In occasione del ritorno degli Everything But The Girl dopo quasi 25 anni con il nuovo album Fuse, abbiamo intervistato il duo per Rumore di maggio
Dopo ben 24 anni dall’ultimo Temperamental, gli Everything But The Girl sono tornati con il nuovo album Fuse. La decisione di tornare a lavorare in duo è arrivata in seguito alla pandemia, come hanno raccontato Tracey Thorn e Ben Watts a Carlo Bordone nell’intervista che potete leggere nel numero di Rumore di maggio, “quando le cose hanno iniziato ad avviarsi verso la normalità ci siamo chiesti: ‘e adesso? Torniamo a com’era la vita nel marzo del 2020 o proviamo a fare qualcosa di nuovo?’ E quel qualcosa di ‘nuovo’, lo sapevamo entrambi, paradossalmente significava tornare a fare musica come Everything But The Girl”.
“Siamo musicisti”, dice poi Thorn a proposito del rapporto con gli ascoltatori e di come è cambiato nell’era dei social,
ciò che conta in definitiva è quello che riusciamo a creare musicalmente. E per riuscire a creare qualcosa devi per forza renderti impermeabile rispetto al mondo esterno: pubblico, critici, ecc. Devi chiudere fuori tutto. Non si può compiacere chiunque, ci sarà sempre qualcuno che rimarrà deluso. Era così anche 30 anni fa, naturalmente, solo che chi aveva delle rimostranze aveva anche meno canali per esprimerle. è interessante il fatto che Fuse sia il primo disco degli EBTG uscito nell’epoca dei social media. Siamo stati travolti dal feedback immediato che abbiamo ricevuto, fortunatamente in gran parte positivo e pieno di affetto: io e Ben rimbalzavamo dai commenti su Instagram a quelli sotto i video su YouTube, e la prima reazione è stata “Oh my God”. Tutto bello e gratificante, finché poi non incontri – e la incontri sicuramente – la reazione negativa, il “potevate fare così o cosà”. Ma va bene anche quella. Del resto, il pubblico non sa davvero quello che si aspetta da te finché non ascolta il disco. Non si deve essere né supponenti né troppo influenzabili dai giudizi, positivi o negativi che siano.