Live Report: Radiohead @ Visarno Arena, Firenze 14/06/17

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Di Davide “Deiv” Agazzi / foto: Panucci

Premessa: ci sono almeno quarantottomila persone che non hanno rivenduto il proprio biglietto per il concerto dei Radiohead, e che si sono ritrovate a Firenze per la prima delle due date (l’altra, all’I-Days festival di Monza) del tour italiano della band inglese. E questo, con buona pace di certa sociologia da mercato del pesce che ha portato alla realizzazione di qualche articolo sul fantomatico fenomeno dei biglietti rivenduti dei Radiohead.

Il rapporto fra gli androidi in paranoia e la città di Firenze è un qualcosa che va oltre la semplice questione professionale e la scaletta non fa che confermarlo. Sembra quasi che abbiano voglia di affrontare il palco, di mangiarselo, con la band di Oxford che si presenterà davanti ai cinquantamila accorsi alla Visarno Arena con addirittura qualche minuto di anticipo rispetto a quanto programmato.

Per la Visarno Arena, dopo il rodaggio a mezzo servizio della scorsa estate, si tratta di un vero e proprio debutto: mai prima d’ora Firenze aveva potuto godere di un tale spazio per godersi la musica, se si esclude lo stadio Franchi. E il risultato, nonostante il traffico cittadino paralizzato (ma dare la colpa al solo concerto sarebbe un errore marchiano) e le lunghe code per superare i controlli di sicurezza, è stato sicuramente all’altezza delle aspettative. Il meccanismo dei token, gettoni da acquistare all’ingresso per potersi poi rifocillare con cibo e bevande, è indubbiamente rivedibile e ha finito per creare diversi malumori, così come le lunghe file per bere o mangiare, ma si tratta, davvero, dell’unica nota stonata (perdonate il gioco di parole) dell’intera serata.

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Prima dei Radiohead, si sono esibiti sul palco James Blake ed il progetto Junun, riproposto dall’ensemble indiano Rajasthan Express: i due concerti, per quanto stilisticamente molto differenti, presentano un approccio simile, un’alternanza pieno/vuoto, danzereccio/riflessivo che a tratti funziona e a tratti molto meno. James Blake, in particolare, è molto bravo ed ha una gran voce ma forse non è l’artista adatto da mettere di fronte a 50mila persone. Il pubblico, comunque, apprezza.

Il concerto dei Radiohead si apre con Daydreaming, singolo estratto dall’ultimo A Moon Shaped Pool — ma il vero protagonista della serata sarà Ok Computer, disco dal quale verranno estratti ben sei brani e che proprio pochi giorni fa metteva il proprio faccione su un’ideale torta di compleanno condita da venti candeline. Ma ci sarà modo, in maniera tanto meravigliosa quanto inaspettata, di scavare ulteriormente all’indietro nell’ormai corposa discografia della band di Oxford.

Le luci, da sempre un elemento cardine dei live di Yorke e compagni, sono sicuramente meno appariscenti, più essenziali, rispetto a quanto messo in mostra nel precedente tour di cinque anni fa. Tre maxi schermi proiettano, all’interno di una sorta di stencil ovale, frammenti, dettagli dei componenti della band mentre suona. Pensate, non è la stessa cosa ma ci si avvicina, al vecchio video di Reptilia degli Strokes o a Faint dei Linkin Park, ma montati assieme a mò di collage. Ho reso l’idea? Immagino di no.

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Due ore e rotte di concerto, con Thom che a volte risulta quasi – giuro, non pensavo che l’avrei mai scritto – allegro. Parla col pubblico, bofonchia sempre prima di aprire bocca, ma c’è uno scambio fra audience e band che raramente ho visto nei loro concerti. E questa è la quinta volta che li vedo. Fra i momenti migliori della serata, un’intensa Idioteque, la splendida Everything in Its Right Place ed Exit Music (for a Film), con l’arena completamente in silenzio per lasciar spazio a Yorke ed alla sua chitarra. Sono brividi veri. Che non fanno in tempo ad andarsene, perché è il momento dei bis e la chiusura è da panico in corsia ospedaliera: Paranoid Android e Street Spirit (Fade Out).

Tutti a casa, quindi? Non ancora. C’è tempo e voglia per altri tre pezzi, Lotus Flower e la combo Fake Plastic Trees/Karma Police, una sorta di porno acustico per tutti coloro che hanno imparato ad amare il quintetto britannico già ai tempi dei loro anni più chitarrosi. Un concerto dei Radiohead è sempre un’esperienza, ma raramente ho visto la band così in palla: con una scaletta più centrata rispetto al tour di The King of Limbs e con una maggior predisposizione a relazionarsi col pubblico rispetto al passato, come – ad esempio – durante la grande fase di mutamento dei primi anni zero. E poi è tutto, si torna a casa. Fade out, again.

Guarda la scaletta del concerto a questo link.

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