Home Rubriche Dal vivo Dalle Hawaii alla Scozia, il TOdays è l’ultimo viaggio dell’estate

Dalle Hawaii alla Scozia, il TOdays è l’ultimo viaggio dell’estate

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Anche il TOdays Festival torna alla normalità e si conferma il posto migliore dove chiudere l’estate

di Letizia Bognanni / foto TOdays Festival

E finalmente tocca anche al TOdays tornare alla normalità: via le sedie e le regole e limitazioni varie – a cui l’anno scorso scrivevamo di non volerci abituare, e per fortuna a dispetto dei pessimisti cosmici che prospettavano una vita di green pass perenne non ce n’è stato bisogno -, allo Spazio211 tornano gli abbracci e i balli sottopalco, una voglia di divertimento libero e un entusiasmo che nemmeno il temporale della seconda serata riesce a smorzare. Per quanto va detto che anche questa edizione si apre non senza una certa dose di paura: un paio di giorni prima dell’inizio infatti viene annunciato che i Geese non ci saranno, e memori delle cancellazioni dell’anno scorso temiamo una nuova “ondata” di sostituzioni. Per fortuna però i Geese (che comunque erano fra i più attesi da molti, quindi peccato) resteranno gli unici assenti giustificati.

La prima serata perciò parte con una sostituzione nel cartellone ufficiale: al posto dell’art post punk dei Geese c’è l’”aloha soul” del giovane anglohawaiano Eli Smart. Come dicevo, i Geese li aspettavamo con molta curiosità, ma lui è bravo e simpatico, e la sua musica piacevole e solare si presta bene all’ora dell’aperitivo, mette il pubblico in pace con il mondo e bendisposto per il prosieguo della serata. Che si fa meno take it easy ma altrettanto – anzi, di più – coinvolgente quando sale sul palco Alynda Segarra, aka Hurray For The Riff Raff: “Ogni orrore del mondo”, scrivevamo nella recensione dell’ultimo album della musicista di origini portoricane, “è (in)cantato, rovesciato come un calzino e trasformato in possibilità di rinascita, senza bacchetta magica ma con pura azione”. Dal vivo l’azione prende corpo in uno dei set più convincenti dell’intero festival, carico di rabbia costruttiva e idealismo folk dagli spigoli punk. Altri ospiti attesissimi per varie ragioni, prima fra tutte il fatto che la loro partecipazione era già prevista per il 2021 ma anche per le note vicissitudini interne alla band, i Black Country, New Road. Su di loro le opinioni sono pressoché unanimi: concerto tutt’altro che perfetto ma “si stanno facendo, diamogli tempo”. Eh già, perché ritrovarsi senza cantante e doversi riassestare in pubblico non dev’essere certo facile. I giovani inglesi hanno però dalla loro l’innegabile bravura tecnica e una notevole dose di coraggio (incoscienza?), visto che propongono un set composto solo di pezzi nuovi, che lasciano presagire per il futuro meno post punk (genere in cui erano comunque stati infilati un po’ forzosamente) e più folk rock ai confini del prog. Tash Sultana chiude il primo atto del TOdays con il suo virtuosismo stradaiolo di polistrumentista all’insegna del gender-fluid, inteso in senso anche musicale: psichedelia, reggae, rock, soul, funky e chi più ne ha più ne metta, forse fin troppo, al punto da risultare indigesta, ma in tono con il mood good vibes della serata. Che non è ancora finita però, visto che quest’anno oltre agli incontri del pomeriggio tornano all’ex Fabbrica Incet anche gli after all’insegna del ritmo con DJ set e live, in questo caso Adiel e Tamburi Neri.

Sabato nuvole minacciose si addensano sul Todays ma the show goes on, con una serata un po’ di alti e bassi a dire la verità, non per la line-up in sé, sempre di qualità, quanto per l’ordine scelto per le esibizioni degli artisti: i frizzanti ritmi latin-funk-surf-psych delle Los Bitchos infatti sarebbero stati perfetti in apertura, per scaldare l’atmosfera e mettere tutt* di buonumore, come la sera prima Eli Smart, mentre gli Squid li avremmo visti meglio più avanti, forse addirittura come headliner. Sono loro quelli che ci convincono di più: sanno suonare – questo solitamente per quanto mi riguarda non è il primo dei meriti di una band, ma nel loro caso il rischio riccardonismo è schivato grazie a una sana attitudine post punk –, sono personali e diversamente dai BCNR “hanno i pezzi” (anche se, come già detto, diamo ai Black Country la promozione con riserva vista la situazione). Per i Molchat Doma non potrebbe crearsi situazione atmosferica migliore: ascoltare la wave brutalista del trio bielorusso con il sottofondo dei tuoni e la scenografia dei fulmini è un’esperienza che gli amanti del bianco e nero, del bauhaus e dei documentari sulla gioventù della DDR si porteranno nel cuore. Sul finire del concerto la pioggia si fa più fitta e in tanti ci rifugiamo sotto il tendone del bar. Una breve tregua e il temporale riprende ancora più aggressivo costringendoci ad ascoltare FKJ al riparo, peccato perché diversamente dai Molchat Doma la musica quasi chill out del polistrumentista francese sarebbe stata più godibile sotto un cielo stellato.

Qualche fulmine si fa vedere anche l’ultima sera, fortunatamente niente pioggia, ma un tasso di umidità degno della Scozia, che non cito a caso visto che è il leit motiv della domenica, con due band su quattro scozzesi e l’incontro pomeridiano dei nostri Maurizio Blatto e Mauro Fenoglio dedicato proprio alla storia della musica scozzese. Dopo il ripasso all’Incet, allo Spazio si comincia alla grande con gli Arab Strap, su cui c’è davvero poco da dire: Aidan Moffat – incredibilmente credibile anche in bermuda di jeans – e compagni sono uno di quei gruppi che ti fanno sentire a casa e ti emozionano a ogni nota senza bisogno di agitarsi a sfoderare grandi look ed effetti speciali. Semplicemente magnifici. I DIIV non sono scozzesi ma il loro chitarrismo shoegazey nineties non stona con il mood della giornata, loro suonano convinti, potenti, sembrano stare bene e divertirsi sul palco, e noi ci sentiamo bene di riflesso. Convincono anche i giovani Yard Act, quadrati, entusiasti, con un frontman degno di questo nome, dal vivo rendono anche più che su disco, se continuano così prevediamo per loro un futuro più che roseo. Convincono anche più, dispiace dirlo, dei Primal Scream. La seconda band in quota Scozia della serata si presenta in grande spolvero, tornando all’argomento look, in particolare la stilosissima bassista Simone Butler e soprattutto Bobby Gillespie, che sfoggia il suo invidiatissimo completo a tema Screamadelica – “perché non lo vendono al banchetto del merch?” è la domanda più sentita fra il pubblico. La seconda domanda è: “ma Screamadelica?”. Già, perché purtroppo all’outfit non corrisponde la setlist, che avrebbe dovuto essere appunto una celebrazione per i 30 anni dello storico album, di cui invece vengono suonati solo due brani, di cui una, Loaded, improvvisata come bis quando sul palco già si stanno accendendo le luci e smontando gli strumenti. Certo, siamo di fronte a una band che sa far ballare e divertire anche sforzandosi al minimo sindacale, però la delusione c’è, e il fatto che arrivi proprio alla fine di una serata per il resto pressoché perfetta non migliora la situazione.

Ma non chiudiamo su note negative, non sarebbe giusto perché, equivoci screamadelici a parte, il festival torinese si conferma il modo migliore per salutare l’estate facendo scorta di entusiasmo e buona musica per la stagione fredda.

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