Intervista: Bang Gang

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bang gang

di Luca Minutolo

Nascere e vivere in Islanda non è affare semplice. La natura incontaminata e gli spazi immensi che dividono una città dall’altra finiscono inevitabilmente per influenzare lo stile di vita e – di riflesso – anche la musica che ne esce fuori. Lo dimostra la storia artistica dell’isola nordica, che negli anni ci ha regalato alcune delle forme musicali più originali in assoluto. Dall’estro irrefrenabile di Björk e della sua band d’esordio The Sugarcubes, passando per i sognanti viaggi post-rock dei Sigur Rós o alle derive elettroniche dei Múm e chi più ne ha più ne metta. In questo marasma così caratteristico Bardi Johannsson, alias Bang Gang, è un personaggio piuttosto atipico. Attivo dal lontano 1996 con il moniker dietro cui si nasconde una vera e propria one-man band, Bardi è una creatura pop dalle tinte dark. Pur mantenendo in prima linea l’evidente tocco sognante della fredda e solitaria isola nordica, le trame melodiche costruite dal cantautore islandese godono di una oscura luce intimista. Nonostante la sporadica attività della ragione sociale Bang Gang (l’ultimo disco in ordine di tempo Ghosts from the Past risale al 2008) il progetto s’impone come punto di riferimento nel panorama pop indipendente anche fuori dalla propria terra. Impegnato in altri molteplici progetti paralleli, oggi Bang Gang si appresta a pubblicare il proprio quarto disco The Wolves are Whispering dopo ben sette anni di lavorazione a singhiozzi. Tra la realizzazione di opere teatrali e colonne sonore per film e documentari, l’estro di Bardi Johannsson non si limita soltanto alla canonica forma canzone. Della lunga gestazione di The Wolves are Whispering, dei suoi side-projects e dello stile di vita islandese abbiamo parlato con il diretto interessato nella chiacchierata che trovate qui di seguito, dal finale davvero esilarante.

Sono passati ben sette anni dal tuo disco precedente (Ghosts from the Past, 2008). Cosa è successo in questo lasso di tempo?

Sono successe moltissime cose in questi sette anni. Ho comunque lavorato su questo mio nuovo disco, ma nel frattempo ho dedicato le mie forze anche verso progetti paralleli. Ho ricevuto molte proposte per lavori interessanti. Ad esempio l’opera Lady and Bird con Keren Ann, con cui abbiamo girato molti teatri francesi. Abbiamo creato una sorta di mix tra opera, musical e musica dance. Poi ho realizzato alcune colonne sonore per Would You Rather di David Guy Levy e De Toutes Nos Forces di Nils Tavernier. Infine ho prodotto alcuni dischi e creato un progetto con JB Dunckel degli Air che si chiama Starwalker, con cui abbiamo realizzato un EP e di cui prossimamente uscirà un vero e proprio disco. In tutto questo marasma è stato difficile trovare il tempo per completare il mio disco, ritagliando qualche giorno qua e la tra tutti i lavori in corso. Ho dovuto sempre rimandare, e tra un progetto e l’altro sono riuscito solo adesso a completarlo. Sono stati sette anni molto impegnativi.

Il risultato di The Wolves Are Whispering è piuttosto oscuro. Come lo hai realizzato per quanto riguarda i suoni e i testi?

È venuto tutto fuori in maniera automatica. Non ho pianificato nulla. Fondamentalmente ho sempre utilizzato la musica come contenitore per le mie emozioni. Oppure come mezzo per evitare di diventare pazzo e contribuire al mio equilibrio. Una sorta di pulizia interiore attraverso cui lascio che la mia interiorità si pulisca da tutta la sporcizia che riceve ogni giorno. Quindi i testi sono molto personali. Prendo spunto da tutto ciò che vedo e vivo quotidianamente. Anche per The Wolves are Whispering tutti i brani sono legati da un sentimento comune, e non vanno presi come singoli pezzi staccati l’un l’altro. Solo un pezzo, My Special One, è dedicata esclusivamente a mia figlia. L’ho scritta durante un viaggio che ho fatto per rivederla dopo tanto tempo, ma si tratta comunque di sentimenti e sensazioni personali che contribuiscono a costruire tutto il mood del disco.

Come hai raccontato prima, in questi anni sei stato coinvolto in molti progetti paralleli alla tua carriera come Bang Gang. Quanto di questi lavori è confluito nel tuo ultimo disco?

Ci sono alcuni frangenti più strumentali che suonano come se fossero delle colonne sonore, altri in cui ho inserito sonorità ambient oppure delle canzoni pop piuttosto riflessive. Indubbiamente tutti questi lavori hanno influenzato la mia scrittura. Ho approfondito anche molta cinematografia dark-ambient in questi anni. In sostanza, al mio stile originale, ho aggiunto questi aspetti in The Wolves are Whispering in maniera a volte conscia e altre volte del tutto spontanea.

Per quanto riguarda il sound e l’atmosfera generale del tuo disco, si sente molto l’influenza della natura solitaria e incontaminata dell’Islanda.

Vivere in Islanda è piuttosto surreale. Hai paradossalmente a disposizione uno spazio immenso che allo stesso tempo risulta davvero claustrofobico. Non ci sono molti abitanti e quando hai a disposizione così tanto spazio ci si trova inverosimilmente isolati. Poi, quando vivi su un isola, non è così facile uscire fuori e avere contatti diretti con l’esterno. Probabilmente questo tipo di vita si riflette nella mia musica, ma di solito quando scrivo canzoni immagino storie che non sono per forza legate alla mia terra d’origine. A volte le vicende accadono in Islanda, a volte in una foresta, oppure in un paese o una metropoli moderna e affollata. Sì, inevitabilmente c’è un po’ di Islanda in questo disco, ma c’è anche molto di altri paesi in cui ho vissuto in questi anni. C’è anche moltissima Francia, in cui ho vissuto questi ultimi anni.

Oltre agli umori dark e riflessivi, il tuo stile è denso anche di melodie e soluzioni pop. Hai qualche ispirazione in particolare?

Per me è difficile inquadrare con precisione quali ascolti mi hanno ispirato. Non sono scelte che ho portato avanti consapevolmente. Si tratta piuttosto di un meccanismo automatico che si aziona da sé. Non mi sento a mio agio in qualsiasi etichetta o steccato di genere. In Islanda abbiamo questa brutta abitudine di chiuderci in scene ben definite, come la scena rock oppure quella elettronica. Non ho mai voluto aderire a questa o quella scena musicale. Conosco molti che ne fanno parte e alcuni sono miei cari amici, ma non ho mai voluto rinchiudermi in questi stereotipi. Probabilmente perché ho vissuto per molti anni in Francia, quindi sono rimasto al di fuori di tutto questo settorialismo musicale. L’unico punto fermo che mi sono posto per The Wolves are Whispering è quello di un minimalismo strumentale. Pochi elementi, ma sfruttati a pieno. Mi piacciono il rock, l’elettronica, il metal. Ascolto davvero di tutto, quindi è normale ritrovare un ampio spettro stilistico nella mia musica.   

La maggior parte della musica che arriva dall’Islanda è ammantata da un’aura introspettiva e solenne. Sembra quasi che la tua scelta sia piuttosto atipica rispetto alla tradizione musicale del tuo paese.

Io non credo sia così (ride, nda). Ci sono un sacco di ottime band in Islanda come i Samaris o i Bloodgroup che si discostano dalla tendenza riflessiva e solenne che esce fuori dal nostro paese. Per i primi ho collaborato con Jófrídur Ákadóttir, coinvolgendolo nei cori di alcuni miei pezzi. Mentre con i secondi ho realizzato la traccia di apertura The Sin is Near. Faccio tutto da me, senza aderire a un filone o una scena in particolare.

Dalla tua esperienza in terra francese, hai notato alcune differenze rispetto al tuo paese d’origine per quanto riguarda l’approccio alla musica e alla vita da musicista?

Sì, ci sono moltissime differenze. Il popolo islandese ha molti pregi e difetti, come tutti del resto. La gente in Islanda fa tutto all’ultimo momento, quindi programmare qualcosa con largo anticipo è davvero difficile. Per assurdo, organizzare un concerto con una settimana di tempo è molto più semplice. Stai sicuro che un islandese farà di tutto per far sì che i tuoi progetti si realizzino al meglio e nel minor tempo possibile, ma quando si trova a lavorare in piena calma per assurdo risulta più difficile organizzare un concerto oppure pianificare la registrazione di un disco. In Francia invece si riesce a lavorare meglio sulla lunga distanza. Pianificano tutto alla perfezione anche molto tempo prima. Certo, al contrario la Francia è piena di problemi burocratici che invece in Islanda non abbiamo. Per forza di cose ormai seguo la musica francese da molto tempo, così come anche alcuni artisti che provengono dall’Italia.

Davvero? Cosa conosci del nostro paese?

Ho ascoltato Ennio Morricone per moltissimo tempo, oppure i Goblin. Li ho conosciuti tramite le loro colonne sonore, per poi approfondirli nel corso degli anni. Credo il lavoro portato avanti da Morricone sia fantastico. È un vero pioniere. Chiunque ha ascoltato almeno un suo brano nella vita. La cosa che più mi stupisce è come abbia fatto a realizzare delle colonne sonore così magnifiche con così pochi mezzi a disposizione. È un vero e proprio genio dei nostri tempi.

Oltre ai Goblin e Morricone conosci qualcos’altro proveniente dall’Italia?

In Islanda abbiamo una tradizione piuttosto strana riguardo le musiche tradizionali natalizie. Molti artisti pop islandesi hanno reinterpretato e riadattato alcuni brani di musica leggera italiana per utilizzarli come canti di natale. È diventata un’usanza piuttosto assurda. Ormai sono brani che fanno parte della tradizione natalizia del nostro paese. Non so spiegarmi il motivo, ma alcuni brani sono diventati dei veri e propri tormentoni qui da noi durante le feste di Natale. Non credo che in Italia questi brani siano delle canzoni di Natale, ma qui ormai hanno lo stesso valore di una Jingle Bells o roba simile. Non sono neanche così sicuro che possiedano i diritti per fare una cosa del genere, ma si tratta di una faccenda davvero folle che non so da dove arrivi.

Qui di seguito, due esempi di questa strana tendenza:

Non ho l’età di Gigliola Cinquetti

Gente di mare di Umberto Tozzi

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