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Editoriale 316: Monsters & co.

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Di Rossano Lo Mele

Avrei voluto dire del film di Nick Cave & The Bad Seeds, Distant Sky. E del fatto che durante la proiezione in sala non solo la gente applaudiva, ma molti tiravano fuori gli smartphone per fotografare lo schermo. Avrei potuto dire della nuova rubrica di Alessandro Baronciani, parte proprio questo mese, la trovate in fondo al giornale, si chiama “Poster-i”. Ritratti d’icone “rumoriste” (volendo) da ritagliare e appendere al muro. Poi però proprio questa cosa del poster appeso al muro mi ha fatto venire in mente un’altra storia. Sentite questa, allora. A parlare è una giovane donna di Londra, che ripercorre una vicenda sentimentale legata ai suoi più recenti anni di vita. L’uomo di cui parla, un musicista, viene da lei chiamato “il mostro”.

“Quando ero più giovane, il mio ragazzo era molto interessato all’aspetto politico del mostro e siamo andati a un paio di live insieme. A 19 anni mi sono resa conto che quel mondo non faceva per me e ho lasciato il mio ragazzo e quella musica alle spalle. Anni dopo passo a salutare i genitori del mio ex; i poster del mostro sono ancora appesi al muro. Sono sdraiata sul pavimento mentre chatto su Tinder e chi potrebbe apparirmi, se non il mostro stesso!? Lancio un’occhiata al poster e ricordo le cose sfavorevoli che ho sentito su di lui. Non solo su Tumblr, ma anche dal mio migliore amico. Io non li ascolto. Decido di parlargli, in modo più difensivo e brusco di quanto farei normalmente.

Una sera rientro a casa all’una del mattino. Alle due ricevo una chiamata dal mostro, non è la prima volta che parliamo al telefono. Parliamo molto tranquillamente, chiunque abbia parlato con lui saprà quanto possa sembrare affascinante. Lui è d’accordo con quello che dico e dice che mi capisce, mi sento come se avessimo una connessione. Mi chiede cosa sto combinando, dico nulla. Mi chiede se voglio andare da lui. Dico: perché no. Sono le tre del mattino e attraverso Londra verso casa del mostro, sono su un Uber pagato da lui. Mi dà il benvenuto in salotto e si scusa per il disordine disorganizzato, si è trasferito lì solo la scorsa settimana. Non mi dispiace però, lo trovo un po’ accattivante. Avevo 21 anni quando l’ho incontrato, lui ne aveva aveva 32 o 33. Ci facciamo una canna sul divano, l’unico mobile di casa. Fumiamo e parliamo per alcune ore finché non viene la luce. Mi ci vorrebbero un paio d’ore sugli autobus per tornare a casa e non ho niente a cui tornare. M’invita a restare e lo faccio. Il mattino dopo ci coccoliamo e parliamo a letto. Mi chiede di smettere di uscire con altre persone e di stare con lui, gli dico che la cosa non m’interessa. Mollo la presa. Passano un paio di giorni, ma torno di nuovo. Comincia l’incantesimo e la mattina dopo mi chiede: ” Allora, quando ti trasferisci qui?”

Discutiamo sul fatto se io stia con lui o meno e alla fine giungo alla conclusione che la mia opzione più sicura e felice è quella di trasferirmi con lui. Quando l’ho incontrato per la prima volta mi ha fatto ridere fino a piangere, pensavo fossimo molto simili e che mi avesse “preso”. Ora guardo indietro e capisco che il mostro sa esattamente cosa dire alle persone e come dirlo. Con questa abilità arriva a manipolarti. Il mostro non dice mai cosa pensa, solo ciò che pensa che la gente voglia ascoltare. Aveva tutto ciò che volevo: un appartamento, un cane e un bambino. Volevo disperatamente far parte della sua vita e costruirne una insieme a lui. Dopo alcune settimane di convivenza mi si propone con un diamante, una cosa che non mi era mai successa prima, ma l’ho sognata a lungo, anche se non in queste circostanze. Accetto. Poi di colpo il clima cambia, non valgo più la seccatura.

Una sera vado a trovare un amico e nel frattempo il mostro sta discutendo con me al telefono. Verso mezzanotte mi dice che ho un’ora per spostare tutte le mie cose fuori dal suo appartamento o le butterà nel bidone in strada. Chiamo la polizia, le ultime persone con cui voglio relazionarmi: mi dicono che non c’è niente che possano fare finché non ci sono io nell’appartamento. Quindi io e il mio amico prendiamo un’auto per andare dal mostro e incontriamo la polizia fuori. Lui apre la porta a me e alla polizia. Il mostro dice alla polizia che non dirà una parola a meno che non se ne vadano, io e la polizia sappiamo entrambi perché. Non può manipolarmi con loro nella stessa stanza. La polizia mi dice che è una pessima idea parlargli, ma aspetteranno fuori per me. Appena io e il mostro siamo soli smorza la rabbia e mi chiede perché l’ho fatto. Cerca di manipolarmi per rimanere. Esco e parlo con la polizia. Dicono che ho la facoltà di mettere tutte le mie cose nella stazione di polizia e posso dormire nella reception accanto a loro fino a domani. Non la migliore alternativa possibile e così prendo la peggior decisione della mia vita: sono rimasta. Un paio di settimane più tardi e vengo accettata per i sussidi di disabilità, perché ho una malattia. Appena il mostro lo scopre, improvvisamente, gli devo tutto quello che ho e altro, e ora dobbiamo dividere tutto, il canone e le bollette. Qualcosa che non solo non ho mai accettato, ma che non posso permettermi, cosa che il mostro sa bene. Gli do un sacco di soldi, la maggior parte di quello che ho. Compro anche cose per la casa e il cane. Ho fatto a suo figlio una torta di compleanno al cioccolato. Non molto tempo dopo noto che negli ultimi due mesi non avevo avuto il ciclo. Compro un test di gravidanza e vedo che non sono incinta. Aspetto un’altra settimana e compro un altro test. Dice che sono incinta. Sconvolta. Non volevo coinvolgere un bambino in questo casino, ma era anni che desideravo avere figli. Il conflitto nella mia testa mi stava distruggendo. Dico al mostro che sono incinta. Per alcuni giorni non ho smesso di piangere, gli ho urlato addosso chiedendo una risposta al perché stesse succedendo, sono andata in bagno e mi sono tagliata.

Una mattina sono a letto con lui. Non ricordo perché, ma mi dice di andare via. Mi dice che ne ha avuto abbastanza e vuole che esca dal suo appartamento. Mi sento sola e mi siedo in fondo al letto di fronte a lui, chiedo perché. Il mostro mi dà un calcio all’addome, non mi sposto, quindi lo prende a calci più forte. Cado all’indietro e la mia testa colpisce il pavimento. Comincio a piangere e ritorno sul bordo del letto, chiedendo aiuto. Vorrei avere la sensazione di avere un altro posto dove andare. Prenoto un appuntamento dalla ginecologa e lui viene con me. Durante la visita la dottoressa mi dice che non vede nulla. Sono completamente sotto shock. Che cosa è successo al mio bambino, perché non sto avendo il ciclo? La donna mi chiede quando ho fatto il test, mi dice che possiamo rifare un altro test ora. Mi conferma infine che non sono incinta. Cosa dirò al mostro, come reagirà. Com’è potuto accadere? Torno in sala d’attesa e mi siedo vicino a lui. Mi ricordo che non ha alzato gli occhi dal telefono. Ho iniziato a piangere. Mi sento attaccata dalla ginecologa e dal mostro. Dice che non può credere che mentirei per qualcosa del genere. Non mi sono mai sentita così male. Il dolore di quella falsa accusa non mi ha mai abbandonato. Non ho idea di come si sia convinto che devo aver mentito.

L’ultima volta che ho dovuto chiamare la polizia è stato appena prima della fine. Avevo accettato un lavoro da modella a New York e il mostro non voleva che me ne andassi. Sono a casa di amici e il mostro vuole distruggere il mio passaporto che ho lasciato nel suo appartamento. E così faccio l’unica cosa che posso e richiamo la polizia. Vado alla stazione e dico loro che voglio fare una dichiarazione. Racconto della violenza domestica e del precedente incidente con la polizia e che ho bisogno del mio passaporto per poter andare a prendere un aereo in poche ore. Dicono che hanno motivi per arrestarlo e che nel quartiere londinese in cui si trovano prendono molto seriamente la violenza domestica. La polizia l’ha arrestato e mi ha restituito il passaporto quella notte. Sono andata in America e il mostro ha passato la notte in prigione. Volevo restare a New York per alcuni mesi, ma la mia salute mi ha fatto tornare non appena finito il lavoro. Una volta tornata a Londra ero libera. Ma tutti i miei beni erano ancora a casa del mostro. Non ero legalmente autorizzata a comunicare con lui, quindi ho dovuto passare attraverso la polizia. Un giorno torno a casa del mostro. Apre la porta e mi chiede di entrare. Appena chiude la porta mi abbraccia e mi bacia. Mi chiede di tornare e mi dice che va tutto bene. Gli dico che voglio solo che le cose siano come erano all’inizio. Mi dice che per riaverlo la prima cosa che devo fare è ritirare le accuse con la polizia. Sono d’accordo e appena glielo dico la cosa finisce lì, come se non fosse successo nulla; riprende il telefono e va su Facebook. Penso di averlo visto stare su Facebook più di ogni altra cosa quando eravamo insieme. Vado alla stazione di polizia e ritiro le accuse di violenza domestica. Ritorno da lui e gli dico che è andata. Torniamo alla nostra normalità. Duro ancora qualche settimana, fino a quando finalmente ho la forza e il supporto per prendere un furgone e andarmene.

Di recente ho parlato con altre donne che sono state sfortunate abbastanza da incontrarlo. Ora chiede alle donne con cui esce di trasferirsi e aiutarlo a pagare l’affitto sin dall’inizio. Vede come sempre molte donne contemporaneamente a cui fa lasciare i vestiti a casa, a quelle nuove che passano dice di usare qualsiasi cosa vogliano, tanto erano della ex. Le esperienze che ho vissuto ogni giorno hanno frantumato la mia fiducia e la fiducia in altre persone, le mie relazioni non sono state le stesse da allora”.

I fatti raccontati si riferiscono soprattutto al 2016. Il musicista in questione si chiama Jonny Fox. Ma si fa chiamare artisticamente Itch. Per anni è stato (ed è tuttora, il gruppo si è riunito dopo lo scioglimento) il leader dei King Blues. Di recente diverse band di area femminista (su tutte il caso delle Tuts) hanno espresso e manifestato il loro dissenso e disprezzo nei confronti dell’uomo. Dal vivo e online. Già, online: qualche tempo fa Itch ha smentito quanto appena raccontato sul profilo Facebook della sua band. Dicendo che le donne (tre in particolare) che lo hanno accusato si sono messe d’accordo per distruggerlo legalmente ed economicamente. Ha ammesso altresì di aver raggirato un paio di ragazze, ma niente di più. Si è scusato. Sul suo profilo tutti i fan lo supportano. Di fatto contro di lui non ci sono accuse. Quelle formulate sono state, come nel caso menzionato, ritirate. Quindi c’è poco da dire, si tratta di due versioni contrastanti dei fatti. Tuttavia: spulciando la Rete in lungo e in largo si scopre che sono decine e decine le ragazze che hanno postato online la loro “versione” della relazione avuta con Itch (quanto riportato proviene da un account Tumblr a tema). Si va da continue proposte di matrimonio dopo litigi ad anelli regalati, da violenze verbali a domestiche, da richieste di sostegno economico fino ad abissi di torbidume, con tanto di continui screenshot di messaggi da gettare nello sconforto. La tattica pare fosse sempre la stessa: (in)seguire ragazze su Instagram, entrare in contatto, invitarle ai suoi concerti con biglietti omaggio e poi via andare. Intanto Itch ha appena terminato il tour di presentazione del suo libro di haiku, venduto in esclusiva su Amazon. Una carriera normale, nonostante tutto. Quattro anni fa il suo unico album – nonché debutto solista, uscito per l’etichetta della Red Bull, The Deep End – è stato nostro disco del mese. Devo confessare che gran parte della redazione era contraria. Ma all’epoca, in quel caso almeno, parlavamo di musica.

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