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40 anni di R.E.M.: le canzoni scelte dalla redazione di Rumore

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La redazione di Rumore racconta alcune delle canzoni dei R.E.M. Non è una classifica, non è l’elenco delle canzoni imperdibili o di quelle sommerse.

RUMORE COVER FB NATALE 2023

In 40 anni suonati – gli ultimi nove non proprio, ma non facciamo i precisini – i R.E.M. hanno involontariamente unito più persone, cambiando pelle e vestito, ma rimanendo sempre loro: una della più imponenti pop rock band alternative, anche nei momenti di minor ispirazione. Dentro queste tre parole così generiche e generaliste come “pop” “rock” e “alternative” c’è almeno un’altra decina di stanze segrete di jangle pop, indie rock, country, college rock, folk rock e via via a snocciolare etichette che però non servono a definirli. Solo tenendo le maglie larghe si riesce a focalizzare meglio l’entità della band. Solo quando si fa un passo indietro, senza mettere la testa dentro un disco, si può riuscire a definirli. E quando la mancanza si fa sentire, si cristallizza ancor più solidamente l’ingombro storico-musicale di essi.

Se dici Athens (che sta in Georgia, Usa), dici R.E.M. 99 volte su 100. Una cittadina che nel 1990 faceva sì e no 45mila persone, dieci anni dopo 100 mila. E nel 1978, un anno prima delle primitive prove di quelli che non erano ancora i R.E.M., si gemella con Cortona, in Toscana. La band formata da Michael Stipe, Peter Buck, Mike Mills e Bill Berry, gioca in casa proprio ad Athens il primo live, il 5 aprile 1980, ormai messa ai calendari come inizio di tutto. Un concerto per il compleanno di un amico all’interno della chiesa episcopale di St. Mary. Ma il nome R.E.M. arriverà qualche settimana dopo. Parte da qui e arriva a oggi attraverso quindici album in studio, svariate raccolte e greatest hits (per non parlare delle ristampe). Nel numero di gennaio 2020 li avevamo già celebrati con la copertina, un lungo racconto, la conferenza stampa di Michael Stipe e la recensione della ristampa di Monster. Qui dentro non facciamo una classifica, non è l’elenco delle canzoni imperdibili o di quelle sommerse. Sono sensazioni (spesso personali) su qualche traccia che possa aver lasciato qualcosa a chi ne scrive senza limiti o equilibri da rispettare. Una canzone che è rimasta più di altre in questi quattro decenni di “rapid eye movement”. (Nicholas David Altea)

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1. Perfect Circle (Murmur, 1983)

È il batterista Bill Berry a comporre una delle canzoni più enigmatiche dell’enigmatico esordio Murmur. Per la nostra immaginazione adolescente, nella prima metà degli anni 80, Athens in Georgia è ancora quel luogo mitologico, dove un gruppo di studenti universitari uggiosi e bizzarri, disegna immagini misteriose con parole oscure che non capiamo, appoggiate a melodie grezze e urgenti su punta di chitarra. Perfect Circle chiude l’album con una struttura diversa da tutti gli altri pezzi che lo compongono. Due pianoforti vintage da ragtime vengono registrati fuori sincrono, riverberando l’uno sull’altro. La dodici corde di Peter Buck accarezza il ritornello. La voce fotografica di Michael Stipe ferma istantanee di sensazioni, senza dare motivazioni. Come spesso accade, i pareri sul significato del testo divergono. Stipe dice che si tratti di un’ex fidanzata, Mills parla della “strana sensazione che hai in un hotel a notte fonda mentre, lontano, passa un treno”. Buck cita le “Eleven Shadows”. Per lui sono un gruppo di ragazzini che gioca a football, osservati al tramonto dalla stanza di un albergo nel 1981. Si parla di funerali e di sentimenti non corrisposti. La ballata, come spesso accade con i R.E.M., è un po’ tutto questo. Un inno intimo e involontario all’irrisolutezza di quegli anni affascinanti e urgenti. All’ormai leggendario concerto al Palatrussardi di Milano nel 1989, Stipe tira fuori un cartello con un numero per introdurla, a fine set, prima della cover di After Hours dei Velvet Underground. Mormora parole (forse) importanti che non capiamo. E partono i due pianoforti. “Tirati indietro i capelli, dobbiamo andare”. Berry lascerà i REM nei 1997. Ha dato tutto. Non prima di averne composta un’altra: Everybody Hurts. Ma questa è un’altra storia. (Mauro Fenoglio)

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