Intervista a Seun Kuti: “L’Afrobeat racconta una missione per noi come popolo africano”

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seun kuti Credit Alexis Mayron
(Credit Alexis Mayron)

Renato Failla ha parlato con Seun Kuti del presente e del futuro dell’afrobeat

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di Renato Failla

La diffusione dell’afrobeat attraverso i canali europei ha sempre avuto un percorso tutto particolare, perché l’Europa è sempre stata un territorio in cui l’Africa ha avuto un suo posizionamento più che posto, dall’alba delle colonizzazioni come vivaio in cui raccogliere capitale umano da sfruttare, come terreno dalle immense capacità produttive cui attingere per sfamare bisogni sempre più grandi, come propaganda da utilizzare in virtù degli scopi del momento atti a soddisfare le esigenze di un pragmatismo politico, spesso, di facciata in direzione di un altruismo sociale o di un’aberrazione del concetto di nemico e invasore. L’Europa e i suoi cittadini non hanno mai vissuto l’Africa attraverso un’integrazione più sistematica, che creasse comunità stabili tali da portare la loro storia su nuovi lidi e renderla parte della politica di quel luogo. Piuttosto, è stata vista da una finestra, come spettatori di avvenimenti sì vicini ma mai attigui. Per questo, parlare di afrobeat, e in particolare modo in Italia, è un affare dei tempi recenti e di cui sapremo tra qualche anno se sarà stata moda o l’effetto di un mondo che sta veramente cambiando molto velocemente, ribaltando concetti che credevamo immutabili. Se il fenomeno Fela Kuti in Italia, intorno agli anni 70, poteva ottenere l’attenzione di una parte ben specifica di popolazione divisa tra esperti o semplici appassionati, in diversi ambiti culturali e storici, con quell’aura quasi trascendentale per cui se ne conosce il nome ma non si è certi della sua esistenza, Seun Kuti – che avevamo già intervistato qui – si potrebbe assurgere quasi a fenomeno Pop in virtù di una contestualizzazione che tiene conto dei paradigmi differenti e velocemente riassunti in queste righe. Il figlio più giovane del Black President rappresenta oggi quella dinastia afrobeat dai contorni sempre più marcati ed evidenti e il suo percorso musicale e l’attivismo politico non riguardano più ciò che sta al di là del Mediterraneo per noi europei ma, anzi, sono fonte vitale di scambio culturale e mescolanza figli, è il caso di dirlo, di quelle migrazioni che oggi corrispondono ad una cittadinanza europea sempre più afrodiscendente. Uomo di poche parole ma di molti fatti, con i suoi Egypt 80 – un tributo a quella “macchina ritmica infernale” degli Egypt 70 di Fela Kuti – porta avanti quel messaggio adattato allo spirito di oggi, attraverso linguaggi nuovi che rispecchino i nuovi equilibri. Dopo l’Ep African Dreams insieme a Black Thought dei Roots uscito a fine 2022, Seun Kuti è sempre più proiettato verso l’obiettivo, come racconta in questa intervista che lascia trasparire molto di più di quanto c’è in superficie, come succede sempre con la sua musica.

Conosciamo tutti la tua storia e la tua eredità. In che modo queste cose sono ancora importanti per te?

“Beh, penso che la mia eredità sia importante per me, proprio come è importante per qualsiasi altra istituzione in questo mondo. L’eredità ha a che fare con la protezione del patrimonio culturale e proviene da quella discendenza che deve esistere ed essere presente nella nostra cultura e nella maniera più profonda possibile. Per me l’afrobeat, e le band che suonano questa musica, non vuol dire semplicemente parlare di gruppi musicali o di un genere musicale ma significa guardare ad essa come una vera e propria un’istituzione musicale. E poi c’è un messaggio dietro che racconta una missione per noi come popolo africano. Quindi sì, è molto importante per me, è fondamentale”.

Afrobeat, afrocentrismo: sono parole di uso comune in Italia, in Europa. Pensi sia utile per promuovere la cultura o rischia di rovinare l’autenticità del messaggio?

“Tutto dipende dall’intenzione di chi usa il termine. Oggi viviamo in un mondo in cui chiunque si definisce in qualunque modo, anche se non si adatta ai criteri di ciò che propone. Kanye West, ad esempio, ha colpito alla grande con le ultime cose che ha detto, l’unico problema è aver dimenticato che la Germania nazista di Hitler lo avrebbe lasciato entrare senza problemi (ride, nda). Oggi è così in tutto il mondo. La mia idea è che si debba cercare sempre di più l’autenticità non nella retorica, nelle parole, ma in ciò che non è magari subito visibile ma sicuramente più autentico, quindi nel carattere. L’umanità oggi non fa molta attenzione e non enfatizza quello che è l’aspetto del carattere. Seguiamo solo tutto ciò che è retorica, sono importanti solo le pubbliche relazioni e quanto ci sia hype, senza porre davvero alcun accento su ciò che è il personaggio. E questo, per me, riguarda anche i temi legati all’Africa, la sua storia, il presente, perché oltre alla retorica degli attivisti afrocentrici, rivoluzionari, o qualunque altra cosa la riguardi, rivolgo la mia attenzione al carattere di quel personaggio che rappresenta la fonte autentica della mia ricerca”.

Sono un uomo bianco europeo e so, purtroppo, come l’Africa è vista da noi, anche se molto è cambiato. Invece, come appare l’Europa agli africani?

“Per molti africani l’Europa è vista come un’opportunità. Ecco cos’è l’Europa per il mio popolo, un’occasione. Questo perché ritengo ci sia una connessione spirituale tra questi due mondi al di là delle possibilità che possono crearsi. Come esseri umani siamo legati spiritualmente alle nostre risorse e poiché gran parte delle nostre risorse va in Europa, c’è quindi una sorta di ordine spirituale verso il nostro popolo nel seguirle. Ed è quello che intendo quando parlo di opportunità per i neri e gli africani da poter trovare in Europa. Non credo ci siano dei sentimenti o emozioni innate nei confronti dell’Europa da parte del popolo africano, credo veramente sia solo una questione di opportunità ed è così che viene vista, semplicemente come tale”.

Parliamo di musica. Ho alcuni artisti africani che mi piacciono, soprattutto dal Sud Africa. Ci sono altri giovani artisti africani da tenere d’occhio?

“Sì, ci sono diverse band africane… (ci riflette un attimo). Ad esempio, ce n’è una chiamata The Lagos Thugs che mi piace molto. Poi c’è un artista chiamato Odumodu Black, è abbastanza nuovo, mi piacciono le sue cose. Sì, diversi artisti da conoscere, diverse band. Voglio dire, anche mia nipote Made fa questo”.

Seun Kuti, Black Thought: due giganti insieme. Che dire di questo lavoro e del futuro? Sarà ancora una volta con Black Thought?

“Beh, grazie per le belle parole riguardo il progetto. Ci sono alcune cose da tirare fuori ma di cui non posso dire ancora niente, naturalmente. Quindi, tenete d’occhio questi canali e vedremo, no?!”(ride, nda.)

Redazione Rumore
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