Home Speciali Articoli Appunti dalla quarantena – Io vado in bicicletta per sentirmi vivo

Appunti dalla quarantena – Io vado in bicicletta per sentirmi vivo

0

Appunti dalla quarantena è un appuntamento libero con le firme di Rumore. Appunti, stralci, storie, situazioni, pensieri casuali (e non) che il troppo tempo chiusi nelle quattro mura fa emergere.

di Manuel Graziani

Teramo. Sabato 14 marzo. Metà mattina.

Mia moglie è in soggiorno a leggere Il Colibrì di Veronesi, io e mia figlia undicenne siamo in sala di fronte ai nostri, rispettivi pc portatili. Mia figlia è sulla piattaforma della scuola, impegnata a fare i compiti con alcuni compagni collegati in videochiamata WhatsApp. Io sto navigando su internet alla ricerca dei due pezzi dell’unico singolo, pubblicato nel 2003, di una bizzarra band garage post punk di Chicago chiamata White+Outs. Non so perché proprio oggi mi siano tornati in mente loro, forse per via della copertina con quei quadretti colorati che non riesco a togliermi dalla mente. O forse perché ho scoperto che il cantante e chitarrista Dave Head ora sbatacchia la sei corde nei Surfbort.

Il 7” Solid State/Coffin Nails dei White+Outs mi è passato tra le mani diverse volte ma non l’ho mai preso, maledizione. Però custodisco con orgoglio le due compilation, sempre del 2003, a cui i White+Outs hanno partecipato: il cd Maybe Chicago su Criminal Iq e la cassetta Burnin’ Material Vol 1 – Call The Firemen!! pubblicata dalla bergamasca AlphaMonic Tapes.

Come in preda a un raptus mi alzo, prendo Maybe Chicago, lo inserisco nel lettore cd e faccio partire Lotto, il primo dei due pezzi dei White+Outs. La melodia traballa, e io pure. Mia figlia invece è ferma, severa. Mi intima di abbassare ché sta seguendo la lezione di religione. Sì, religione, avete capito bene. Mi verrebbe da bestemmiare ma sono un padre di famiglia e devo dare il buon esempio quindi mi trattengo, infilo il jack della cuffia nel lettore e skippo sulla traccia 18, ovvero sul secondo pezzo che s’intitola Fashionista ed è impregnato della stessa aria satura di morte che si respira come si mette piede da Zara o H&M. Fashionista è agli sgoccioli quando vedo mia figlia fare strani cenni con le braccia. Mi tolgo le cuffie e sento nitidamente i primi versi: “Se la mia chitarra piange dolcemente/Stasera non è sera di vedere gente/E i giochi nella strada che ho chiusi dentro al petto/Mi voglio ricordare…”.

Mi affaccio dalla finestra. La musica è ancora più alta. Viene dalla farmacia sotto casa. In strada cinque o sei persone a distanza di bomba a mano, tutte con mascherina più o meno DIY sul volto, si guardano mentre aspettano composte il loro turno farmaceutico. Poi mi sembra di vederle sorridere. In pochi secondi gli affacciati si moltiplicano. Mi accorgo di essere il più giovane, nonché uno dei pochi di sesso maschile. È un tripudio di tute, pigiamoni felpati, vestaglie in raso di dubbia qualità. Siamo tutti immobili, quasi in trance, a gustarci la voce malinconica e gli arpeggi tristi del nostro Ivan Graziani.

L’album Agnese Dolce Agnese ho la fortuna di averlo su vinile Gatefold, prima edizione del 1979. Era dei miei genitori che non portavano a casa un disco neanche se glielo regalavi. Ma Ivan Graziani era un’altra cosa, per tutti i teramani. Era la voce che imparavamo a conoscere sin da piccoli. Una voce di famiglia.

Inutile star qui a ricordare che la melodia di Agnese è la stessa della Sonatina in Sol Maggiore, op. 36 n. 5 di Muzio Clementi, il compositore nato nella metà del ‘700 e considerato uno dei padri del pianoforte moderno. O che ancor prima di Ivan Graziani, Toni Wine e Carole Bayer Sager avevano scritto A Groovy Kind of Love incisa nel 1965 da Diane & Annita e alla fine degli anni 80 persino da Phil Collins in versione stracciamaroni. Come è superfluo ricordare che l’incipit del testo di Ivan è un omaggio ai Beatles di While My Guitar Gently Weeps. Per queste informazioni qui c’è Wikipedia.

Dalla strada si alzano le ultime strofe di Agnese: “Io vado in bicicletta per sentirmi vivo/Alle 5 di mattina con la nebbia nei polmoni”. Mi scuoto dallo stato di semi trans per via delle risatine di mia figlia e dei suoi compagni di scuola in videochiamata. La sua amica del cuore si chiama Agnese. L’ho vista crescere. Sorrido anch’io e senza alcun ritegno faccio delle smorfie in direzione dello smartphone. Poi esco di nuovo sul balconcino, richiamato dagli accordi in crescendo de Il Prete Di Anghiari. Con tutta evidenza il farmacista, che è stato un mio compagno di giochi durante l’infanzia, ha messo su l’album Agnese Dolce Agnese e lo sta lasciando andare. Mi chiedo se stia utilizzando Spotify Premium, un comune cd, una vecchia cassetta. Soprattutto se sappia che la copertina e le splendide illustrazioni interne sono di Tanino Liberatore: una altro abruzzese come noi.

Exit mobile version