un progetto insieme, io e lui. Dario Parisini entrò praticamente subito, e cominciammo a lavorare con l’idea di usare sempre il recitato di Emidio, ma su una base più elettronica”, racconta Massimo Carozzi a proposito del progetto El Muniria di Emidio Clementi, che produsse un unico album nel 2004, Stanza 218, di cui ora sono usciti per Love Boat (li potete ordinare qui) una ristampa e una serie di remix a cura di musicisti come Blak Saagan, selfimperfectionist, Spano e molti altri.

“Quando si scioglie un gruppo, al contraccolpo bisogna stare attenti”, racconta il “nostro” Andrea Pomini, autore del libro Tutto Qui. La Storia Dei Massimo Volume, edito da Arcana:

Forse è per evitare quel contraccolpo, o per esorcizzarlo, che Emidio Clementi non perde tempo. Massimo Carozzi è un amico da più di dieci anni, ed è stato road manager dei Massimo Volume fra il 1997 e il 1998, ma sta cominciando a farsi notare anche come musicista sperimentale. Nel 2002 è uno dei fondatori del collettivo artistico ZimmerFrei, che incrocia audio, cinema e performance. Dario Parisini ha fondato i Disciplinatha nel 1987 e ci ha suonato per dieci anni, fino allo scioglimento. Qualche tempo dopo, fra il 1999 e il 2000, è stato anche chitarrista nell’ultima formazione dei Massimo Volume.
“Poi ci fu il viaggio a Tangeri, volevamo registrare il disco lì e in parte ci riuscimmo. Andammo giù io, Massimo e Dario con l’autobus Bologna-Marrakech, portandoci tutta la strumentazione e una regia mobile. Prendemmo due stanze in un hotel scacciatissimo, in una dormivamo e nell’altra mettemmo su lo studio.” (EC)
Facemmo praticamente lo stesso percorso che facevano gli immigrati all’epoca, con uno di quegli autobus che passano dalla Francia e dalla Spagna, con le varie tappe in cui prendono su gente e ne scaricano altra, e i punti in cui ci si ferma a pregare perché magari nell’autogrill hanno fatto una piccola moschea. Salivi in questo autobus alla stazione di Bologna ed eri già in Marocco. C’erano solo marocchini a bordo, e c’era ’sta cazzo di cassetta nell’autoradio che andava avanti in loop con la loro musica. Fu un viaggio lungo, lunghissimo, ma andava fatto così.” (DP)
“L’idea era di andare a lavorare al disco in un altro posto, per staccarci dalla quotidianità bolognese e trovare una dimensione che potesse ispirarci, che potesse avere un deposito sulla musica.” (MC)
“Andiamo a fare un disco da qualche parte, fuori dal cazzo, fuori dall’Europa. Andiamo a fare degli appunti di viaggio, in sostanza, con una formazione molto snella e moderna: un chitarrista, un cantante e un macchinista, uno che usi computer, sintetizzatori e simili.” (DP)
Settembre 2002, Tangeri.
È il Marocco dunque lo sfondo di “Stanza 218”. Evidente nel nome dato al progetto, nel titolo dell’album, in diverse parti dei testi. Ma soprattutto ideale, ancor prima che sonoro o lirico. La sua aria da avamposto e ultima spiaggia insieme, la sua bellezza sfiorita, il suo squallore. Sembra la scena di un film: chiusi in due misere stanze d’albergo – una per dormire, una con tutto l’equipaggiamento montato per registrare – i quattro prima diventano appunto tre, e poi si incartano via via sempre di più. Cedendo alle tensioni e all’inconcludenza dietro l’angolo. Finendo per prendere la via di casa con in tasca qualcosa di piuttosto lontano dal frutto dolcissimo del loro sogno beatnik, e di fatto in due per l’abbandono di Parisini.
“Che ci stiamo a fare qui?”
“A Tangeri ci furono subito attriti e incomprensioni, e il progetto venne interrotto. Prendemmo armi e bagagli e tornammo a casa. Rompemmo sui modi di operare, c’erano visioni differenti sulla produzione di un disco.” (DP)
“Tornammo da Tangeri con dei pezzi a brandelli che ricostruimmo io e Massimo da soli, a casa.” (EC)
“Finimmo il disco a Bologna, chiedendo a diverse persone di contribuire: Steve Piccolo, Mauro Rigoni e Vittoria fra gli altri. Fu una gestazione lunga, ma bella.” (MC)
Gennaio 2004, Bologna.
Homesleep, all’epoca e per vari anni ancora la più importante etichetta indipendente italiana, pubblica “Stanza 218” in CD. Sono passati quasi cinque anni da “Club Privé”, ultimo controverso album dei Massimo Volume, e quello che gli orfani del gruppo si trovano di fronte è un oggetto stranamente familiare, eppure alieno. Il recitato di Clementi è sempre quello che li ha sedotti e abbandonati, ma le parole e l’atmosfera sono altre. Febbrili, evocative, disincantate. “Una calma strana e misteriosa, un senso d’attesa”, per citare un’intervista di Emidio di quei giorni.
Tutto intorno, invece della sponda nota e confortevole fornita dalla chitarra di Egle e dalla batteria di Vittoria, si espande l’architettura elettronica di Carozzi, ora minimale e ambient, ora ritmicamente consapevole di quanto sta succedendo in ambito trip hop, soprattutto. Ma sempre fuori dai canoni e in qualche modo imperfetta, ricca di dettagli e interferenze, viva. Come vivissime sono le chitarre di Parisini, ultimo appiglio al mondo rock lasciato indietro, ma anche loro perfettamente inserite nel fluire narcotico e cinematografico dell’album. Così come gli splendidi organi vintage di Giacomo Fiorenza, coproduttore artistico dell’album insieme a Clementi e Carozzi, e figura chiave per la sua finalizzazione bolognese dopo il disordine creativo di Tangeri.
[…]
Poi è tutto pronto sul serio, ed è pronto anche l’album digitale Stanza 218 (Remixes & Versions), con contributi inediti realizzati per l’occasione da Arrogalla, Paul Beauchamp, Bienoise, Blak Saagan, Maria Valentina Chirico, FERA, Healing Force Project, Merchants, Nirtstrøm & Prins Pomas, Claudio Rocchetti, SabaSaba, selfimperfectionist, Ben Seretan, Spano. e Stromboli.
Ci sono voluti sei anni, ma chi se ne frega. “It’s ready when it’s ready”, è pronto quando è pronto, mi disse anni fa Ian MacKaye in un’intervista. Ecco, forse non è il caso di farne una regola, ma almeno questa volta la sintesi è perfetta. E sapete una cosa? Non ci sono dischi così nemmeno nell’Italia del 2021.

Redazione Rumore
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Rumore è da oltre 30 anni il mensile di riferimento per la cultura alternativa italiana. Musica (rock, alternative, metal, indie, elettronica, avanguardia, hip hop), soprattutto, ma anche libri, cinema, fumetti, tecnologia e arte. Per chi non si accontenta del “rumore” di sottofondo della quotidianità offerto dagli altri magazine.

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