Live Report: Howe Gelb @ Islington Assembly Hall, Londra, 07/03/2014

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How Gelb

di Stefania Ianne

Un musicista barbuto senza nome finisce sul palco una versione solitaria di Break On Through (to the other side) alla chitarra mentre entro in sala. Scelta peculiare una cover dei Doors quando il tempo a disposizione in pre-apertura di un concerto rock è a dir poco limitato. Tavolini sparsi a destra e a sinistra del palco. L’atmosfera è rilassata anche se il pubblico per il momento è scarso. Tutto è pronto per l’arrivo sul palco di Howe Gelb ma per primo al microfono e alla chitarra acustica si presenta in nero l’uomo che poi lo accompagnerà durante il concerto, Gabriel Sullivan. È nella posizione che occuperà per tutto il concerto all’estrema destra del palco per chi guarda, assistito al contrabasso dal danese Thøger T. Lund. Quest’ultimo suona un contrabasso mai visto dalla forma aerodinamica. La performance è intensa nonostante la diffidenza del pubblico e l’insolito vuoto enorme al centro del palco. Manca qualcosa. Ma Sullivan riesce a catturare l’attenzione. Sembra rievocare i demoni prodotti da notti ubriache solitarie in maniera convincente. Tra una canzone e l’altra ci parla del suo progetto The Crucible: ha composto, registrato e postato sul suo sito una canzone al giorno da più di 60 giorni. Stasera ci mette a disposizione tutta la sua produzione musicale in forma digitale per 5 Euro. Peccato che gli Euro non abbiano solcato il confine britannico. “Why didn’t you tell me?” Si rivolge in direzione del tour manager. “Ah well, pay what you wish. I deserve it!” Gelb si presenta in ritardo sul palco ad accompagnare il suo chitarrista alle tastiere per l’ultima canzone. “Have you seen a man with a brown hat like this?” Gelb e Sullivan, due generazioni diverse, in comune la passione per la musica, la stessa voglia di sorprendere, lo stesso cappello.

Dapprima Gelb indossa una camicia casual per la presenza fugace per accompagnare il suo musicista, ma poi si reinventa per la prima canzone della sua serata. Il cappello è inseparabile, ma la camicia è nera e una cravatta insolita, gialla a scacchi alterni neri, pende dal suo collo. Sembra presa in prestito da uno dei tanti negozi di vintage che spuntano come funghi sulle strade londinesi. Il musicista ha superato la soglia dei sessant’anni. Quando sia successo non ho idea. Non li dimostra. Gelb appare rilassatissimo, ma il suo spirito è tagliente. La sua fama a livello di culto lo precede: una carriera musicale anticonformista all’estremo, una prolifica produzione musicale almeno trentennale, alla ricerca di un punto di rottura tra il rock d’avanguardia, il folk e il jazz.

La presenza scenica clownistica, l’ironia del suo approccio sono evidenti dalle prime battute. Inizia in maniera stentata da solo alla chitarra acustica con Fields Of Green. Sulla nota finale Sullivan e Lund lo raggiungono sul palco. L’affiatamento e la complicità tra i tre musicisti è palpabile nonostante i problemi tecnici. Gli strumenti cadono a pezzi, letteralmente. Il pedale della batteria muore dopo un paio di canzoni, la punta di uno dei battenti schizza e vola sulle teste del pubblico, ma il concerto non perde d’intensità. Le chitarre sembrano di fortuna, Gelb descrive la sua chitarra elettrica come un elettrodomestico rubato da un diner americano. Quelle acustiche sembrano aver visto tempi migliori. Sicuramente risalgono agli anni ’50 ma il suono migliora con gli anni. Gelb rivela che il contrabasso è stato scolpito pazientemente e teneramente dal bassista danese, svelato il mistero della forma inconsueta, più unica che rara. Tutto sul palco trasuda passione, onestà e tanta ironia. Gelb è colpito dall’aspetto della sala, la definisce “cavernous”. Tipico Gelb, un’artista dell’insolito. La cravatta è stata rispolverata per adeguarsi all’occasione. Definisce le pagine depositate sulle tastiere dall’onnipresente tour manager come il libretto dell’opera appena composta. “Opera or operation?” Gelb evoca il fantasma di Donizetti e per un attimo persino accenna Una Furtiva Lacrima alla voce con accompagnamento improbabile alla chitarra. Gelb con il suo viso intenso da nativo americano e il suo atteggiamento teatrale e le pause alla Proietti si diverte e ci diverte. E i suoi complici sul palco non sono da meno. Nonostante le proteste vane al crollo della batteria, Sullivan continua imperterrito e in maniera altrettanto efficace, sotto lo sguardo divertito ma paterno di Gelb mentre il tour manager è intento al restauro paziente del pezzo mancante nella semioscurità. Il bassista danese semplicemente ha voglia di suonare, di vibrare, e si alterna tra il contrabasso e un basso classico dal suono e dall’aspetto vintage. Le canzoni e le parole poi danno i brividi nella versione grezza dal vivo. Trasformate, soprattutto Unforgivable. Gli assoli elettrici sono inaspettati, i duelli tra le due chitarre acustiche elettrizzanti. La parte meno convincente è l’interludio pseudo-jazz con Gelb alle tastiere, nonostante la bellezza minimalista di Chunk of Coal. Picacho Peak segna un altro momento molto intenso del concerto. Il Coincidentalista ha colpito ancora. Ci saluta con un sorriso beffardo mentre pronuncia la parola: “Elation!” Durante il concerto l’ha sostituita all’abusata “Cheers” per ringraziare il pubblico. Seguita puntualmente dall’immancabile risposta del pubblico: “That’s right Jack!

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