Intervista allo storico fan club italiano dei Ramones: “Con Marky e Dee Dee è nata un’amicizia, a ogni tour europeo ci siamo sempre rincontrati”

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(Credit: Flaviano Pierullo / I Ramones a Roma, presso il negozio di dischi Disfunzioni Musicali – 10 maggio 1989)

Dal giro di amici di penna gestito con letterine e francobolli, alle vacanze insieme a Marky Ramone: l’epopea del Ramones fan club italiano raccontata da chi lo creò

RUMORE COVER FB NATALE 2023

di Andrea Valentini

I quattro finti fratellini Ramone del Queens – aka The Ramones (qui la cover di Rumore dedicata al gruppo) – nel Bel Paese hanno goduto sempre di stima, affetto e seguito (in pratica fin dagli esordi). E infatti in Italia, agli albori degli anni ’80, nacque un agguerrito fan club che ottenne il riconoscimento dell’ufficialità dal gruppo e dal management: ci si poteva tesserare, acquistare merchandising da un catalogo, seguire tutti gli aggiornamenti sulla band tramite una fanzine dedicata e – ovviamente – trovarsi tutti insieme ai concerti e seguire i Ramones in giro per l’Europa (o il mondo, per chi poteva permetterselo!). Un’esperienza durata circa 15 anni, ricca di contatti, soddisfazioni, iscritti e passione. Per conoscere meglio questa storia particolare, abbiamo interpellato Paolo Di Gaetano che, insieme a Maurizio Nodari, in pratica mise in piedi tutta la situazione: la parola a chi c’era, dunque…

Come nasce l’avventura del fan club italiano dei Ramones?

“Tutto risale ai primissimi anni ’80: il 1982 circa. La scintilla arriva da un ragazzo di Udine, Oscar Schwander: aveva iniziato con un annuncio – mi pare – su Ciao 2001 per creare appunto un fan club italiano della band. All’epoca era difficile radunare le persone attorno a questa passione comune: ci si scriveva qualche lettera, magari ci si scambiava qualche telefonata. Oscar, in pratica, gestiva una serie di contatti principalmente epistolari per scambiare opinioni sui Ramones, fra appassionati. Dopo un annetto, vedendo che la faccenda non decollava nonostante la band fosse piuttosto seguita in Italia, gli proposi: ‘Proviamo a fare qualcosa di più: contattiamo i Ramones, facciamoci conoscere da loro e ufficializziamo il fan club’. Oscar, però, non era così interessato a portare avanti un discorso simile e mi disse: ‘Gestisci tu la cosa’ – tirandosi di fatto indietro. Così unii le forze con Maurizio Nodari di Milano, che avevo conosciuto da poco ed era anche lui iscritto: insieme decidemmo di fare tutto il possibile per far crescere il fan club italiano dei Ramones”.

Come vi siete mossi, a quel punto?

“All’inizio non fu facilissimo: il primo boom del punk rock in Italia stava scemando, come succede un po’ a tutte le mode. Aggiungiamo anche il fatto che i Ramones avevano avuto non pochi problemi dopo il ricovero di Johnny nel 1982 (riportò una frattura cranica durante una rissa per questioni di donne, nel mese di agosto, nda). E, infine, l’album Subterranean Jungle dell’anno seguente non si era rivelato all’altezza delle aspettative… insomma, il fenomeno Ramones in quel preciso momento sembrava quasi avviato verso il declino e la cosa non giocava a nostro favore. Pressammo un po’ tutti i periodici che si occupavano di musica, per farci conoscere, e ogni tanto capitava che parlassero di noi, facendoci un po’ di pubblicità e pubblicando i nostri annunci: in questo modo e con il passaparola, man mano, la ‘famiglia’ si allargava. La voce iniziò a girare, presero a scriverci anche dall’estero. Con alcuni ragazzi – italiani e non – ancora adesso siamo in contatto. In quel modo sono nate delle amicizie durature: ad esempio Florian, che gestisce il Ramones Museum di Berlino, nel quartiere Kreuzberg, lui è un nostro iscritto della prima ora ed è un amico storico, con cui abbiamo condiviso tante avventure e concerti”.

E ai Ramones come siete arrivati?

“Con la classica ‘letterina’. Scrivemmo al loro management a New York, che ci rispose. Da quel momento tutti i contatti successivi furono – alternativamente – con il loro manager Gary Kurfirst (scomparso nel 2009, si occupò anche di Talking Heads e Blondie, nda) o con Monte Melnick, il leggendario tour manager della band. Con loro comunicavamo via fax o, addirittura, via telex. In questo modo ci arrivavano tutte le notizie e i comunicati ufficiali con le notizie più fresche”.

(Credit: archivio di Paolo Di Gaetano e Maurizio Nodari / Joey Ramone con una copia di Rockaway Beach fanzine

Tutto materiale molto utile per la fanzine che pubblicavate: Rockaway Beach

“Sì, in quel modo potevamo tenere aggiornati i fan… la fanzine era una parte molto importante delle nostre attività. Inizialmente della parte grafica, dell’impaginazione e del punk-fumetto a puntate Gino Love Story si occupavano alcuni iscritti di Bari. Poi, purtroppo, per la difficoltà di conciliare questo impegno con i loro lavori, furono costretti a lasciare. Così subentrò il mio “socio” Maurizio Nodari: lui si incaricò di gestire tutta la parte grafica e io, principalmente, raccoglievo i contributi scritti. In seguito tentammo di dare alla fanzine una veste grafica con stampa professionale: non ci piacque il risultato e, a cavallo degli anni ’90, decidemmo di unirci a Ramones Ramones, che era la fanzine ufficiale inglese dedicata alla band. Era curatissima e realizzata ottimamente: se ne occupava Beaux Silvestre, una fan storica che viveva a Brighton. A quel punto noi fornivamo dei contenuti, tradotti in inglese, che andavano a sommarsi ai contributi che giungevano da tutta Europa”

Per avere Rockaway Beach era indispensabile aderire al fan club?

“No: era diffusa liberamente e acquistabile anche dai non iscritti. La si trovava ai concerti dei Ramones nel box del merchandising di Arturo Vega; poi la portavamo nei negozi di dischi oppure la si poteva comprare anche per corrispondenza, direttamente da me e Maurizio”.

Come ci si iscriveva al fan club e quanti tesserati, più o meno, avete avuto?

“Bastava inviare una piccola quota associativa in busta chiusa: una somma davvero simbolica, pochissime migliaia di lire. A quel punto si riceveva una tessera cartacea, che era l’unico gadget che avevamo creato appositamente. A un certo punto iniziammo anche a gestire un po’ di merchandising ‘interno’ – un’attività che non era tanto di autofinanziamento, quanto invece nell’ottica di aiutare lo scambio e la circolazione di materiale interessante fra iscritti: magliette, nastri bootleg coi live, memorabilia, 45 giri… avevamo un piccolo catalogo, un flyer che mensilmente veniva aggiornato con ciò che era disponibile. Arturo Vega ci aiutava concedendoci a prezzo simbolico tutte le maglie invendute alla fine dei tour. A livello numerico, andando a memoria, mi pare che l’archivio del fan club comprendesse circa 500 contatti; teniamo conto del fatto che una buona parte delle persone – direi il 50% circa – si limitava a iscriversi e si accontentava di ricevere la tessera, senza interagire o fare ‘vita attiva’ nel club… probabilmente anche per la difficoltà di comunicare via lettera”.

Ti ricordi di qualche nome “illustre” fra gli iscritti?

“C’era qualche personaggio: ad esempio Federico Fiumani dei Diaframma. Poi mi ricordo che c’era anche un componente dei Negazione, mi pare fosse il cantante, ma in questo momento non ne sono certo al 100% (ride): è l’età che fa certi scherzi! Mi viene in mente anche Giancarlo Cornetta dei Velvet (attualmente anche nei No Spoiler ed ex Gas, nda)”

E DJ Ringo, che è un grande estimatore della band?

“Onestamente no: devo dire che non c’era fra gli iscritti. La sua passione era nota, ma l’ho poi conosciuto solo dopo lo scioglimento dei Ramones e dopo la chiusura del fan club”.

Raccontami la tua prima volta a un live dei Ramones.

“Fu nel 1986, a Londra. Purtroppo non ero riuscito ad andare a Roma, nel 1980. All’epoca ero minorenne e in famiglia eravamo tutti tifosi bianconeri, per cui avevamo la tradizione di andare ogni anno a Torino a vedere la prima partita della Juve della stagione: la data romana dei Ramones del 14 settembre coincideva con la prima partita di Coppa dei Campioni della Juve e io ero troppo piccolo per sottrarmi, non avevo voce in capitolo, per cui andai a Torino, a malincuore. Anche nel 1981 li persi, perché il concerto era in novembre e avevo la scuola il giorno dopo. Avrei voluto andare nel 1985 a Londra, quando fecero 4 date di fila, ma erano tutte sold-out e non si trovavano i biglietti. Quindi, appunto, riuscii a vederli sul palco solo nel 1986 a Londra, dove come fan club avemmo un primo timido contatto col loro entourage, ma non incontrammo la band”.

https://www.youtube.com/watch?v=g5mhnJx-V78

Quando sei riuscito a conoscerli finalmente di persona? Come è andata?

“L’anno dopo, nel 1987, vennero a suonare a Milano (era l’unica data italiana) e in quel frangente andammo – tramite Monte Melnick – a incontrarli nell’albergo dove alloggiavano, così facemmo le presentazioni ufficiali. Fu molto piacevole e sorprendente perché loro quattro sapevano vagamente di noi e del fan club, ma ci trattarono benissimo, come amici. Ci accolsero in hotel, parlarono con noi tutto il giorno; accompagnammo anche Marky e Dee Dee a fare delle brevi commissioni per Milano. Poi il giorno seguente, prima che ripartissero, ci siamo rivisti e ci siamo dati appuntamento per i futuri tour – e da quel momento è nata un’amicizia. Da lì in poi, a ogni tour europeo ci siamo sempre rincontrati: li seguivamo, quasi in pellegrinaggio, per più date”.

Come erano i ragazzi dei Ramones?

“Ognuno di loro aveva il proprio carattere speciale. Marky era in pratica ‘culo e camicia’ con Dee Dee, loro erano i due scavezzacollo e quando erano in tour erano incontenibili. Dee Dee era il tipico ‘monello’, il più matto di tutti, e da lui ti potevi aspettare davvero qualsiasi cosa, mentre Marky fra i due era un po’ il fratello maggiore, quello che cazzeggiava con lui però poi, alla fine, ci metteva un po’ di giudizio e faceva ragionare Dee Dee quando si spingeva un po’ troppo oltre la misura. Joey era il più riflessivo del gruppo: con lui non posso dire si sia instaurato un rapporto così stretto, ma è sempre stato gentilissimo, ci supportava e rappresentava un punto fermo. Johnny era una persona molto complessa, da lui ti potevi aspettare tutto e il contrario di tutto; in particolare teneva molto alla propria privacy. Quando veniva in Italia, Johnny – che era un collezionista di poster di film anni ’50 e ’60 – ci teneva a farsi accompagnare in certi negozi, dove sapeva che avrebbe potuto trovare dei pezzi speciali per la sua collezione, così come amava andare a mangiare un bel gelato e provare i ristoranti che servivano buon cibo. Però era molto geloso dei propri spazi e della privacy: non capitava di trascorrere intere giornate in sua compagnia, perché a un certo punto preferiva defilarsi”.

E con quale di loro avete stretto più amicizia nel tempo?

“Sicuramente con Marky. Con lui possiamo dire di essere in pratica amici di famiglia, abbiamo fatto e facciamo tuttora anche le vacanze insieme: ama molto l’Italia e viene spesso qui, a volte fermandosi anche un mese intero”.

Qual è la richiesta più strana che uno dei Ramones ti/vi ha fatto, di passaggio in Italia?

“Vediamo… ricordo una volta che Marky voleva fare un regalo alla moglie – non rammento se fosse durante il tour del 1988 o quello del 1993 – e mi commissionò la ricerca di un particolare paio di calzoncini stretch, tipo leggings, per lei (ride). All’epoca non conoscevamo ancora sua moglie, poi col tempo siamo diventati amici e ho capito il motivo di quella richiesta: lei ama molto la moda ed è appassionata di vestiti di classe”.

(Credit: archivio di Paolo Di Gaetano e Maurizio Nodari / Dee Dee con Paolo Di Gaetano, ottobre 1987)

Dee Dee era un genio e un gran personaggio, ma lottava contro demoni pesanti. Non vi ha mai chiesto di aiutarlo a trovare qualcosa per gestire le sue dipendenze?

“Fortunatamente no. Quando era in tour coi Ramones era molto controllato, perché Johnny faceva il sergente di ferro: vigeva una disciplina militaresca, dovevano restare tutti puliti per regola ‘interna’. E ho detto ‘fortunatamente no’ perché Dee Dee, quando non era pulito, purtroppo diventava tutta un’altra persona: si trasformava”.

E di Joey cosa mi dici? Si sono lette molte cose a riguardo dei suoi strani comportamenti ossessivo-compulsivi, con gesti in loop e rituali da reiterare…

“Sì, è tutto vero. L’ho notato soprattutto in aeroporto: spesso e volentieri si fissava e iniziava ad andare avanti e indietro, quando trovava delle porte scorrevoli. Però Monte Melnick lo conosceva benissimo e sapeva come gestirlo al meglio. Era particolare il fatto che questo disturbo non si manifestasse mai quando Joey si esibiva o lavorava: dal punto di vista professionale era sempre impeccabile – e lo vedemmo benissimo anche quando, con i Senzabenza, andammo a New York per mixare con lui il loro album del 1996 Deluxe: How To Make Money With Punk Rock. Allora Joey iniziava ad accusare qualche problema per via della malattia (una forma di linfoma diagnosticata l’anno prima, nda) che poi se lo sarebbe portato via, ma era un grande professionista, abituato alla disciplina… quella quasi da caserma dei Ramones”.

A bruciapelo: il live più bello dei Ramones che hai visto?

“Cito, a pari merito, due concerti: uno del 1989 e uno del 1993, entrambi in Spagna – il primo a San Sebastian, nel mese di febbraio, il secondo a Barcellona, in marzo. Furono due esibizioni pazzesche, che porterò sempre impresse nella memoria. E poi, per una questione affettiva, il loro ultimo live in Italia (al Palatrussardi – poi Palavobis – di Milano, il 22 gennaio 1996, nda): anche se non è stato magari fra i più belli, aveva una carica emotiva fortissima. Uno di quei concerti che ti segnano”.

E il peggiore per te?

“Allora… non ho un gran ricordo del loro mio primo concerto in Italia, quello del 1987 a Milano. Probabilmente, però, è dovuto al fatto che mi trovavo proprio sotto al palco e il suono arrivava molto distorto, l’acustica era pessima. E poi anche qualche data all’inizio del tour del 1989 in Inghilterra, i primi live con CJ al basso… si vedeva che era un po’ impacciato: insomma aveva letteralmente vinto la lotteria entrando nei Ramones, coronava un sogno, ma non sapeva ancora gestire il carico emotivo. Poi, in realtà, se confronti le registrazioni del primo e dell’ultimo concerto in UK di quel tour senti che c’è un abisso… CJ era diventato un’altra persona, si era perfettamente integrato nel sound del gruppo nel giro di 15 giorni”.

Il fan club italiano ha esaurito la sua esperienza con lo scioglimento dei Ramones, giusto?

“Sostanzialmente siamo andati avanti ancora poco più di un anno, da quel momento. E ti dirò che – col senno di poi – forse ho avuto torto a scegliere di chiudere quel capitolo, probabilmente avremmo potuto continuare, anche perché dopo lo scioglimento i Ramones sono diventati ancora più grandi e conosciuti”.

In tanti anni di passione e fedeltà ai Ramones hai di sicuro accumulato una bella collezione… quali sono i pezzi di cui vai più orgoglioso?

“Senza dubbio i dischi: difenderei la mia collezione di dischi a fil di spada! Poi ho ancora qualche maglietta storica e qualche oggetto di merchandising che mi ha regalato Arturo Vega in persona. Devo dire che, a un certo punto, ho dovuto limitare l’impulso a collezionare, perché in casa non entrava più nulla, per cui una parte delle cose che avevo raccolto negli anni l’ho regalata o venduta a prezzo simbolico ad altri appassionati – tutte persone che ero sicuro non volessero specularci, ma desideravano completare le loro collezioni. Alcune cose le ho donate anche al museo dei Ramones di Berlino”.

Ma per te la scintilla iniziale coi Ramones come è scattata? In che momento hai detto: “Sono la mia band preferita”?

“È tutto merito di un amico e compagno di scuola, che tuttora sento e vedo: Aldo Tomassi. Lui è la persona che mi ha fatto scoprire i Ramones. Era appassionatissimo di rock e me li fece conoscere quando io neppure sapevo chi fossero: sentivo disco music. Lui mi ha portato alla svolta… ho ascoltato il primo pezzo dei Ramones e mi sono detto: “Questo è il mio gruppo della vita”.

Per chiudere il cerchio: Oscar di Udine che fine ha fatto?

“Non ne ho la minima idea. Da quando mi lasciò la gestione del fan club, non l’ho praticamente più sentito, se non sporadicamente nei primi tempi. Non si è mai presentato o fatto riconoscere, negli anni seguenti, ai concerti. Non so che fine abbia fatto e un po’ mi dispiace, perché lui ha dato l’impulso iniziale all’esperienza del fan club: la fiamma l’ha accesa lui”.

POST SCRIPTUM: Qualche ora dopo la pubblicazione dell’articolo, ho raccolto una segnalazione su Facebook che fa luce sul misterioso Oscar, che a quanto pare è stato il bassista degli Inzirli, hardcore band friulana con un demo e un paio di 7″ all’attivo nei ’90 (oltre a una compilation antologica).

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