I 20 dischi più attesi di gennaio 2019

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Venerdì 4 gennaio

Old Sea BrigadeOde To A Friend (Nettwerk)
“A metà strada tra The National e Mercy Playground”, scrive il nostro Emanuele Sacchi nella sua recensione, “tra il potenziale da successo e la timidezza dell’eterno incompiuto, sta Ben Cramer in arte Old Sea Brigade. Si intravedono tracce di talento autentico”.

Venerdì 11 gennaio

UraliGhostology (To Lose La Track/Malestro/General Soreness/Fatty Liver)
Scritto e arrangiato per un ensemble, il terzo album di Ivan Tonelli “racconta la fine dell’uomo inteso come maschio dominante attraverso voce narrante è quella di una A.I. dalle sembianze femminili che si libera dal giogo del proprio creatore, dio e amante.

You Tell Me You Tell Me (Memphis Industries) Dall’incontro fra Peter Brewis (Field Music) e Sarah Hayes (Admiral Fallow) nasce “un disco che possiede il chiaro stile di entrambi ma anche una voce nuova, con un ricco e intricato senso della composizione, classico, contemporaneo e nostalgico”.

Venerdì 18 gennaio

James Blake Assume Form (Polydor) Annunciato da una fuga di notizie prima e da una serie di misteriosi siti e proiezioni, il successore di The Colour In Anything vanta fra gli artisti che hanno collaborato ai dodici brani Rosalìa Andre3000 e Travis Scott.

Sharon Van EttenRemind Me Tomorrow (Jagjaguwar)
“Voglio essere una mamma”, spiega la cantautrice a proposito del suo quinto album “una cantante, un’attrice, andare a scuola, ho una macchia sulla mia maglietta, pappa d’avena sui capelli, ma sono qui. Questo album parla del perseguimento delle passioni”.

Deerhunter Why Hasn’t Everything Already Disappeared? (4AD)
L’ottavo album di Bradford Cox e compagni è “un album di fantascienza sul presente, fuori dal tempo, che tratta della scomparsa della cultura, dell’umanità, della natura, della logica e dei sentimenti, che dimentica le domande e mette insieme delle risposte non collegate tra loro”.

Pedro The LionPhoenix (Polyvinyl) “Avevo abbandonato il mio naturale modo di lavorare”, racconta David Bazan del ritorno dopo 15 anni, “e non ha funzionato. Così ho collegato batteria, basso e chitarra, e mi sono sentito immediatamente a casa. Presto mi sono reso conto che suonava come Pedro the Lion”.

The Twilight SadIt Won/t Be Like This All The Time (Rock Action) “È un album oscuro ma penso che ci siano molti momenti di sollievo. Ci sono tanti estremi qui – ci sono momenti che sono duri, e altri che sono melodici, e altri ancora che sono ridotti al minimo. C’è una certa franchezza, ma allo stesso tempo voglio mantenere un po’ di mistero”.

Lost Under Heaven Love Hates What You Become (Mute)
Scritto e registrato fra la loro Manchester e Los Angeles, il secondo album del duo formato da Ebony Hoorn ed Ellery James Roberts è prodotto da John Congleton “li conferma come una band coraggiosa e innovativa, affamata di creazione e arte”.

I Hate My Village I Hate My Village (La Tempesta International)
Un “omaggio all’afrobeat in cui i suoni della grande Madre Africa si fondono con le timbriche occidentali” da parte di una superband formata da Fabio Rondanini (Calibro 35, Afterhours), Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion) e Alberto Ferrari (Verdena).

Nkisi7 Directions (UIQ)
Il debutto dell’artista congolese di base a Londra è descritto come un lavoro “solidamente radicato nella cosmologia africana dei Bantu Kongo e in particolare la scrittura dello studioso kongo Kimbwandende Kia Bunseki Fu-Kiau”.

WOORMSSlake (Sludgelord)
Le “Bestie feroci dalle swamplands di Baton Rouge, Louisiana”, scrive Claudio Sorge nella recensione su Rumore, al loro debutto “ci fanno sbattere la faccia contro un muro di Neurosis/Eyehategod/Jesus Lizard”.

Steve Gunn The Unseen In Between (Matador)
Prodotto da James Elkington e con il contributo di Tony Garnier, collaboratore di Bob Dylan, al basso, il nuovo disco di Steve Gunn è “un lavoro gradevolmente empatico che prova a riconoscere le preoccupazioni del mondo e offrire qualche rassicurazione”.

Venerdì 25 gennaio

GommaSacrosanto (V4V)
Il “secondo debutto” della band casertana è “una riflessione spirituale su chi siamo e cosa abbiamo fatto per noi e per gli altri, in cui si trasfigurano ricordi, gioie e dolori in pavimenti scivolosi dai quali rialzarsi a fatica, crepe di una casa che cade a pezzi”.

DimartinoAfrodite (42 Records) L’atteso ritorno del cantautore siciliano è prodotto da Matteo Cantaluppi ed è stato anticipato dal singolo Cuoreintero, ispirato alla pratica egizia della psicostasia, la pesatura del cuore, e dal “regalo di Natale” di Feste Comandate.

Mono Nowhere Now Here (Pelagic) Album del ventennale per la band giapponese, con un cambio di line-up che vede l’arrivo di Dahm Majuri Cipolla alla batteria e il debutto di Tamaki Kunishi come cantante in Breathe, e una nuova impronta elettronica.

TOY Happy In The Hollow (Tough Love)
“Un disco senza compromessi: la cattura atmosferica di uno stato della mente che tocca il post-punk, le dissonanze elettroniche, l’acid-folk e il krautrock, in una combinazione di atmosfere rassicuranti e sinistre che è inquietante e affascinante”.

Tim Presley’s White Fence I Have To Feed Larry’s Hawk (Drag City)
I White Fence di Tim Presley “muta il suo velo multicolore per un sentito quanto enigmatico ciclo di canzoni sul perdere la cosa che ti uccide che ami per raggiungere la cosa che ti fa amare quello che ami”. Chiaro no?

SwindleNo More Normal (Brownswood)
Con No More Normal, Swindle “afferra con sicurezza i diversi lati della scena musicale inglese, dalle radici nel mondo che spinge i confini di Grime e Dubstep per marcare il prossimo passo nella visione musicale espansa del producer londinese”.

SwervedriverFuture Ruins (Dangerbird)
“C’è un sacco di inquietudine riguardo il futuro in questo album. Anche lo spazio è molto presente. Nella prima canzone, il personaggio è un astronauta che cerca di ricordare cos’è davvero la vita. Poi, potrebbe riguardare qualche posto nel mondo in cui l’inverno non è come l’inverno qui”.

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