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Intervista: Alan McGee

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alan mcgee rumore

di Nicholas David Altea

 

È stato un vero colpo di fortuna che li abbia scoperti. Ero là a vedere un mio gruppo, i 18 Wheeler, il gruppo della mia Debbie Turner che suonava quella stessa sera.

Ti guardavi in giro e ti fissavi su questo tizio, lui se ne stava seduto in Adidas come un giovane Weller, capito, e non potevi che pensare “Questo tipo è maledettamente figo”. Ma pensavo che fosse uno spacciatore e che il cantante del gruppo fosse un tizio che sembrava un muratore prossimo alle calvizie.

E io pensavo “Ok la canzone era piuttosto buona. Il cantante ha carisma – ma il chitarrista sarà capace di…”. L’assolo di chitarra è stato grandioso. Era Bring It On Down. Ho pensato “Cazzo!”. E poi ho detto a Susan “Questi sono davvero bravi”. Sai ero rimasto scioccato. E poi hanno incominciato Up In the Sky e l’assolo è stato indimenticabile. “Io li ingaggio”, ho detto.

(tratto da: “Come ho resuscitato il brit rock – Storia di Alan McGee e della Creation Records” di Paolo Hewitt, ed. Arcana)

Se Alan McGee avesse solamente scoperto gli Oasis, forse, ma dico forse, si potrebbe anche parlare di fortuna, come dice lui. Se però, prima di questi, hai avuto anche il merito di tirar fuori band come: Jesus and Mary Chain, Primal Scream, My Bloody Valentine, Teenage Fanclub e Ride (per citarne alcuni), allora solo fortuna non è. Alan McGee potrebbe avere la spocchia di chi ha segnato per più di un decennio la musica con la Creation Records, l’etichetta fondata con Dick Green e Joe Foster, durata dal 1983 al 1999. Per problemi economici viene assorbita dalla Sony, fino a chiudere i battenti. Lui però si rialza, fonda la Poptones e scopre gli Hives per poi chiuderla dopo 8 anni, per i soliti problemi finanziari. Nel frattempo è anche manager dei Libertines, Kills e Mogwai. Decide di allontanarsi dall’industria musicale per cinque anni. Ha abbandonato un po’ i vizi, che di certo non hanno aiutato la sua carriera, ma adesso è ritornato, in joint venture con la Cherry Red Records e ha fondato la 359 Music Label.

Recentemente hai riaperto un’etichetta, the 359 Music Label, in collaborazione con la Cherry Red Records. Cosa ti ha spinto a ributtarti nel mercato musicale durante il suo momento peggiore?

Alan McGee: “Follia!”

Cosa ne pensi dell’industria musicale attuale? Riesci a riconoscerti all’interno di essa?

Alan McGee: “Non credo che il problema sia l’industria discografica. Credo che lo sia l’apatia del consumatore quando si tratta di comprare musica. Se una casa discografica è valida o no, è indifferente, perché se la gente non compra i dischi o i CD o i download, allora sei fottuto lo stesso.”

Verrai in Italia (al Covo Club di Bologna il 10 gennaio) con due tuoi artisti: John Lennon McCullagh e Pete MacLeod. Cosa hanno di così speciale loro due?

John Lennon McCullagh è quasi un genio. Ha 16 anni, ha un talento pazzesco per l’età che ha e suona come se ne avesse 25. L’ho scoperto che ne aveva 14, l’ho ingaggiato quando ne aveva 15 e ne ha appena compiuti 16. Incredibile! È così giovane e mi ricorda molto Bob Dylan quando suonava Masters of War. Sarà interessante vedere che piega prenderà la sua crescita artistica. Invece Pete MacLeod è semplicemente una delle voci migliori, fra tutte quelle che ho avuto lui si merita un 10.”

Il tuo entusiasmo mi sembra lo stesso dei tuoi esordi nella music industry.

“Io amo la musica. Sono andato a vivere in Galles perché mi ero stufato dell’industria musicale, ma non ho mai smesso di amare i Beatles, gli Stones, i Byrds e Roky Erikson, roba così. Mi sono sempre piaciuti Lee Mavers, Echo and the Bunnymen, Julian Cope o gli Stone Roses.”

Ci sono etichette discografiche che apprezzi particolarmente?

“Mi piace la Domino, mi piace la Heavenly e mi piace la Cherry Red, per via di tutte le ristampe che fanno da anni. Quelle sono le case discografiche che mi piacciono.”

Ci sono band italiane che ti hanno particolarmente colpito?

“Diverse persone, mi mandano la loro musica da tutto il mondo, non mi viene in mente nessun gruppo italiano che spicchi al di sopra degli altri ma la musica in Italia è molto valida in questo momento. Ci sono ottimi gruppi di rock’n’roll”.

Con la Creation Records avete fatto la storia: eravate un’etichetta a dir poco spregiudicata e avete scoperto le più importanti band inglesi degli anni ’90.
Cosa aveva la Creation che le altre etichette all’epoca non avevano?

“Noi eravamo dei drogati e loro probabilmente non lo erano”.

Tra tutte le band che hai gestito qual è stata la più difficile da controllare?

“I Libertines erano impossibili”.

Perché?

“Perché non riuscivo a gestire Peter Doherty”.

Invece con Bobby Gillespie?

“Con Bobby Gillespie era un gioco da ragazzi in confronto a Peter Doherty“.

Ti senti ancora ogni tanto coi fratelli Gallagher?

“Sì, sento abbastanza Noel, non sento più Liam ma è soltanto perché vivo in Galles e lui vive a Londra, quindi non ci incontriamo mai. Poi sono stato 5 anni fuori dalla musica, quindi le nostre strade non si incrociano, però con Noel sono rimasto in contatto”.

Credi che si riuniranno gli Oasis, magari nel 2015? (NdR ventennale di (What’s the Story) Morning Glory?)

“No, non credo. Forse nel 2020, ci vorrà del tempo”.

I My Bloody Valentine sono tornati dopo decine di anni con mbv. Ci avresti mai scommesso qualcosa su un loro ritorno?

Sono contento per loro. Adoro il pezzo che Kevin ha fatto girare per le varie case discografiche e poi ha rilasciato per conto suo dal sito. È fottutamente geniale! È stato davvero un gesto anarchico e l’ho apprezzato tanto!

Leggendo il libro di Paolo Hewitt (Come ho resuscitato il brit rock – Storia di Alan McGee e della Creation Records) ho letto che anche nei momenti in cui registravano Loveless erano piuttosto anarchici nei loro comportamenti.

“Sì, fortunatamente non ho dovuto pagare io questo disco! Sono un gruppo fenomenale, li adoro. Non sto scherzando, stavo dicendo sul serio, loro sono fantastici, geniali!”

Nella la tua nuova etichetta ci sono delle novità in arrivo? Entreranno nuove band nel roster?

“Sì, abbiamo un altro singolo di John Lennon McCullagh e stiamo per farne uscire un altro di Pete MacLeod. Poi ingaggerò degli artisti nuovi, che è una cosa molto entusiasmante; probabilmente troveremo sei nuovi artisti l’anno prossimo. Mi sto divertendo tanto a lavorare con la Cherry Red perché loro dicono soltanto la verità, non dicono delle bugie e non ci sono egoismi. Sono molto onesti ed è una cosa fantastica”.

Ho ascoltato i Mineral, la band franco-irlandese che hai nel roster, sono molto interessanti.

“Gruppo geniale, assolutamente geniale!”

Ti hanno scritto via mail o li ha scoperti a qualche live?

“Mi hanno mandato la loro musica e li ho ingaggiati”.

Cosa è cambiato nel gestire un’etichetta e i rapporti con le band al giorno d’oggi?

“Puoi gestire una casa discografica dalla piena campagna gallese e non devi più per forza stare a Londra. Grazie alla tecnologia naturalmente. L’unico svantaggio è che devi assicurarti che i musicisti vengano pagati, ed è l’unico lato negativo in questo momento, ma non è colpa di nessuno, perché la gente non compra più i dischi. Se riuscissimo a far pagare a tutti un piccolo contributo per la musica, se ognuno mettesse soltanto qualcosa, allora i musicisti riuscirebbero a sopravvivere”.

E della musica in streaming invece? Cosa ne pensi?

“Sarà il futuro nei prossimi 3-5 anni, è inevitabile. La mia generazione morirà, e con noi moriranno i CD. Ci sarà una generazione che, come mio figlio, farà tutto in streaming. Tutto sarà nel tuo telefono”.

Hai da poco pubblicato un’autobiografia. Come sta andando?

Sta andando molto bene, incredibilmente bene. Non me lo sarei aspettato. È stata la numero uno in diverse hit parade di Amazon, quindi sta andando alla grande e credo che sia ancora al primo posto nella hit parade dei libri che trattano l’industria musicale. È solo uscita nella versione con la copertina rigida, deve ancora uscire la versione tascabile in giugno”.

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