Live Report: Low @ Roundhouse, Londra, 10/10/2015

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low live

di Stefania Ianne

Two Gallants aprono per i Low stasera. Personalmente ascolto il duo californiano per la prima volta. La prima impressione è ostile, come se non avessero nessuna voglia di suonare per noi. Nel giro di tre canzoni sembrano tre band diverse, in grave crisi d’identità. Ma il pubblico si identifica, un paio di persone accanto a me urlano le parole insieme ad Adam Stephens, il cantante. Cerco di dare un senso alla musica in bilico tra il depresso e il folkeggiante, ma manca qualcosa. Stephens sembra perso nel suo mondo e per la maggior parte delle canzoni canta in ginocchio, con le spalle al pubblico, la chitarra rivolta verso gli amplificatori. Tyson Vogel alla batteria, invece si nasconde dietro alla chioma bionda, anche se cerca un paio di volte di parlare con il pubblico, per riempire il vuoto. La presenza dal vivo è alienante. Le parole deprimenti. Non mi convincono. Probabilmente molto meglio ascoltarli su disco. Applaudo educatamente ma non ne sento la mancanza quando lasciano il palco.

Nell’intervallo, durante i preparativi sia Alan Sparhawk che Steve Garrington appaiono sul palco ad occuparsi della disposizione dei propri strumenti, dei propri pedali. Sparhawk in particolare è attentissimo a tutti i dettagli, compresa la disposizione del tendone che servirà da megaschermo durante il concerto, gli addetti al palco ne avevano piegato un angolo. A dieci minuti dall’inizio del concerto, il conto alla rovescia inizia sullo schermo i tre componenti dei Low si posizionano dietro ai rispettivi strumenti. Aspettano la fine del conto alla rovescia scandito dal pubblico. Alan Sparhawk accovacciato accanto al pedale che controlla i suoni elettronici dà inizio alle danze e attiva il ritmo elettronico che contraddistingue la loro ultima creazione pubblicata da Sub Pop, Ones and Sixes, nello specifico Gentle.

L’inizio e l’umore del concerto sono atmosferici, solenni, accompagnati inizialmente dall’immagine spoglia che contraddistingue la copertina di Ones and Sixes. L’immagine è in bianco e nero ed è stata creata dall’artista britannico Peter Liversidge: lo scheletro di un albero, l’immagine parziale dei rami spogli è amplificata alle spalle del gruppo, animata in maniera subdola, con i rami cadenti lenti a mo’ di pioggia ad unirsi al resto dello scheletro. Le voci armoniose di Sparhawk e della sua compagna di vita non solo musicale, Mimi Parker, si alternano ammalianti. La tentazione è di chiudere gli occhi e di farsi trasportare in un vuoto spazio-temporale alieno, rassicurante e inquietante allo stesso tempo. La sensazione di falsa tranquillità viene totalmente sovvertita dagli accordi di No Comprende, secondo brano su Ones and Sixes. Immagini rilassate, rilassanti, minimaliste si susseguono sul grande schermo, creazione preparata appositamente da Liversidge in anteprima stasera.

L’effetto Low è subdolo. L’apparenza di tranquillità inganna. Qualcosa è in continua crescita nella falsa ripetizione, nei cambi di ritmo. La musica ti prende, ti trasporta e all’improvviso ti sconquassa lasciandoti ridotto in mille pezzi, solo, sola, per terra, coperti da una valanga di neve. Mi guardo intorno. Molti occhi chiusi, espressioni abbandonate, gli spettatori assaporano un’ingannevole inizio di calma beata. Non può durare. Non dura. Alan Sparhawk sembra sfidarci sornione mentre ci canta Plastic Cup: “Maybe you should go on and write your own damn song and move on”, se non vi piace, scrivetevi voi le vostre canzoni. Non c’è il tempo di riflettere, gli accordi di On My Own iniziano in crescendo. Il ritmo della batteria minimalista di Mimi Parker è abbastanza upbeat fino a quando all’improvviso, con un colpo di pedale, la chitarra si amplifica, diventa cattiva, si contorce su se stessa. Il ritmo paradossalmente rallenta, Steve Garrington abbandona la tastiera per un basso vibrante, profondo. Il risultato è spiazzante e folgorante allo stesso tempo. Sparhawk vibra con la sua chitarra, i suoi movimenti contenuti a malapena nello spazio e nel tempo allungato dell’assolo infinito. Posseduto dalla sua chitarra, Sparhawk ci regala il momento più intenso quando inizia a suonare la sua chitarra con i denti, un tributo al fantasma di Jimi Hendrix presente in sala. Elettrizzante. Mi sento colpevole come se avessi sorpreso un momento di un’intimità assoluta.

Point of Disgust, cantata principalmente da Mimi Parker con Garrington in evidenza alla tastiera contrasta in maniera assoluta l’esperienza che abbiamo appena vissuto. La voce in lontananza di Sparhawk, l’eco delle parole della Parker, sembrano sottolineare che anche lui, come noi, si sta riprendendo lentamente dopo aver dato troppo. Monkey, immancabile, accontenta tutti tra un pubblico che ormai inizia a lanciare le proprie richieste dal fondo della sala. Words, per caso? No, assolutamente no, non è prevista. Si ritorna a Ones and Sixes. Il successivo salto nel passato è assicurato da un’intensa esecuzione di Pissing di sicuro effetto con i suoi accordi gotici. Le parole di DJ mi colpiscono in particolare, Sparhawk sembra interrogarsi sul suo ruolo e su quello che i suoi fan si aspettano da lui. Non è un mistero che siano delle persone religiose, le parole sembrano dire non sono qui per darvi le risposte che cercate, né tantomeno sono il vostro DJ:

You want religion, you want assurance… Some kind of purpose…
I ain’t your DJ, You got to shake that

Il singolo What Part of Me è forse il momento più pop della serata poco prima della conclusione della parte principale del concerto con Landslide. Il bis è un affare veloce. Sparhawks non si separa dalla chitarra nemmeno per i brevi minuti trascorsi ai margini del palco in attesa che il pubblico li richiamasse a gran voce. Mi ricorda l’ultima intervista di Lou Reed, quando dichiarava di non separarsi mai né dalla chitarra, né dal proprio amplificatore, nemmeno per dormire. La breve, dolce Sunflower, lascia spazio alla conclusiva When I Go Deaf. Qualcuno l’ha richiesta. Sparhawk non soddisfa la richiesta. Abbandona la canzone a metà, la minimizza. Graffia la chitarra, sussurra “I can’t hear anything“, non sento nulla e ci saluta: “Peace be with you“.

Trovate a questo link la nostra intervista con i Low.

Setlist
Gentle
No Comprende
Kid in the Corner
The Innocents
Plastic Cup
On My Own
Point of Disgust
Monkey
Spanish Translation
Lies
Into You
Pissing
DJ
What Part of Me
Will the Night
Landslide
Encore:
Sunflower
When I Go Deaf

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