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Intervista ai Mariposa: “Anche nel 2020 si possono tradire i generi e produrre nonsense pieni di significati”

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di Doriana Tozzi

In un’epoca in cui si sente dire spesso che “tutto è già stato fatto, tutto è già stato detto” i Mariposa, dopo circa otto anni di silenzio, hanno dato alle stampe Liscio Gelli, un album che smentisce con i fatti questo cliché. Il “liscio” riletto in chiave Mariposa, infatti, diventa una esuberante scappatoia dalla razionalità, con i consueti slanci di follia che hanno sempre reso caratteristica questa estrosa formazione, dunque tutt’altro che liscio da balera. Tra le linee dei nuovi brani si alternano e talvolta si sovrappongono mazurka e balli caraibici, polka e jazz, galop e musica psichedelica, tango e prog, con liriche attuali e spesso schiettamente politiche che lanciano frecce appuntite dall’arco del sarcasmo. La Romagna, il Sud America, il Mediterraneo e infiniti regni surreali convivono in questa nuova (e “sporca”) dozzina di brani, tra viaggi esotici e mentali forse alla ricerca della felicità, anche se “chi la cerca non ce l’ha” (da Pura Vida, Dittatura!). La teatralità e il virtuosismo spinto dei nostri sono gustosamente cosparsi di marmellata psichedelica e schizofrenia creativa dimostrando, come confermano in questa intervista, che “anche nel 2020 si possono tradire i generi, realizzare accostamenti impossibili, produrre nonsense pieni di significati”.

La “farfalla” è tornata. Da poco avete infatti messo fine alla vostra “eclissi inconsapevole”, pubblicando un nuovo album di inediti. Cos’è accaduto nell’arco di tempo tra Semmai Semiplaya e Liscio Gelli?

“Sono accadute alcune di quelle cose che hanno a che fare con l’età adulta: ad alcuni di noi, ad esempio, è accaduto di diventare papà. Uno di noi è stato in tour con PJ Harvey per quasi due anni. Sono nati nuovi progetti come Hobocombo e Pecori Greg. Ognuno di noi ha continuato a seguire il mondo della musica da prospettive diverse. Era naturale che dopo un po’ si volesse riconquistare la prospettiva comune anche solo per il fatto che in questi anni di pausa siamo rimasti molto amici fra di noi”.

Vent’anni fa avete inaugurato questa avventura artistica in quattro per poi adottare un nuovo membro quasi ad ogni uscita, fino alla formazione attuale di otto elementi. In questo disco le novità principali sono le voci, quella di Serena Altavilla (che avevamo già ascoltato proprio in Semmai Semiplaya e quindi più che una novità è una conferma) e la vera new entry che è Daniele Calandra. Come vi siete conosciuti e in che modo è cominciata la vostra collaborazione?

“Serena aveva debuttato con noi nel 2011 sul palco del Club Tenco e poi si era unita alla band per il disco e il tour di Semmai Semiplaya, ma la frequentazione era più antica: la nostra label aveva già prodotto i dischi dei Baby Blue e avrebbe prodotto quello dei mai dimenticati Blue Willa, band di cui Serena era la strepitosa voce. Daniele lo conosciamo dai nostri esordi: anche della sua band, gli Addamanera, avevamo prodotto i dischi via Trovarobato. Daniele è stato una delle anime del nostro talk show Magazzeno Bis. Grandioso scrittore di canzoni, con quella semplice complessità che solo le canzoni ben scritte possono avere, Daniele è anche una delle persone più psichedeliche che conosciamo e quindi non potevamo esimerci da fare qualcosa con lui”.

All’interno di Liscio Gelli, come il titolo lascia intendere, ci sono numerosi elementi ispirati al liscio e principalmente ai balli romagnoli ma questi, come la musica componibile insegna, sono sapientemente mescolati con generi e stili radicalmente lontani, che arrivano a coinvolgere prog, psichedelia e molto altro. Com’è nata l’idea di questo tipo di sperimentazione sonora?

“Inizialmente Liscio Gelli doveva essere un side-project dei Mariposa. Con il tempo è diventato un disco e da quel momento ha virato decisamente verso la rotta della musica componibile, dove le barriere di genere si rompono all’interno della stessa battuta. La sperimentazione è stata semplice ma anche ardua, infatti per molto tempo non siamo riusciti a mettere a fuoco il processo e quindi il risultato. Almeno fino a un paio d’anni fa”.

Tra l’altro il liscio è alla base di uno dei numerosi progetti in cui è attivamente coinvolto il vostro Enrico Gabrielli, ovvero L’Orchestrina di Molto Agevole. A parte la condivisione del genio stesso di Gabrielli in entrambi i progetti, ci sono altri punti che per voi accomunano l’esperienza dell’Orchestrina con quella di questo disco?

“Il suono di Liscio Gelli, così come quello dei dischi dell’Orchestrina, porta la firma di Rocco Marchi, chitarrista di entrambe le formazioni, che ne ha curato il mix. Ma in generale l’approccio è piuttosto differente: nell’Orchestrina si tenta la ri-costruzione di un suono di liscio classico, un po’ come ha fatto T Bone Burnett con l’Americana, mentre nei Mariposa si è trasfigurato il liscio per portarlo in territori molto distanti dalle sue origini e dalla sua estetica”.

Come si è potuto intuire già a dicembre, quando avete pubblicato il primo singolo di questo nuovo lavoro, Pura vida, dittatura!, un brano ipnotico, quasi una giungla di ritmi latino americani con evoluzioni strumentali vicine alle colonne sonore delle pellicole cult di spionaggio degli anni 70 e che effettivamente viaggia su territori abbastanza distanti dal liscio. Come mai avete scelto proprio questo come primo singolo?

“Bella domanda! È uno dei brani con il quale ci siamo maggiormente sbizzarriti e che ci ha divertito lavorare. Compone i titoli di testa di Liscio Gelli, anche se con il liscio ha poco a che fare, e ne definisce l’ambito. La struttura del brano, semi-strumentale, con alcuni inserti vocali ma senza un vero testo (senza contare la citazione del Signor Rossi), ci è parso creasse un buon preludio e una buona affermazione per il nostro ritorno. Infine l’ossimoro del titolo ci pare sintetizzare bene i tempi in cui viviamo, spensierati ma sinistri”.

Se le sonorità di Liscio Gelli sono retaggio soprattutto della tradizione musicale romagnola, non è la prima volta che dedicate interi lavori a repertori di musica popolare e tradizionale di diversa provenienza, come nel disco strumentale Nuotando in un Pesce Bowl del 2004, che rimaneggiava pezzi del repertorio napoletano antico. Qual è secondo voi oggi il valore della musica popolare e il ruolo della contaminazione?

“La contaminazione per noi è quasi un dato di fatto. Lo facciamo da sempre e non abbiamo mai avuto paura dell’accostamento anche ardito a rischio (come è successo) di non essere compresi. Troviamo impossibile concepire la nostra musica senza questo processo. La musica popolare, nel senso di world music, invece è un territorio che non abbiamo quasi mai frequentato. Il disco che citi fu commissionato come rivisitazione del repertorio napoletano e poi a conti fatti divenne tutt’altro. Un disco di ambient, inclassificabile al pari dei nostri dischi di canzoni”.

Infatti, un po’ come diventa tutt’altro anche in liscio nel nuovo disco, se si pensa che di solito questo genere è solitamente visto come musica da ballo, spesso spensierata e d’altri tempi, e invece il liscio filtrato dalla lente dei Mariposa si contamina di temi oscuri e torbidi (già dal “Gelli” del titolo) che tra sarcasmo e una ventata di dadaismo compaiono nei brani come un fantasma dalle sembianze piuttosto attuali. Cosa vuole evocare questo “fantasma” agli ascoltatori del 2020?

“La cosa che più vogliamo evocare è che anche nel 2020 si possono tradire i generi, realizzare accostamenti apparentemente impossibili, produrre nonsense pieni di significati. Vogliamo affermare una libertà creativa che il contesto contemporaneo tenta di soffocare nella culla”.

I collegamenti alla massoneria e ai complotti avvicinano necessariamente questo lavoro ad un certo tipo di immaginario storico e politico. In questo senso si può secondo voi parlare di concept album?

“Sì, tra l’altro dischi che si possono definire concept album ne abbiamo già realizzati. Come spesso accade il concept è emerso mano a mano che scrivevamo, arrangiavamo, producevamo. C’è il gioco dei grandi complotti della prima repubblica, dell’Italia dei misteri irrisolti, ma c’è soprattutto il complotto artistico di un liscio che liscio non è, di una musica leggera che leggera non è, di un rock che rock non è”.

In sede live Liscio Gelli diventa infine un radiodramma (che portate dal vivo insieme a Francesco Locane): come si sviluppa lo spettacolo?

“Si spengono le luci e si accende la radio: siamo sul primo canale di una fantomatica Radio Nazionale. Il conduttore ospita una band, per un programma di musica dal vivo. Sembra tutto normale, ma presto ci si accorgerà che tutti, band, musicisti e pubblico saranno prigionieri di una strana ucronia. Parte il radiodramma”.

Chiudiamo con una domanda sulla prima parte della vostra carriera. L’anno scorso avete festeggiato i 20 anni dalla nascita della band. Nonostante i cambi di formazione e gli anni di silenzio discografico, vogliamo fare un primo bilancio dell’attività dei Mariposa? Cosa è cambiato secondo voi negli ultimi 20 anni all’interno della musica, italiana e non?

“Il bilancio è ancora da chiudere. Se abbiamo sentito il desiderio di riprendere il cammino è forse perché non potevamo chiudere il conto. Fin qui, quello parziale, è che i Mariposa hanno insegnato a noi stessi come fare i musicisti, anche se alcuni di noi lo fanno come professione, altri sono tornati al nobile diletto. Ma tutti in qualche modo abbiamo iniziato da qui, da questa band e dai nostri dischi. Cosa è cambiato invece della musica italiana, e non? Troppo ampio il campo e si rischia di dire banalità, anche perché in questi ultimi 20 anni abbiamo visto evolversi e morire ogni genere di supporto alla diffusione della musica (liquida), ma non abbiamo visto altrettanta vitalità in un ambiente come lo studio di registrazione, ad esempio. In Italia è appena terminato Sanremo e da qualche parte si legge che i risultati finali delle ultime edizioni riallineerebbero la musica di Sanremo con quella del “Paese Reale”. Probabilmente è vero, non riusciamo a dire se questo sia un bene o un male per la musica, però. O, più che per la musica, per le voci fuori dal coro. Coloro che “non si legano a questa schiera, morranno pecora nera”, per dirla con il buon vecchio Guccini”.

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