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Intervista a Daniel Blumberg: “La musica prende il controllo su di me ma la cosa che preferisco fare nella vita è disegnare”

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Daniel Blumberg racconta il suo ultimo lavoro, la colonna sonora di The World To Come, e le sue più grandi passioni

di Letizia Bognanni

Ogni tanto è bello avere torto: per esempio avevo un preconcetto su Daniel Blumberg che mi faceva avere un certo timore all’idea di doverlo intervistare, preconcetto smontato in pochi secondi, quando appena ci colleghiamo mi chiede dove mi trovo in Italia e quando gli dico “vicino Roma” – mia risposta standard per gli stranieri – ricorda di averci suonato diverse volte e io gli racconto di averlo visto dal vivo proprio a Roma, in una situazione molto intima che oggi non sarebbe purtroppo possibile. “Era quella volta a Monti?”, mi chiede. Quella. Riporto i convenevoli iniziali perché “quella volta a Monti” nacque il mio pregiudizio sull’ex Yuck, che tenne per un’ora e mezzo lo sguardo fisso sul pavimento senza spiccicare mezza parola fra un brano e l’altro. Perciò la mia paura era che fosse uno di quei tipi che rispondono a monosillabi o peggio, così rimango piacevolmente stupita nel trovarlo sorridente, aperto e cordialissimo. L’occasione è l’uscita della colonna sonora del film di Mona Fastvold The World To Come, a cui Blumberg ha lavorato insieme al coproduttore Peter Walsh e un gruppo di musicisti di pregio fra cui Peter Brötzmann, Josephine Foster, Ute Kanngiesser, Steve Noble, Yoni Silver, Billy Steiger, Alex Ward e Tom Wheatley. Una “sfida” che ci ha raccontato dal suo amato studio casalingo.

Come hai lavorato per la colonna sonora, da dove sei partito? Dalla storia, dai personaggi, dall’atmosfera…

“Ho iniziato a lavorare alle musiche direttamente sul set, sono stato sul set del film in Romania perché non volevo iniziare a comporre le musiche solo vedendolo una volta finito, volevo crearle il più possibile ‘in diretta’, volevo lavorare con il production designer Jean-Vincent Puzos, di cui conoscevo già il lavoro per altri film, così come conoscevo già la regista. Volevo che il mio contributo fosse parte integrante della lavorazione. In generale la cosa più importante per me è la regia: non ho mai guardato un film pensando ‘oh, mi piace la colonna sonora’, ‘mi piace questa performance’, ho sempre pensato cose tipo ‘mi piace questa voce’, ‘mi piace la regia, voglio vedere altri lavori di quest* regista’. Perciò ero molto consapevole di cosa volevo fare quando Mona mi ha chiesto di aiutarla a completare la sua visione. Era la cosa che trovavo interessante dell’idea di fare una colonna sonora: nei miei lavori solisti ho collaborato con tanti musicisti, ma ero io che li portavo nel mio lavoro, mentre qui sono stato io ad essere portato nel mondo di qualcun altro. Perciò era importante per me esserci fisicamente, anche vedere come lavorava chi si occupava dei suoni diegetici del film, per integrare tutto nel mio lavoro. Uno dei punti di partenza è stato vedere mentre filmavano una scena, ambientata di notte ma girata di giorno, e delle mucche hanno attraversato il set, era bello e anche il suono era affascinante, anche nonsense in un certo senso perché in teoria doveva essere notte. Ma funzionava a livello sonoro, e per me è stato un punto di partenza perché ho pensato, ‘wow che bella scena, voglio che la mia musica suoni così’, perciò la prima cosa che ho fatto, visto che non avevo le mie attrezzature per registrare, è stato chiedere a qualcuno di registrare quel suono per me”.

Stare sul set ti ha dato modo di avere più spazio per esprimerti? Penso che lavorare alle musiche di un film non sia facile per artisti come te, molto abituati all’improvvisazione, visto che devi essere comunque legato alle immagini, alla storia…

“Sì, per me è stata la parte più interessante, ovviamente il lavoro per un film dev’essere molto organizzato, ci sono casi in cui anche nel film si improvvisa, con la recitazione, la regia, lo script, ma devi essere comunque molto organizzato, e io ho cercato di adeguarmi a questo tipo di lavoro. Sono sempre stato interessato al modo in cui registi che mi piacciono, come Cassavetes o Mike Leigh hanno usato l’improvvisazione nei loro film, soprattutto nei dialoghi, cosa che li rende simili alla vita reale, ed è lo stesso motivo per cui mi piace la musica improvvisata. Il modo in cui lavoro con gli altri musicisti può essere paragonato a questo in un certo senso, perché parti da un’idea, anche da una canzone già scritta, e poi la porti in altre direzioni. C’è sempre un punto di partenza e ci sono sempre decisioni da prendere, che si tratti di scegliere se lavorare con tre musicisti o con 12 o altro”.

Invece di norma quando scrivi da dove parti? Da un’immagine, da cose che ti succedono…

“In realtà inizio a suonare e basta, per me funziona così, le cose nascono facendole… vedi, qui ho questi pezzi di carta (mi mostra dei fogli con degli schizzi), semplicemente li prendo e inizio a disegnare anche mentre sto facendo altro, non ho bisogno di pensarci prima o di prepararmi. Per la musica è lo stesso, ho bisogno che la mia vita sia strutturata intorno ad essa. La tastiera dev’essere a portata di mano, non la tengo nella custodia. Non mi piace l’idea di trasportare un’idea nel lavoro, dev’essere una cosa diretta, immediata. Torniamo sempre all’improvvisazione, quando improvvisi non pensi ‘devo fare questa cosa’ e poi la fai: la fai e basta, attraverso lo strumento. Quasi tutti i musicisti con cui scelgo di lavorare hanno questo approccio, non decidono prima che cosa suonare, sono fisicamente un tutt’uno con la musica”.

Forse mi hai già risposto, ma volevo chiederti, essendo tu anche un artista visivo, qual è la tua forma di espressione preferita fra la musica e l’illustrazione.

“In realtà forse ti sorprenderà ma adoro disegnare, è la mia passione più grande, più della musica, starei sempre a disegnare. Ultimamente ho fatto tanta musica e mi stupisce sempre questa cosa, perché entro in questa modalità di lavoro, lavoro, lavoro e arrivo alla fine della settimana, o meglio alla fine e basta visto che per me non esiste il fine settimana, e penso ‘oh, non ho disegnato per niente in questi giorni’. È strano come la musica prenda il controllo su di me, ma sì, la cosa che preferisco fare nella vita è disegnare”. (a questo punto si alza e va in un’altra stanza dicendo che vuole farmi vedere alcuni nuovi lavori, ma perde la connessione al wi fi che sta scroccando a un vicino e torna dov’era prima. Come non detto, peccato)

Come hai passato questi anni pandemici, ti è mancato suonare dal vivo?

“Non è stato bello non poter viaggiare e suonare live, ma è stato anche un momento di riflessione. Ho dovuto per forza di cose rallentare e penso che ogni tanto sia una cosa buona per un artista cambiare ritmo. Però mi è mancato ancora più dei live avere persone qui in studio. Prima suonavamo tutti qui, è uno spazio molto piccolo, e non ho potuto più far venire nessuno ed è stato strano”.

Dimmi qualcosa sugli altri musicisti e produttori della colonna sonora, qual è stato il loro contributo creativo?

“Ho incontrato Peter Walsh, che ha coprodotto il disco, a una session di Scott Walker: stavano lavorando alla colonna sonora di Childhood Of A Leader, del mio amico Brady Corbet, che un giorno mi ha invitato ad assistere alle registrazioni. Non ero mai stato particolarmente attratto dall’idea di fare una colonna sonora ma lì ho cominciato a pensarci perché ho assistito un po’ al processo e ho pensato che fosse fantastico. È stato allora che ho iniziato a lavorare con Pete, abbiamo fatto due dischi insieme oltre a questa soundtrack, penso che sia incredibilmente bravo a tenere tutto in equilibrio quando produce. Per esempio nel film ci sono molti dialoghi oltre alla voce over perciò è stata una sfida, soprattutto per quanto riguarda l’improvvisazione di cui parlavamo prima, era difficile ‘sincronizzarsi’ con le varie voci del film. Molto è stato registrato proprio qui, il che mi ha dato modo di avere con me i musicisti che volevo per tutto il tempo che mi serviva, a parte Peter Brötzmann, per cui sono andato a registrare in Germania, e Josephine Foster, che ha lavorato da remoto da Nashville. La cosa interessante è che sono tutti solisti brillanti nel loro strumento ed è stato fantastico lavorare tutti insieme come un gruppo, penso che abbiamo creato una bella dinamica, anche quando siamo andati a registrare in uno studio più grande. Mi sento molto fortunato, anche per il fatto di aver avuto la loro fiducia quando si è trattato di mettere tutto insieme nel mixaggio, essendo tutti artisti con le idee chiare che non scendono a compromessi”.

Mi piace molto il titolo del film, perché pur essendo una storia molto drammatica dà un senso di speranza. Visto che oltretutto siamo alla fine dell’anno (e non di un anno normale) ti chiedo: come pensi (o speri) che sarà il mondo che verrà?

“Bella domanda, non lo so… qual è la lettera dell’alfabeto greco dopo Omicron? Non lo so, penso davvero che a questo punto l’unica cosa che vogliamo tutti sia la fine del Covid”.

Come darti torto? Più prosaicamente, quali sono i tuoi programmi per il futuro?

“L’anno prossimo lavorerò a un altro film, che se tutto va bene sarà girato in estate, e sto lavorando al nuovo album, che dovrei iniziare a registrare a breve e, be’, come sempre sto facendo centinaia di disegni!”

Sempre perché siamo in periodo di bilanci, cos’hai ascoltato quest’anno, quali sono i tuoi dischi del 2021?

“Ah non lo so, sono un critico musicale terribile, di solito consiglio più film che musica… ho ascoltato molto Ghédalia Tazartès, che è morto a febbraio , e poi una canzone con cui mi ero fissato è Essence di WizKid”.

Allora a proposito di film, c’è qualche regista con cui ti piacerebbe lavorare in futuro?

“Sicuramente lavorerò con Brady, con cui c’è una grande intesa artistica da quando ci conosciamo. A parte lui, una regista che mi piace molto è Alice Rohrwacher. Ce ne sono tanti di registi con cui mi piacerebbe collaborare, chissà… sì, adoro il cinema”.

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