La spiritualità prima del post rock: Spirit Of Eden dei Talk Talk

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(Talk Talk – Spirit Of Eden, 1988 – EMI)

Riconoscere immediatamente un suono o un gusto è un riflesso automatico e quotidiano. “Rumore”, in collaborazione con Jameson, vi porta a scoprire ciò che li rende riconoscibili.

di Luca Minutolo

Si tratta di una domanda probabilmente stupida, ma concentratevi per un attimo e pensateci bene. Sapete qual è il suono del silenzio? La domanda all’apparenza marzulliana ha avuto nel secolo scorso innumerevoli tentativi di risposta in ambito musicale. La celebre The Sound Of Silence di Simon & Garfunkel ha costruito su questo interrogativo una delle melodie scolpite nella storia della musica pop. Oppure il compositore John Cage è riuscito a dimostrare con la sua 4’33’’ che il silenzio assoluto non esiste. Anche quando alcun strumento non emette suoni, l’ambiente circostante si trasforma in sinfonia di rumori e melodie altrimenti impercettibili perché coperti da altro. A tal punto da lambire la negazione del suono stesso come celebrazione e percezione di una vibrazione primordiale. Anche quando crediamo di essere isolati da qualsiasi rumore, il nostro corpo percepisce il suo stesso suono. Dunque, per una elementare congettura supportata dalla mera legge fisica che ci governa, il silenzio assoluto sul pianeta dove poggiamo i piedi non esiste. Eppure c’è stato qualcuno che questo silenzio lo ha cercato, raggiungendolo per pochissimi, ma interminabili istanti.

Facendone un mezzo attraverso cui dare risalto invece al suono stesso. Tentativo coraggioso che riuscì magistralmente a Mark Hollis e suoi Talk Talk con Spirit Of Eden. All’apparenza gli ultimi che all’epoca avrebbero potuto far trapelare una presa di posizione così netta e decisa in barba al loro successo mondiale sempre più crescente. Sulla scia di due hit del synth pop anni ’80 come It’s My Life e Such A Shame, Mark Hollis e soci diedero un’avvisaglia, interpretabile solamente col senno di poi, con la new wave levigata dalla melodia di The Colour Of Spring.

Un successo planetario che Mark Hollis decide di evitare con la stessa naturalezza con cui si evita una deviazione stradale. Una sterzata sciolta, ma decisa per allontanarsi dall’etichetta del new romantic prontamente affibbiata di fianco al nome dei Talk Talk. La scelta di un uomo verso lo stupore della normalità. Spirit Of Eden segna dunque una cesura decisiva nella carriera dei Talk Talk. Decisi ad abbandonare qualsiasi mira commerciale per andare al sodo della questione. Rincorrere quel silenzio assoluto da usare a proprio vantaggio nella costruzione di brani che hanno il jazz come punto di partenza, alla scoperta di nuovi confini musicali e spirituali fino ad allora sconosciuti. Chiavi di volta consegnate idealmente da un mostro sacro come Miles Davis: A Kind Of Blue e Sketches Of Spain sono solamente il punto di partenza per raggiungere un obbiettivo più alt(r)o. Durante una delle sue rare interviste concesse ad Adrian Deevoy del magazine inglese Q, proprio all’epoca della pubblicazione di Spirit Of Eden (tratta dall’archivio online Rock Backpages e riproposta dal “Guardian”, Mark Hollis risponde così alla richiesta di delucidazioni sulla modalità ideale per l’ascolto del disco: “Sicuramente a notte inoltrata. In una situazione di calma e senza distrazioni”. Subito lo incalza Deevoy, azzardando un passo più lungo della gamba: “Non credi possa risultare più piacevole come sottofondo durante una cena formale?”. Pronta arriva la risposta stizzita di Hollis: “Assolutamente no. Forse dopo una cena. Devi dedicarci tutta la tua attenzione. Non bisognerebbe mai ascoltare la musica come sottofondo. Mai”.

E l’attenzione Spirit Of Eden la cattura fin dall’apertura, affidandola alla magnifica The Rainbow, il suo brano più lungo. Una linea di tromba lieve introduce archi e feedback chitarristici su un tappeto ambient sospeso nel vuoto. Fuori dallo spazio e dal tempo. Poi il silenzio interrotto da un lieve rumore di fondo, squarciato in due da un riff di chitarra blues torrido e dilatatissimo. L’armonica che irrompe per lasciar spazio a percussioni elementari e pianoforte a dettarne le linee melodiche. Il cancello schiuso dalla voce di Mark Hollis lascia spazio a un continuo saliscendi intervallato dal silenzio dosato alla perfezione. Il silenzio appunto. La spiritualità evocata dalla cesura dei Talk Talk passa attraverso la quiete. Valore aggiunto di Spirit Of Eden che diventa per osmosi una scelta di vita per Mark Hollis. Come svanire completamente dal mondo rifugiandosi nel silenzio dell’anonimato. Un gesto che Hollis compie con naturalezza fuori dal comune. Tirandosi fuori dalle logiche mainstream attraverso un disco come Spirit Of Eden, proprio nel momento in cui la EMI vuole cavalcare l’onda lunga del successo commerciale. Scelta dettata da rigore artistico fuori dal comune. Lo stesso che muove le decisioni azzardate di chi è consapevole di aver fatto la scelta giusta, anche se in controtendenza verso il mondo circostante. Ne sono prova il minimalismo ancor più spinto del successivo Laughing Stock e il germogliare lento, ma maestoso, di tutte le band che oggi raccolgono i frutti di questo grande Eden post rock.

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