Intervista: Osso

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osso

di Luca Minutolo

A detta loro, nasce tutto da un pasto eccessivo. Oppure, stando a quanto raccontano nell’intervista di seguito, da un incontro fortuito in birreria. Ascoltandoli bene, è davvero difficile non credere ai labili giochi di Eraldo Bernocchi e dei messaggeri di MoRkObOt. Il progetto Osso sbuca fuori da un’indigestione sonora, prima che alimentare. Musica onnivora che fa a brandelli la tradizione heavy, oppure una sbornia al ritmo eccessivo di un tritacarne a velocità massima. Lo stesso peso specifico di una coda alla vaccinara ingurgitata tutta d’un fiato, bagnata da fiumi di birra alla spina. Paragoni culinari a parte, il progetto Osso muove i suoi passi pesanti lungo le strade di un’avanguardia rumoristica in pieno caos. Batteria, sintetizzatori, bassi e marchingegni rumorosi uniti dallo stesso obiettivo: rincorrere a perdifiato un’entropia irraggiungibile. All’angolo rosso, l’animo più sperimentale ed estremo di un musicista d’esperienza come Eraldo Bernocchi. All’angolo blu, i messaggeri del verbo noise extraterrestre in terra italica che rispondono al nome di MoRkObOt. Al centro del ring, solo una bistecca dalle dimensioni pantagrueliche da divorare il più velocemente possibile con morsi noise e foga espressa in tempi dispari. L’Osso è servito sul piatto d’argento della chiacchierata doppia con Lan e Bernocchi.

Il progetto Osso nasce dallo scontro di due realtà solo all’apparenza lontane. Com’è nata questa collaborazione?

Lan: “I messaggeri di MoRkObOt tempo fa si innamorarono della birreria Hopfen di Bolzano. Un giorno, convinti di recarsi alla suddetta birreria per una elegante degustazione, a seguito di un inaspettato salto spazio-temporale, si sono ritrovati all’interno di un festival in città al quale parteciparono anche gli Obake di Eraldo. Siamo stati costretti a suonare minacciati di morte e ritorsioni (e distorsioni), ma ciò ha fatto sì che avvenisse il fatidico incontro. Pare chiaro che ci è stata tesa una trappola”.
Eraldo: “Quando ho visto i Morkobot suonare ho finalmente capito che c’è vita oltre la morte. Era inevitabile fare qualcosa insieme”.

Nel disco sono presenti molti rimandi, ma davvero difficili da scovare nell’impasto che avete preparato. Da dove fuoriesce questo marasma sonoro?

L: Quel giorno Eraldo si è presentato in studio con la bistecca più grande che abbia mai visto. Così, in preda ai succhi gastrici che lentamente stavano corrodendo i nostri enormi cervelli, abbiamo iniziato ad improvvisare. Penso che non avremmo avuto troppe alternative al suono che ne è fuoriuscito. Chitarre, bassi, aggeggi elettronici e batteria si sono fusi in maniera naturale. Il collante è stato il grasso colante.
Eì: In realtà è una questione che non ci poniamo proprio. Io personalmente non me la sono mai posta, faccio musica per quello che è, quello che sento in quel momento. La bistecca comunque ha sicuramente aiutato.

L’impressione è che nel disco cerchiate di ammaestrare un caos informe. A volte addomesticandolo, a volte lasciandolo in piena libertà entropica. Quasi come ne veniste sopraffatti. Quale concetto di fondo muove le corde di Osso?

L: Giovine, ricorda sempre che il Caos è libertà.
E: Mi fa piacere che tu ponga questa domanda, perché in realtà è esattamente come dici. Osso è un gran caos che addomesticavamo mano a mano, giorno dopo giorno. A volte però lo lasciamo andare libero. È il bello di suonare con gente dalla mentalità aperta. Ti puoi permettere qualsiasi cosa e avrai sempre una risposta. Ecco perché mi è venuto in mente di creare una band come Osso con dei personaggi del genere.

Vi divertite a citare film (A Clockwork Orange) giocando con i titoli dei vostri brani (Squirter, Fister e Fecaloman) attraverso un immaginario estremo e cinematografico. Da dove scaturisce questa scelta?

L: Per una volta abbiamo deciso di tralasciare i nostri consueti discorsi scientifici sulle problematiche relative alla fisica quantistica applicata, per concentrarci sulla spontaneità del pensiero accostato ad una situazione del tutto inedita per entrambe le parti coinvolte, al fine di risalire alla parte più subdola e maleodorante del nostro umido inconscio.
E: In Osso c’è un sacco di senso dell’humour. Sono convinto che bisogni sempre ridere e sdrammatizzare su qualsiasi cosa. Ci sono riferimenti, ci sono rimandi a film, c’è il mondo del porno, ma alla fine ci siamo sempre noi che ci facciamo due grasse risate quando dobbiamo scegliere i titoli o quando iniziamo un brano pensando che s’intitolerà Fister. La gente si prende troppo sul serio quando fa musica, e io ho il cazzo pieno della gente che si prende sul serio. Si può essere seri, si può essere consistenti, si può fare dell’ottima musica ridendo. Osso fa anche questo. Non solo questo, ma anche.

Sia per l’immagine di copertina che per i titoli dei pezzi, avete mai pensato ad una trasposizione visiva dei vostri brani? Oltretutto Eraldo non è nuovo a collaborazioni cinematografiche.

E: Certo che sì, ma come sempre ci vogliono soldi, tempo e dedizione. Ognuno di noi è nel mezzo di 3500 progetti diversi, quindi sarà difficile una cosa del genere. Anche se ci stiamo pensando.

In base alle vostre esperienze personali, specialmente in luce di quelle maturate all’estero da Eraldo, il linguaggio strumentale estremo ha la stessa capacità comunicativa qui in Italia?

L: Comporre un pezzo strumentale in italiano si è sempre rivelato una cosa assai ardua, la dolcezza della lingua italiana non permette a certe soluzioni di toccare il cuore dell’ascoltatore.
E: Se devo essere onesto, sono ormai anni che mi chiedo cosa abbia capacità comunicative in Italia. Perché se guardo le band che riempiono i locali e i palazzetti mi vengono i brividi. L’errore è considerare l’Italia con un luogo a sé stante. In realtà l’Italia è parte di un intero pianeta che fa musica e come tale recepisce più o meno certe cose.

Guardando invece al nostro orticello, qual è lo stato di salute per la musica estrema nostrana?

L: Non sto ascoltando musica. A me la musica non è mai piaciuta.
E: Grazie al cielo, o chi per lui, migliora sempre di più.

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