Intervista agli Interpol. Daniel Kessler: “Avrei voluto scrivere musica per Antonioni”

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di Letizia Bognanni

Marauder, ovvero il lato oscuro e distruttivo della personalità di Paul Banks, si sfoga nel nuovo album degli Interpol. “Poi lo rimetto a dormire”, aveva detto il frontman in occasione della conferenza stampa di presentazione del sesto album della band newyorkese, un talk movimentato, interrotto dall’apparizione del protagonista del video The Rover, durante la quale i tre avevano parlato di batterie sfasciate in studio e problemi con la polizia per i volumi alti (in realtà il disco non è così heavy) e dato l’impressione di divertirsi ancora molto, dopo ormai quasi vent’anni di una carriera che li ha portati ad essere la band simbolo del “nuovo” post-punk, che hanno festeggiato l’anno scorso con un tour per i quindici anni dell’album di debutto Turn On The Bright Light. Questo entusiasmo non scolorito per la musica si sente anche nel modo in cui ce lo ha raccontato il chitarrista Daniel Kessler.

Parlami del nuovo album. Come lo descriveresti, in cosa è diverso dai precedenti?

“Non saprei. Ci è sembrato, in qualche modo, un logico passo in avanti. Abbiamo iniziato con una canzone e nella stanza c’era una grande energia. Ci sentivamo rinvigoriti e provavamo questo fortissimo senso di urgenza. Lo abbiamo assecondato”.

È la prima volta che avete un produttore. Come mai proprio adesso ne avete sentito il bisogno?

“Non so dirti se sentivamo la necessità di avere di un produttore, ma di sicuro lo desideravamo. Dopo il tempo trascorso in studio avevamo l’impressione che tutto fosse come ancora incompiuto e volevamo rimanere aperti all’idea di qualcosa di nuovo. Abbiamo iniziato a parlare con Dave Fridmann, che ha fatto degli album grandiosi con un feel analogico, e ci siamo entusiasmati tutti. Lo abbiamo invitato a produrre una canzone e abbiamo pensato che fargli produrre tutto il disco sarebbe stata un’esperienza grandiosa. Eravamo curiosissimi di sapere come sarebbe stato farsi produrre il resto del disco da un’altra persona, di scoprire quale sarebbe stato il risultato. Ed è stata un’esperienza meravigliosa. E questo incontro incredibile con un produttore incredibile, questa collaborazione ha dato risultati molto positivi”.

Il titolo, Marauder, si riferisce a un personaggio. Ovviamente so che non sei tu a scrivere i testi delle canzoni, ma da artista – poiché l’album è anche molto personale come ha detto Paul Banks, pieno di storie personali – ma…

“Non penso che nell’album ci sia un solo personaggio. Credo ci sia una canzone il cui testo parla di quel personaggio, ma in generale ci sono molti altri personaggi. No, non credo che l’album in sé sia tutto dedicato a Marauder”.

So che quando vi mettete a scrivere canzoni, come band, l’input viene da te, nel senso che arrivi in studio con una parte di chitarra, un’idea che è l’inizio della canzone. La vedi come una responsabilità, ti mette sotto pressione essere il punto di partenza delle canzoni?

“No, è solo il modo in cui scrivo le canzoni e come ogni cantautore inizio da solo. È qualcosa che mi piace parecchio fare e penso di aver “iniziato” molte più canzoni di quante poi abbiano avuto un destino pubblico. Ma sono cosciente che è la parte iniziale del lavoro e quindi per me ha una grande significato personale, tutto qui. Mi piace moltissimo scrivere canzoni e se c’è qualcosa che mi piace, mi ispira, lo memorizzo e lo propongo, quindi sì, di solito la cosa inizia con me e su quell’input iniziamo a lavorare tutti insieme”.

Ho letto che una delle vostre fonti di ispirazione è il cinema. C’è qualche immagine o riferimento cinematografico in questo disco?

“No, è semplicemente che mi piace molto il cinema e ho bisogno di uno stimolo visivo quando scrivo. Ma in Maurauder non c’è un riferimento diretto, non so dirti nei testi, ma nella musica non c’è. Diciamo che uso – e amo farlo – la forma d’arte cinematografica come mezzo di ispirazione per la scrittura, ma oltre questo non c’è altro.

C’è un regista per cui ti piacerebbe scrivere una colonna sonora?

“Mi piacerebbe moltissimo scrivere una colonna sonora. Il regista? Non saprei sceglierlo. Ce ne sono troppi, così tanti che non saprei da dove cominciare. Avrei voluto dirti Antonioni, solo perché è uno dei miei preferiti, ma lui non c’è più”.

Nel disco io questa atmosfera cinematografica la sento nei due interludi: sono come una pausa, come l’intervallo di un film…

“Assolutamente. Concordo, gli interludi sono molto cinematografici”.

Marauder, naturalmente, non è un concept album, ma c’è comunque una sorta di filo rosso che attraversa le canzoni. Ho l’impressione che oggi ci sia un po’ una tendenza, un ritorno ad album con un concept forte – penso per esempio al nuovo degli Arctic Monkeys. Potrebbe essere una reazione alle nuove abitudini di ascolto alimentate da Spotify, per esempio, ascoltare playlist, o una sola canzone alla volta, per cui fare un album del genere è come dire: devi ascoltare il disco dall’inizio alla fine?

“Penso che noi siamo sempre stati così, siamo sempre stati una band da album, fin dal primo disco. Non credo ci sia qualcosa di diverso oggi nel modo in cui realizziamo gli album. La modernità e la tecnologia, in un certo senso, hanno cambiato l’industria musicale ma fondamentalmente non hanno cambiato il modo in cui facciamo le cose. Scriviamo ancora album e speriamo ancora che alla gente piaccia l’intero lavoro anche in un’epoca diversa, in cui tutto è sempre più veloce, si passa subito ad altro. Per noi non è cambiato nulla, almeno speriamo sia così. Non definirei Marauder un concept album, non c’è una continuità di personaggi nei testi, non lo definirei nemmeno un ‘nuovo capitolo’. Non ci sono metafore o cose del genere, quello che facciamo oggi è molto più divertente e diretto”.

Ho una curiosità. In NYSMAW c’è un riferimento a Prince e Arrested Development.

“Per questo dovresti chiedere a Paul. È lui che ha scritto quei versi ed è lui l’unico che può risponderti”.

Ok, rimarrò con la curiosità. In un’intervista ho notato che parlate molto, Paul e Sam in particolare, dei Led Zeppelin. Che non è uno de primi nomi di band che viene in mente quando si pensa agli Interpol. Sono forse un’inaspettata fonte di ispirazione per voi?

“Adoriamo tutti i Led Zeppelin. È una di quelle band che abbiamo in comune, su cui siamo tutti d’accordo. Non so se questo sia indicativo di una loro influenza. Sam è un grande fan dei Led Zeppelin ed essendo anche un gran batterista aspira un po’ ai Led Zeppelin, e forse lì qualcosina può sentirsi, ma in generale non credo che abbiano qualcosa a che fare con il modo in cui scriviamo o con la band… Credo sia la classica band che ascoltavamo tutti da ragazzi quando ci siamo avvicinati alla musica e quando abbiamo iniziato a farla”.

Cosa ascolti in questo periodo?

“Non sto ascoltando molte band in questo periodo, se devo essere onesto, ascolto cose come jazz, folk e un po’ di hip hop dove capita, dove mi trovo. Mi piacerebbe dire che sia rimasto qualcosa di interessante a New York ma negli ultimi anni musicalmente non prospera”.

L’immagine di copertina dell’album appartiene a un’epoca problematica nella storia politica degli USA. Anche oggi sia voi, che noi in Europa, viviamo in periodo non molto felice. Che ne pensi della politica oggi?

“Penso sia un momento difficilissimo. Di sicuro negli Stati Uniti c’è una situazione tesa e dura, ma noto che questo trend si sta diffondendo in tutto il mondo. È un momento complicato, ugualmente strano per tutti, in cui non possiamo più prevedere esattamente cosa accadrà in futuro. E questo causa molta ansia, molti intralci”.

Pensi che gli artisti possano fare qualcosa?

“Personalmente le mie opinioni non le nascondo e sono molto politicizzato. Dovremmo esserlo tutti di più, la musica è il mezzo per diffondere ad alta voce i pensieri. Ma penso anche che tutti, artisti e non, in generale in questo momento dobbiamo essere attenti, vigili. È qualcosa che possiamo fare tutti”.

Perché non avete mai ingaggiato un altro bassista quando Carlos ha lasciato la band?

“Ci siamo affidati a Paul. È avvenuto tutto in modo così naturale, organico, che abbiamo pensato che andasse più che bene così, che fosse la strada giusta da seguire. Non abbiamo mai sentito l’esigenza di una sostituzione. Ma capisco perché la gente ci chieda come mai dal 2011 non abbiamo un bassista”.

C’è una canzone più significativa delle altre per te nell’album?

“No, non ne ho una preferita. Fin dall’inizio mi ha coinvolto tutto l’album nella sua interezza. E poi forse è ancora troppo presto per scegliere la preferita. Ma se ti devo dire per quale canzone ho un certo debole, è la prima”.

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