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Intervista: Pasquale Ragone ci parla del caso Luigi Tenco

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di Andrea Grandi

Luigi Tenco: attualissimo ancora come artista, come altrettanto attuale è la sua morte, a 48 anni da quando il suo cadavere è stato ritrovato nella stanza 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo dopo che la sua canzone Ciao amore ciao era stata eliminata dal Festival; la domanda, infatti, è ancora ricorrente: fu davvero un suicidio?

La Procura di Imperia ha appena chiuso il fascicolo sul caso confermando l’ipotesi del suicidio; nell’aprile dello scorso anno era stato riaperto come atto dovuto (esattamente come è successo recentemente per il caso Pantani), dopo che il giornalista investigativo Pasquale Ragone, nel gennaio 2014, ha presentato presso la Procura di Roma un ricorso e una relazione tecnica: “Richiesta di verifica dell’accertamento balistico circa la morte di Luigi Tenco” col fine ultimo di far riaprire il caso richiedendo un nuovo accertamento del bossolo trovato nella stanza di Tenco, perché lì vi sarebbero le tracce di un’arma diverso rispetto alla Walther PPK-L detenuta dal cantautore. Già nel 2009, il caso era stato nuovamente archiviato come suicidio dall’allora procuratore di Sanremo, Mariano Gagliano. Negli ultimi mesi, il caso è tornato scottante, e Ragone è apparso in alcuni programmi tv, come a TVSette e Chi l’ha visto?.

Abbiamo intervistato Ragone, autore, insieme a Nicola Guarneri, del libro Le ombre del silenzio. Suicidio o delitto? Controinchiesta sulla morte di Luigi Tenco, subito dopo la notizia della chiusura definitiva dell’inchiesta.

Come ti sei sentito, alla notizia della chiusura definitiva del caso?

Non è stata una piacevole sensazione, questo è certo. L’archiviazione faceva parte del gioco, se così vogliamo definirlo. Nel senso che era tra le possibili conclusioni delle Procura. Ciò che non va e che francamente infastidisce è l’assenza di ragioni tecniche circa l’archiviazione. Saranno richieste le motivazioni ufficiali allegate al fascicolo, ma pubblicamente avrei gradito un contraddittorio tecnico a quanto presentato e non la frase purtroppo banale e fuori luogo di “lasciare i morti in pace”. Cosa c’entra quest’ultima frase con la richiesta di revisione di un accertamento? Un Procuratore penso dovrebbe motivare diversamente. La sensazione è che, ancora una volta, si sia persa l’occasione per smentire chi come me sostiene la tesi omicidiaria.

La domanda nasce spontanea: quali indagini sono state fatte in 10 mesi dalla Procura?

Sarebbe interessante saperlo. Attendiamo di leggere le motivazioni, qualora vi saranno.

Leggo che in realtà l’inchiesta “non è mai stata aperta perché l’esposto presentato un anno fa circa dal giornalista forense Pasquale Ragone, tra l’altro autore di un libro sull’argomento, non ha portato elementi di novità rispetto a quanto raccolto negli anni seguendo le varie piste investigative”. Dimostrare che la pistola che ha ucciso Tenco non era la sua non è quindi un elemento di novità?

Se non è stata mai aperta allora non si capisce perché, poche ore dopo, dalle pagine dello stesso quotidiano, abbiano detto che l’inchiesta è stata archiviata. Si archivia ciò è stato oggetto di un esame. L’elemento balistico è assolutamente un dato di primordine. La sintesi andata in onda a Chi l’ha visto? nel servizio del giornalista Ercole Rocchetti ha ben messo in luce la tesi sostenuta nel nostro libro: la Ppk di Tenco non è mai stata sulla scena del crimine e a uccidere è stata un’altra pistola.

Il Procuratore di Imperia, Giuseppa Geremia, si era detta subito scettica. Secondo te è stato corretto sbilanciarsi subito in un senso, prima ancora di intraprendere delle indagini?

Quando ho letto quelle frasi mi è venuto in mente quanto accaduto nel 2006 con la Dott.ssa Vincenza Liviero (medico legale dell’Ert) che esce dalla sala settoria e annuncia che c’è un foro d’uscita alla testa di Tenco, dunque è sicuramente un suicidio. Lo spettro è stato il medesimo: ancor prima di analizzare sembra già esserci una sentenza. A questo si aggiungono frasi che sinceramente ritengo sconnesse rispetto al caso trattato. Subito è stato detto che non ci sarebbe stata una nuova esumazione del cadavere, ma io nemmeno l’avevo chiesta; e poi che le questioni balistiche “si riferiscono sempre al bersaglio, che in questo caso è già sepolto da tempo”: cosa vuol dire una frase del genere? Nel caso specifico non ha alcun senso e mi ha fatto pensare che nulla avrebbe portato anche quest’ultima inchiesta.

“I morti vanno lasciati in pace”, ha dichiarato il Procuratore, a suggello. Ma da che mondo è mondo, sono proprio i morti che hanno bisogno di giustizia, perché non possono più difendersi.

Se le prime frasi della Dott.ssa Geremia erano parse fuori dal contesto, ancora peggio sono le ultime da lei proferite. Come giustamente ha ricordato, sono proprio i morti ad avere bisogno di giustizia. La risposta del Procuratore mi è sembrata per la seconda volta fuori contesto. Ho svolto un lavoro serio pensando di rivolgermi a persone serie come si deve a una Procura, pretendo quindi risposte serie, ovvero tecnico-scientifiche. Fino a quando non mi smentiranno nel merito degli elementi portati non smetterò di portare avanti la mia tesi ovunque ne avrò occasione.

La chiusura dell’inchiesta è arrivata a poco meno di una settimana dalla messa in onda del servizio a Chi l’ha visto? e quando si stava tornando prepotentemente a parlare dell’argomento.

Ci sono tante cose strane che non sono ancora di dominio pubblico. L’impressione è che si sia voluto evitare il clamore mediatico, soffocandolo nella culla. Ero in procinto di iniziare a far girare i contenuti di quel servizio anche in altri programmi per informare il più possibile. Chiaramente l’archiviazione, prima annunciata e poi effettuata, ha fermato tutto. Vorrei solo far riflettere sul fatto che l’archiviazione sembrerebbe essere giunta solo due giorni dopo l’affermazione del Procuratore a La Stampa. Perché mai, infatti, annunciare un’archiviazione due giorni prima e non il giorno in cui essa giunge a conclusione? È sembrato il tentativo di anticipare qualcuno o qualcosa. Sarà stata la casualità ma la dichiarazione è giunta di martedì, prima di una nuova puntata di Chi l’ha visto?. Tra l’altro, proprio durante la trasmissione della Sciarelli la famiglia Tenco aveva tentato di intervenire (presumibilmente per protestare contro quel servizio?). Poi però, diversamente dal solito, i Tenco non intervengono su giornali o in altra sede. Passano solo pochi giorni e la Procura annuncia l’archiviazione. Tutto molto strano, non crede? Sembra di rivedere quando accaduto nel ’67 e nel 2006, quando con gli organi di stampa e tg l’obiettivo era stato quello di far passare subito l’idea che era suicidio ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’ prima ancora che gli accertamenti (e in questo caso la firma all’archiviazione definitiva) giungessero.

Hai mai avuto modo di incontrare il Procuratore?

Anche qui c’è tanto non detto sui retroscena. Ho chiesto più volte, sin dalla prima ora e in tutti i modi, di parlare con il Procuratore. Mi è sempre stata negata la possibilità per volere della stessa Procura e posso dimostrarlo con risposte ufficiali inviatemi dallo stesso ufficio del Procuratore. Al contrario, sin dalla prima ora alcuni giornalisti hanno subito avuto la possibilità di parlare con il Procuratore e lo testimoniano le interviste de La Stampa del 10 aprile 2014 e l’ultima che annuncia l’archiviazione. Perché questa disparità di trattamento? Sono giornalisti loro ma anche io; sono interessati al caso sia loro che io; in più credo che, in quanto depositario dell’esposto, avrei avuto ben più diritto almeno di essere cortesemente ricevuto, come fa ogni Procura per una legge non scritta che si fonda sulla cortesia. Invece niente: chiusura sin dal primo istante.

È davvero un game over sulla questione Tenco? O ci sono altre vie da intraprendere?

Il tema è delicato. Premesso che chiederò di conoscere le motivazioni all’archiviazione, ho sempre detto a me stesso che dopo la risposta della Procura avrei agito di conseguenza, accettando anche l’eventuale archiviazione. Il punto è che qui una risposta seria non è mai arrivata. Il Procuratore ha parlato di morti, bersagli e riesumazioni mai chieste: ma una risposta nel merito sulla questione del bossolo? Non è un caso che abbia chiamato la mia relazione tecnica ‘Richiesta di verifica dell’accertamento balistico’. Volevo porre l’attenzione massima sulla questione balistica perché punto centrale della nuova inchiesta. Su quel punto non ho ancora ricevuto risposta. Dunque per me è un game over a metà. Se è vero che la Procura ha detto la sua, è ugualmente vero che noi abbiamo invece affermato una verità storica oggi testimoniata da articoli su tutti i quotidiani, nel web e addirittura ben due servizi Rai che fiancheggiano la nostra tesi. Non siamo stati smentiti nel merito e questo è tutto dire su quanto abbiamo ragione a parlare di delitto. È una battaglia che ora conoscerà una nuova fase. Infatti, fino a quando non mi diranno perché, tecnicamente parlando, non erano valide le consulenze portate in Procura, io non mollo la presa. Ho fatto un lavoro serio, chiamando a consulenza persone serie e rivolgendomi a un’istituzione seria come la Procura: ora pretendo risposte serie. Altrimenti non intendo fermarmi.

Come già detto in precedenza, nel 2006 la salma era stata riesumata e il nuovo team di esperti non ha rilevato novità di sorta; anzi, Vincenza Liviero, medico capo della Polizia, membro dello speciale team dell’ Ert (esperti ricerca tracce), ha parlato di suicidio “oltre ogni ragionevole dubbio” e “quasi da manuale”. Tu però hai dichiarato che “il video dell’autopsia di Luigi Tenco è stato tagliato. Non si comprende il motivo visto che tutto è stato inserito su supporto digitale”.

Nel luglio 2012 ho avuto occasione di vedere in Procura il video dell’autopsia. Lì erano evidenti i tagli effettuati, specie quando si trattata di mostrare alcune fratture alla teca cranica. Quella del video tagliato è l’ennesimo imbarazzo (evitabile) in questa vicenda. Nulla ovviamente in confronto alle dichiarazioni senza senso della Dott.ssa Liviero, la quale aveva dedotto il suicidio dall’esistenza di un foro d’uscita, come se fosse prova inoppugnabile per escludere un delitto. Roba che se uno studente di Criminologia fa un’affermazione del genere in sede d’esame ottiene solo una bocciatura per direttissima.

Le accuse verso le perizie tecniche effettuate dall’ERT sono ben precise; parleresti quindi di evidente imperizia? Perché se non è così, allora bisogna parlare di malafede, ma questo aprirebbe uno scenario ancora peggiore e più grave.

Le do una notizia non pubblicata da alcuno in relazione al caso Tenco. Il consulente tecnico dell’Ert che svolse nel 2006 l’accertamento sul bossolo, oggi non si occupa più di Balistica. Lo ritroviamo nella ben più rilevante veste di dirigente di un Commissariato a Roma dopo avere ricoperto, successivamente al 2006, dapprima il ruolo di dirigente in un altro Commissariato e poi di vice-questore. Ho avuto modo anche di parlare telefonicamente con questa persona, ma l’impressione è che neanche si sia reso conto dell’errore balistico commesso nel caso Tenco. Insomma in buonafede. Il problema vero è che a pesare è stata la fretta madornale della Dott.ssa Liviero che, dopo le dichiarazioni circa il foro d’uscita un’ora dopo l’esumazione della salma di Tenco, aveva vincolato irrimediabilmente le decisioni finali. Secondo lei la Procura di Sanremo avrebbe mai potuto contraddire la Liviero e tutti i Tg nazionali che avevano ormai già sparato la notizia della riconferma del suicidio?.

Come e quando ti sei avvicinato al caso Tenco?

Sono passati ormai 15 anni da quando ho iniziato ad appassionarmi al caso. Dapprima come semplice lettore e interessato alla vicenda (fino al 2006), poi pian piano seguendo un percorso di professionalizzazione che mi ha portato dapprima a guardare il caso Tenco in veste di giornalista e poi di criminologo.

Quali sono a tuo avviso i punti più forti a favore della tesi dell’omicidio e per quali si può parlare non di indizi ma di prove?

Le prove sono quelle che attengono alla Balistica: segni di una Beretta 70 (e silenziatore) sul bossolo, Verbale di Polizia delle ore 3.00 che dichiara l’assenza dell’arma nella stanza, foto della Bernardelli 60 sotto il cadavere di Tenco. A questi si aggiungono elementi indiziari notevoli come i dati istologici, la frattura alla mastoide destra e il risultato negativo dello Stub (l’esame dei residui dello sparo – RDS – sulla mano di Tenco effettuato nel 2006 dai tecnici dell’Ert ha rilevato solo due particelle di antimonio, niente piombo e bario, come ci si aspetterebbe da una mano che ha sparato; inoltre, la presenza di antimonio non è una traccia univoca, perché potrebbe essere conseguenza di chi fuma – come Tenco – o chi ha fatto benzina, nda).

C’è stato un momento o l’acquisizione di un particolare dato che ti ha portato dal dubbio alla certezza?

Dopo gli accertamenti del 2006 sembrava tutto evidente, chiaro, impossibile da smontare. Anch’io mi ero lasciato per un attimo abbagliare dal luccichio della presenza dell’Ert come garante di una qualità di lavoro. Invece è bastato riflettere su alcuni particolari e capire che le cose stavano in altro modo.

Il percorso fatto dal bossolo, venduto all’asta dal Tribunale di Sanremo nel 1968 (insieme ad altri reperti del crimine) e, dopo diversi passaggi, finito nelle mani di Carmelo Ligato, responsabile del Club Tenco (che lo consegna nel 2006 alla Squadra Mobile d’Imperia) è singolare. Non ne mina forse l’autenticità? O mina in primis l’autenticità delle perizie effettuate dall’ERT?

Bisogna fare una distinzione. Il bossolo consegnato da Ligato ovviamente pone dei dubbi sulla sua autenticità. Questo è innegabile. Infatti non sarei neanche andato in Procura se quel bossolo non fosse stato correlato da tutti gli altri elementi di criminalistica. Gli esami istologici lasciano intendere l’uso di un silenziatore per via di particelle incombuste trovate nel foro d’entrata e infatti sul bossolo troviamo il segno di un’impronta più marcata, così come quando si spara usando un silenziatore; l’esame Stub constata che sulla mano di Tenco c’erano solo due particelle di antimonio, il che si sposa perfettamente con uno sparo ancora una volta silenziato (in quanto in tal modo si riduce la fuoriuscita di particelle trimetalliche dall’arma); gli esami documentali (foto e Verbale di Polizia) dimostrano in modo inoppugnabile che la PPk di Tenco non entrò mai nella stanza 219 e infatti sul bossolo agli atti ci sono i segni dell’espulsore di una Beretta mod. 70; gli esami testimoniali parlano di uno sparo mai udito da alcuno e infatti sul bossolo ci sono i segni di un silenziatore. Come vede non è solo il dato del bossolo in sé: sono tutti gli accertamenti eseguiti che concorrono a dare attendibilità al bossolo agli atti. Tutto ciò va poi distinto dalla consulenza tecnica dell’Ert. Quest’ultima andava ripetuta già solo per il fatto che non è stato rispettato il protocollo (le regole) che è d’obblico in materia quando si fa una comparazione balistica. Già solo per quello andava riaccertato il bossolo, al di là dei segni della Beretta.

Nel libro è ipotizzata un’aggressione a Tenco nella sua camera da parte di due uomini, uno dei quali lo avrebbe colpito con un posacenere di vetro causandogli la frattura riscontrata all’altezza della mastoide destra: ma se i vicini di stanza (su tutti Sandro Ciotti e Lucio Dalla) hanno dichiarato di non aver udito alcun colpo di pistola, come possono non aver sentito una colluttazione simile, in cui si sarebbe rotto anche un oggetto in vetro?

Nel libro Le ombre del silenzio, come si vede nella ricostruzione 3D, abbiamo ipotizzato in realtà l’uso di un oggetto lineare per tramortire Tenco. I pezzi di (presunto) vetro sono solo un particolare in più posto a conoscenza del lettore per avere idea piena degli elementi in gioco. Dunque è del tutto normale che nessuno abbia sentito rumori tipici della colluttazione. Al limite avrebbero potuto sentire Tenco che cadeva colpito alla testa. E infatti fu Jimmy Fontana a dire di avere sentito un tonfo, come di un corpo che cade. Fontana alloggiava nella stanza sopra quella di Tenco.

È vero che i primi testimoni che sono entrati nella stanza (Dalla, la stessa Dalida, Paolo Dossena, Sergio Modugno, Cesare Gigli) pensavano inizialmente che Luigi ebbe un malore e non videro alcuna rivoltella?

È del tutto vero. Tra l’altro, Modugno e Gigli sono due testimoni che abbiamo scoperto noi nella nostra inchiesta, mai intervistati sull’argomento in oltre 40 anni. Così come la pistola non c’era neanche il biglietto. Si tratta di un paradosso enorme: i due elementi più importanti dell’inchiesta non erano presenti sulla scena del crimine. È tutto così surreale.

Circola la voce che sia il corpo di Tenco che la sua macchina riportassero della sabbia: cosa ne pensi in merito?

La questione della sabbia è stata analizzata nella nostra inchiesta. In realtà sul corpo di Tenco non c’era alcuna sabbia. Si tratta di sporcizia che la fotografia giunta a noi sino ad oggi ha portato con sé. Le immagini che qualcuno mostra nel web per dimostrare la presenza di sabbia, in realtà sono a bassa definizione risultanti da (nell’ordine): copia fotostatica fatta negli anni ’90 da carta baritata (il che crea effetti di luce), scannerizzazione, ridimensionamento e poi trasposizione in formati per pc. Le foto ad alta qualità, che ovviamente possiedo avendo gli atti dell’inchiesta, non hanno niente che somigli a sabbia. Pensi che una volta provai a lavorare sulle immagini web del corpo e, dagli effetti, sembrava che sabbia vi fosse anche in verticale sul cassettone della stanza, cosa ovviamente impossibile e del tutto grottesca. Che invece l’auto avesse della sabbia sul retro purtroppo non può essere un elemento a supporto né del suicidio né dell’omicidio: Tenco aveva forse passato qualche minuto in spiaggia? E allora, cosa dimostra? Tanto più che Tenco muore nella 219 e non altrove, cosa che sappiamo dai rivoli di sangue sul volto e dall’assenza di tracce che portano lontano dalla 219.

Possibile che i due ipotetici assassini (a maggior ragione se si ipotizza che possano essere uomini del SID) abbiano inscenato un suicidio così in malo modo? I piedi sotto al comò (fatto testimoniato dal giornalista Sergio Modugno e dal necroforo Bergadano), la pistola infilata sotto il corpo di Tenco (almeno secondo la ricostruzione della scena da parte della Polizia), la porta della stanza lasciata socchiusa dopo che se ne sono andati?

Infatti non penso sia stato assassinato dal SID sebbene i Servizi c’entrino. Dopo l’archiviazione della Procura è oggi difficile spiegare le ragioni del delitto perché sembrano distanti dal caso. Tuttavia la mia idea è che la morte di Tenco sia maturato all’interno dell’ambiente musicale. Credo che Tenco stesse per mettere a rischio gli affari e la credibilità su piazza di gente che aveva contatti con uomini della Destra eversiva. Gente che poi avremmo ritrovato nelle inchieste sui tentati golpe in Italia, specie in quello di Borghese.

Sempre nel libro, si teorizza una premeditazione del delitto. Quella sera la sorte ha giocato decisamente a loro favore: Tenco eliminato dal Festival (circostanza non così facilmente prevedibile, visto anche che era in coppia con una star internazionale come Dalida) e lo stesso che, invece di andare a cenare al Nostromo con tutto l’entourage, sceglie (all’ultimo momento) di tornarsene al Savoy. In totale, hanno avuto un’ora (da quando Tenco si allontana dal Casino all’ora della sua morte) per inscenare il tutto, cogliendo la palla al balzo degli accadimenti che si susseguivano. Se Tenco avesse invece avuto successo, come avrebbero potuto inscenare un suicidio gli stessi uomini? O credi che la sorte di Tenco fosse comunque segnata e, presto o tardi, avrebbero trovato comunque un altro modo per eliminarlo?
Il problema è stato proprio l’eliminazione. Essa ha accelerato i propositi di Tenco di lasciare il mondo della canzone e proseguire solo come autore. Ma per farlo avrebbe voluto indire una conferenza stampa. È stato questo il gesto più temuto. Come ho detto prima, chi uccide Tenco ha il timore che quest’ultimo ne rovini affari e reputazione mettendo su piazza i suoi rapporti con ambienti eversivi. Tali rapporti, Tenco li avrebbe intuiti in buona parte a causa dei favori che Tenco stesso aveva ricevuto durante il servizio militare (il foglio matricolare ne è prova inoppugnabile).

Siete stati i primi a pubblicare il foglio matricolare del cantautore. Come siete riusciti ad ottenerlo e perché è così importante?

Il foglio matricolare ha una storia particolare. Nel 2008 cercammo quel documento per verificare le parole di una persona che si era detta informata sui fatti che avevano portato al delitto. Questa persona era l’avvocato Giovanni Di Stefano, un personaggio bizzarro, stranissimo e al quale non abbiamo mai creduto in toto. Sosteneva che Tenco avesse ricevuto favori militari durante il servizio di leva (svolto nel ’65) e che, per via di tali favori, gli era stato chiesto di ricambiare portando messaggi cifrati in un paese, l’Argentina, nel quale era prevista una sua tournée. Proprio in virtù di questo viaggio gli era stato concesso di espatriare senza avere i dovuti permessi. L’intervista era del settembre 2008 ma il foglio matricolare non era ancora di dominio pubblico. Non avremmo potuto portarlo alla luce e consultarlo se non fossimo arrivati proprio allo scadere dei 70 anni che, di norma, liberano i fogli matricolari rendendoli disponibili presso gli Archivi di Stato competenti. Grazie a questa consultazione certosina è stato possibile scoprire che Di Stefano aveva ragione perché il viaggio in Argentina non era stato registrato nel ’65 e che dunque Tenco aveva ricevuto favori per espatriare, senza che ve ne fosse motivo. Ma soprattutto l’indizio documentale avvalorava la fonte di Di Stefano, dandole ragione. Per l’avvocato dietro la morte di Tenco ci sarebbero stati interessi legati a un golpe in Argentina (che avvenne nel ’66), con nomi eccellenti della politica italiana. Nella nostra tesi, supportata da elementi più concreti, in realtà Tenco davvero ebbe favori, ma quell’episodio iniziò pian piano a far aprire gli occhi al cantautore mostrandogli il vero volto di chi aveva accanto, cioè di chi aveva contattato uomini di potere in ambito militare pur di ottenere i permessi per l’Argentina; uomini legati all’eversione di Destra che in quegli anni tentava di organizzarsi per sovvertire il potere costituito.

Piero Vivarelli, grande amico di Tenco e suo collaboratore, ha un ruolo centrale, nella vostra ricostruzione dei fatti avvenuti quella notte maledetta: si ipotizza che fosse un’idea partita da lui quella che Tenco avrebbe dovuto l’indomani indire una conferenza stampa e denunciare la situazione del Festival (e forse altre accuse più generiche sul sistema). Si ipotizza addirittura che Tenco, una volta rientrato al Savoy, si fosse recato da Vivarelli per scrivere quel biglietto (poi utilizzato per firmare il presunto suicidio). Eppure Vivarelli non sembra avere dubbi sul suo suicidio (cito: “In questo senso, anzi, bisogna comprendere il suo tragico gesto, anche se non si può giustificarlo. L’ultimo disperato grido di un ribelle, di un altruista, di qualcuno che, pur amandola intensamente, giunge fino a sacrificare la propria vita, affinché gli altri aprano finalmente gli occhi ed agiscano in conseguenza”). Non aveva mai rilasciato dichiarazioni che confermassero questo incontro notturno con Luigi e questo loro presunto intento comune?

Le uniche testimonianze delle parole di Vivarelli quella sera ci vengono da un’altra testimone inedita che abbiamo scovato per la nostra inchiesta – Elisabetta Ponti, inviata del Corriere dello Sport – che ha sempre ricordato nitidamente Vivarelli incitare Tenco a ‘fare qualcosa di clamoroso’. Tutti erano convinti si potesse trattare di una conferenza stampa, come già Vivarelli aveva fatto quando anni prima era stata eliminata una canzone di Celentano. Solo che chi segue Tenco da ormai tre mesi vede in quella conferenza stampa un potenziale pericolo. Che poi Vivarelli possa avere assistito alla stesura di una parte del biglietto è mera ipotesi. Però è certo che lo stesso Vivarelli ha sempre dimostrato di saperne abbastanza su quello scritto.

Le indagini furono riaperte alla fine del 2005 a seguito dell’esposto dei giornalisti Aldo Fegatelli Colonna, Marco Buttazzi e Andrea Pomati. Hai collaborato con loro, o hai avuto confronti? Cosa pensano della nuova riapertura del caso?

Essendo loro tre un pezzo importante della storia dell’inchiesta Tenco, ho avuto modo di contattarli. Ho sempre avuto la sensazione che fossero entusiasti di quanto stessi facendo, se non altro perché ulteriormente rivalutava il lavoro che avevano svolto fino a prima della riapertura del 2005. Per quanto mi riguarda era ed è motivo di orgoglio averli conosciuti e avere discusso con loro alla luce della nuova inchiesta che ho depositato in Procura.

In riferimento a quest’ultima autopsia, il Dottor Martino Farneti (per più di 30 anni al servizio della Polizia di Stato di Roma) nell’intervista sul vostro libro ha dichiarato: “Vi è stata un’esumazione a seguito della quale molti elementi sono cambiati, in particolare da quest’ultima operazione si sono innescati dei nuovi stati putrefattivi che oggi non permetterebbero più di poter svolgere ulteriori prelievi di residui dello sparo dalla mano di Tenco”. Quali esami occorrerebbe ora fare e cosa invece potrebbero accertare di nuovo?

L’unico esame ripetibile è il riaccertamento del bossolo agli atti e analizzare meglio il biglietto per capire eventuali differenze di inchiostro, carta e pressioni. Al limite si potrebbe anche analizzare ulteriormente le particelle risultanti dallo Stub (per via della metallizzazione effettuata dall’Ert). È chiaro che se sul bossolo si accerta l’esistenza delle impronte della Beretta 70, immediatamente il fascicolo va mutato da ‘suicidio’ a ‘omicidio’. Ma ormai la Procura ha detto di no. E non ha neanche spiegato il perché a quel no.

Quanto ritieni valida la cosiddetta pista argentina? Quando saranno consultabili gli archivi presidenziali per verificare la presunta lettera che Tenco avrebbe portato all’allora presidente Arturo Illia nel 1965, esattamente 50 anni fa?

La nostra prima inchiesta (‘Storia di un omicidio’, 2011) era partita per verificare le parole di chi aveva lanciato quella pista. Al termine delle nostre verifiche, la seconda inchiesta (‘Le ombre del silenzio’, 2013) ha posto punti fermi: in quella pista investigativa vi sarebbe di vero solo quanto detto circa la documentazione strettamente attinente a Tenco. Il resto (Moro, Saragat, Gladio…) penso francamente siano elementi infondati. C’è di vero che Tenco era ‘circondato’ da uomini con legami con gli ambienti della Destra eversiva. È questo un punto nodale dell’inchiesta. L’Argentina in sé ha un ruolo marginale in questa storia (ruolo peraltro difficilmente definibile). La novità dell’inchiesta è che ben tre personaggi che hanno avuto a che fare con Tenco li avremmo poi ritrovati affiliati e impegnati, a vario titolo, nel tentativo golpistico del ’70 (tentato golpe Borghese). Non a caso il silenziatore è tipico degli ambienti militari, non certo di uso comune.

Chi sarebbero queste tre persone?

Un importante Generale dell’epoca, un uomo che ha lo stesso nome e cognome del padre di Adriano Aragozzini (manager di Tenco che si occupò della documentazione per il viaggio in Argentina) e un militare che all’ex Distretto Militare di Genova si occupava della selezione per la leva militare.

Paolo Dossena, ex produttore di Tenco, ha dichiarato che Luigi gli aveva confidato che temeva per la sua vita (“È già la terza volta che cercano di uccidermi: io ho paura”), tanto da chiedere a lui di guidare la sua macchina fino a Sanremo, preferendo arrivarci in treno; non è nemmeno un caso che il cantautore, pacifista convinto, acquistò la sua pistola un anno prima della sua morte.

Le minacce a Tenco iniziano quando lui decide di voler lasciare il mondo della canzone e continuare solo come autore. È un punto importante perché allontana Sanremo come ragione del delitto. Non penso c’entrino le scommesse sulle canzoni, cosa tra l’altro che già si diceva prima della morte di Tenco (basta leggere il periodico musicale Big), bensì il pericolo che Tenco ormai rappresentava perché potenzialmente in grado di informare l’opinione pubblica su alcuni soggetti importanti che lavoravano nel mondo della canzone con mani in pasta negli ambienti eversivi. Ma il timore era tutto negli occhi di chi poi avrebbe ucciso Tenco: quest’ultimo infatti neanche si era reso conto del perché era seguito e minacciato. Infatti a Dossena disse proprio a Sanremo: “Non chiedermi chi ce l’ha con me perché non lo so, non ne ho idea”. Aveva ragione, non mentiva.

Dai come punto fermo la volontà di Tenco di dedicarsi alla musica solo come autore. Quali sono le tue fonti?

A riferirlo furono sia un amico di Tenco che il fratello dello stesso cantautore. Si tratta di notizie già pubblicate dai giornali diversi anni fa.

Nel libro ipotizzate una combine a Sanremo: ma se Tenco era già un “sorvegliato speciale” dall’ambiente musicale per le dichiarazioni che avrebbe potuto fare, eliminarlo dal Festival non sarebbe stato controproducente?

Il pericolo non erano le combine, sulle quali già si vociferava da tempo anche pubblicamente sui periodici dell’epoca. Il problema era sia nei legami di lavoro che Tenco aveva con gente del mondo della musica legata all’eversione di Destra e non perché Tenco fosse di Destra (anzi, all’opposto), sia con quanto stava per fare: allontanarsi dal sistema dell’industria musicale, rischiando di spiegare le ragioni di quell’addio e fare qualche nome di troppo. L’eliminazione ha dunque solo accelerato una decisione già presa qualora anche Sanremo fosse andato in malora. Ma di certo l’apparato organizzatore del Festival era al corrente del pericolo Tenco (proprio perché questione tutta interna).

Dal punto di vista psicologico, ritieni plausibile che l’indole di Tenco possa averlo spinto a un suicidio, a nemmeno 29 anni, per l’eliminazione da una gara canora? Può averlo spinto il mix di medicinali e alcol che è ormai pacifico abbia preso prima e dopo la sua esibizione?

Il Dott. Vincenzo Tarantino, grafologo, nell’intervista pubblica ne Le ombre del silenzio dice una cosa molto saggia: mentre scrive il biglietto, Tenco subisce gli effetti della dispercezione, ossia perdita del senso della realtà. Ciò vuol dire che, senz’altro, psicologicamente avrebbe potuto portare al suicidio; ma anche che potrebbe non avere capito che quanto gli si stava suggerendo di scrivere nel biglietto l’avrebbe condotto alla morte. Potenzialmente tutti potremmo essere dei suicidi. Non basta la depressione o lo sconforto a dimostrare un suicidio che non c’è stato. Se tutti i depressi e gli sconfortati del mondo dovessero uccidersi, la Terra sarebbe un deserto.

Come giudichi la figura del Commissario Arrigo Molinari, iscritto alla P2 (tessera numero 767) e che pubblicamente si dichiarò grande estimatore di Gladio? Le sue indagini sull’evento sono state eufemisticamente affrettate e frettolose (ricordiamo che diede la notizia all’ANSA del suicidio di Tenco ancor prima di recarsi al Savoy e accertarsene in prima persona). Eppure, nel 2004, intervistato da Paolo Bonolis a Domenica In, dichiarò: “Indubbiamente un suicidio non è stato. Però posso dire che è stato un omicidio collettivo. Non ho fatto indagini perché non mi hanno permesso di farne”. Singolare anche la sua morte, peraltro: il 27 settembre 2005, a 8 giorni dall’inizio del processo che aveva intentato contro la Banca Centrale Europea e Bankitalia con l’accusa di signoraggio, un ladro entra nella sua residenza (una stanza del vecchio Hotel Ariston di Andora di proprietà della sua famiglia) e lo uccide con 22 coltellate. L’assassino, Luigi Verri, dichiarò di averlo trovato già cadavere quando penetrò nella sua residenza ma poi confessò e si prese 20 anni.

Penso che nella morte di Tenco non c’entri la P2, al contrario di come facili complottismi possano lasciare intendere. Tanto più che sulla P2 andrebbe scritto un trattato, poiché ancora non ne conosciamo il reale significato e valore storico. Penso invece che nel gioco Molinari-Tenco c’entri molto di più quanto poi disse lo stesso Molinari in sede di Commissione Stragi affermando che prendeva ordini dai servizi segreti. Quest’ultimi credo abbiano avuto un ruolo che ho definito ‘di riflesso’, vale a dire che sarebbero intervenuti in un secondo momento per mettere a tacere l’inchiesta. Questo perché c’entrava la rete di eversivi di cui ho parlato all’inizio. Per spiegare tutto nei dettagli servirebbero ore di intervista perché le ragioni del caos Tenco si trovano nell’ingarbugliato mondo sotterraneo che incrociava Servizi e ambienti di Destra. Questi ultimi, l’avremmo poi scoperto da piazza Fontana in poi, si servivano di eversivi per compiere i cosiddetti lavori sporchi. Di conseguenza, non si poteva bruciare questo rapporto andando a fondo nell’indagine su Tenco. Per ‘bruciare’ intendo rischiare di svelare i nomi di uomini che facevano parte degli ambienti eversivi di Destra e che per altre vie erano utili ai Servizi che, lo sappiamo dai rapporti del SID nell’inchiesta su Borghese, sapevano benissimo chi erano e chi fossero. Ma servivano. Quindi gli incidenti di percorso come la morte di Luigi Tenco andavano subito insabbiati. Molinari era a conoscenza di tutto ciò perché aveva rapporti con i Servizi e controllava tutta la zona di confine con la Francia, da dove i francesci dell’OAS (cellula appartenente all’Internazionale nera) si rifugiavano. Come vede, Tenco c’entra in realtà poco o nulla con le grandi questioni politico-eversive del periodo. Aveva solo avuto la sfortuna di incrociare gente che invece era ben più addentrata in tale discorso e per i quali rappresentava un pericolo in quanto Tenco stesso si apprestava ormai ad allontanarsi dall’industria musicale.

I parenti hanno mai preso posizione in merito alla vicenda, in tutti questi anni? E i fan, La verde isola? Giorgio Carozzi, parente e amico di Luigi negli anni giovanili, ha dichiarato che l’ultima riesumazione Cassine l’ha vissuta “come un oltraggio di cui non si sentiva la necessità”.

Anche qui sono tante le cose che ancora non si sanno. Contattai la famiglia Tenco nel 2008 sperando in una sorta di collaborazione per evitare la pubblicazione, da parte mia, di informazioni fuorvianti sul caso. Sarebbe stato utile il loro supporto per alcuni documenti che cercavo e per portare essi stessi, e non io, gli accertamenti tecnici per riaprire il caso. Invece la famiglia Tenco mi comunicò il desiderio che non li contattassi più. Detto-fatto.
Con La verde isola ci sono stati diverbi in passato. E in generale penso che, sebbene sia ammirabile la passione dei fan, la sola passione non basti. Per fare bene le indagini serve preparazione, studio, pratica: insomma qualità, cosa che non possono dare delle foto sgranate. A mio modo di vedere, quando ho portato in Procura la Relazione tecnica, chi aveva un minimo di seguito nel web avrebbe avuto il dovere di aiutare i contenuti depositati e non ignorarli come se fossero cose marginali. Dico questo consapevole che ovviamente ciò non avrebbe evitato l’archiviazione.
Fra tutte quelle sentite, le parole di Carozzi sono quelle che comprendo di più. Non perché avesse ragione nel merito (la riesumazione invece andava effettuata, eccome) ma perché penso che quando non si hanno gli strumenti tecnici per capire di cosa si sta parlando, si rischia di dare giudizi dettati da altre ragioni come quelle dell’affetto per la persona scomparsa. La riesumazione non è stato un oltraggio: semmai, l’oltraggio è stato impacchettare Tenco nel ’67 e spedirlo in un loculo senza accertare alcunché. Se dovesse essere l’affetto dei parenti a dettare le indagini non si scoprirebbe neanche il 10% dei crimini commessi.

Dalida è morta nel 1987 (suicida, al terzo tentativo). Il suo ex compagno Lucien Morisse (ospitato anche lui al Savoy) si suicidò nel 1970. Il Commissario Arrigo Molinari è stato ucciso nel 2005. Sandro Ciotti, che era nella camera a fianco, è morto nel 2003. Lucio Dalla, che occupava la camera di fronte a quella di Tenco, è morto nel 2012. Piero Vivarelli è morto nel 2010. Sergio Modugno nel 2012. Ugo Zatterin (che nella commissione spinse per l’eliminazione del brano di Tenco e che pare si mise di traverso nelle indagini) nel 2000. Il suo acerrimo “rivale” Lello Bersani nel 2002. Morti sono anche Franco Borelli, il medico del Savoy e il necroforo Giuseppe Bergadano. Secondo te, a quasi mezzo secolo dalla vicenda, chi fra quelli che sono stati in qualche modo testimoni di quei giorni sono ancora in vita e possono portare nuovi elementi alle indagini con la loro testimonianza? Paolo Dossena? Mario Simone (della RCA)? Cesare Gigli? Qualcuno ha mai interrogato i dipendenti del Savoy, all’epoca (il portiere e il guardiano notturno che la notte del 26 gennaio erano di turno erano il Walter Carattoni e il Luigi Cenati)?

I dipendenti del Savoy furono interrogati da Marco Buttazzi e Andrea Pomati negli anni ’90. In merito ai possibili testimoni, credo che nessuno di quelli nominati potrà, ad oggi, cambiare la storia del caso Tenco. Chi invece può, tace. C’è infatti qualcuno che è ancora vivo (due persone) che sanno come sono andati i fatti che hanno portato alla morte di Tenco. Queste persone non sono neanche molto anziane e ancora lucide. Una delle due è direttamente coinvolta in questa storia e di cose ne sa, eccome. Avrà tirato un sospiro di sollievo alla notizia recente dell’archiviazione. Se quest’ultima non fosse giunta avrei depositato in Procura un dossier sulle possibili motivazioni e gente da interrogare. Una terza persona che sa è invece Valeria, ultima fidanzata di Tenco. Ma anche in questo caso il silenzio ha la meglio.

Persino Orietta Berti, tirata suo malgrado in ballo dal presunto foglietto scritto da Tenco, si dichiara da sempre convinta che non si tratti di un suicidio, mentre ci sono colleghi come Bruno Lauzi, Gino Paoli e Ornella Vanoni che ne sono convinti.

Sui colleghi di Tenco che si dicono convinti del suicidio non ho intenzione di parlare, in quanto il loro apporto alle indagini è del tutto inutile e irrilevante. È un po’ come se io avessi la pretesa di insegnare loro come si scrive una canzone. Allo stesso modo non ritengo siano minimamente in grado di poter mettere bocca in un’indagine.

Cosa risponderesti a chi liquida frettolosamente la vicenda come uno dei tanti casi di complottismo spicciolo?

Ho letto alcuni articoli scritti da gente che neanche sa la differenza fra bossolo e proiettile, il che dimostra quanto siano attendibili. Prima di parlare bisognerebbe avere letto, o almeno sfogliato, le carte dell’inchiesta. Invece ho letto cose che rasentano una povertà di contenuti degna del peggiore giornalismo amatoriale. Tra l’altro, tra i giornalisti che hanno criticato la documentazione che ho portato in Procura, c’è chi ha di recente scritto libri con chi ha fatto le indagini sul cadavere di Tenco nel 2006, il che lascia quanto meno perplessi sulla capacità di poter esprimere un giudizio lucido, obiettivo e distaccato sul caso.

Sei mai arrivato a un punto in cui ti sei chiesto “Ma chi me lo fa fare”?

No, e più vado avanti più mi rendo conto che invece farlo ha avuto e ha un senso: con l’ultima inchiesta abbiamo generato un punto di non ritorno, confermato dal servizio perfetto di Chi l’ha visto? che resterà come pietra miliare nel caso Tenco.

Chiudiamo con la musica: ami i brani di Tenco? Qual è il tuo preferito?

Sì, sono molti i brani di Tenco che mi piacciono. A parte i più celebri, sono due canzoni meno conosciute che gradisco: Più mi innamoro di te e Guarda se io.