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K Records sembra avere difficoltà a pagare i propri artisti

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di Elia Alovisi

The Stranger ha pubblicato un interessante pezzo sulla situazione finanziaria di K Records, storica etichetta DIY di Olympia, Washington, fondata nel 1982 e gestita da Calvin Johnson, frontman dei Beat Happening. Stando alle opinioni raccolte da Dave Segal, l’autore dell’articolo, l’etichetta ha dei debiti considerevoli con numerosi artisti tra cui Kimya Dawson dei Moldy Peaches e Phil Elvrum dei Microphones/Mount Eerie.

Tutto è iniziato da un post della Dawson su Facebook, pubblicato il 10 gennaio: “Se vi ho tolto l’amicizia probabilmente è perché avete a che fare con Calvin Johnson e, cazzo, mi sento davvero male ogni volta che una sua foto mi viene fuori in bacheca.” La Dawson ha poi spiegato ulteriormente la situazione, affermando di aver ricevuto dall’etichetta “un numero a sei cifre” in meno di quanto le era dovuto. Diversi musicisti avrebbero preparato un piano di pagamento, in quanto la K “non ha mai preso l’iniziativa, né ha mai messo in ordine i suoi libri contabili [per poter organizzare i pagamenti]”. “Alla frequenza con cui mi stanno pagando”, ha concluso la Dawson, “avrò quello che mi spetta tra 30 anni”.

Segal ha poi contattato direttamente Johnson, che gli ha confermato di aver pagato “quasi 200.000 dollari in royalties” alla Dawson, affermando come “questo non sia una scusa per qualsiasi ritardo nei pagamenti da parte nostra, ma è una dimostrazione di come la K non la abbia ignorata del tutto”. La Dawson ha poi messo in dubbio questi dati, affermando che gran parte venivano dalla Rhino, che aveva acquistato la licenza di alcuni suoi brani per la colonna sonora di Juno. Johnson ha controbattuto che “Tutte le fonti sono uguali”, e che la Dawson ha “ricevuto” quella cifra, non che “gli è stata pagata” quella cifra – intendendo quindi anche CD ed LP poi rivenduti in tour come forma di pagamento.

Anche Phil Elvrum ha commentato la situazione: “È vero che la K mi deve un po’ di soldi, e che la comunicazione tra di noi a proposito è stata piuttosto complicata in questi anni. Ma ultimamente ci sono stati degli effettivi tentativi di risolvere la situazione e ripagare la cifra in sospeso. Mi è stato concesso di riavere i diritti dei miei album per ri-pubblicarli autonomamente qualche anno fa, quindi almeno il debito non si sta facendo più grosso”.

Jared Warren dei KARP ha confermato la problematicità della situazione, affermando che la K deve al suo gruppo una grande somma, pagata finora solo in minima parte, in modo inconsistente lungo gli ultimi 18 anni – oltretutto, dopo diverse richieste. L’articolo contiene anche le opinioni di Candice Petersen, ex partner commerciale di Johnson che lasciò la K Records nel 1999 dopo 13 anni di collaborazione. La Petersen sostiene di essersi accordata verbalmente con Johnson per dividere equamente i profitti dell’etichetta, ma di avere visto poi la promessa infranta.

Arrington de Dionyso, un artista sotto contratto con la K, ha forse spiegato nel modo più chiaro l’origine di questa situazione. “Le condizioni degli anni Novanta e dei primi Duemila, che hanno permesso la nascita e la prosperità creativa ed economica di una scena indipendente, semplicemente non sussistono più. Nei primi anni Duemila, a molte band sotto contratto con K veniva permesso di prendere quanto merchandising gli servisse per i loro tour nazionali e internazionali, partendo dal presupposto che probabilmente il progetto avrebbe riguadagnato le spese di produzione grazie alle vendite via negozi di dischi, distributori e mail order che continuavano a far funzionare la macchina che era l’indie. Quindi, vendendo molto merchandising in tour, le band potevano tenere quei soldi finché l’etichetta riusciva ad essere rimborsata delle spese di produzione tramite le vendite relative a quegli altri canali.”

Johnson ha infatti dichiarato a Segal di essere lui in credito con diverse band, confermando le parole di De Dionyso, che continua: “Per un artista abituato ad andare in tour e a vivere con i soldi che guadagna di volta in volta, quella situazione era ideale e decisamente favorevole. Per ogni nuovo album che pubblico c’è una probabilità tra il 30 e il 50 per cento che il totale delle copie stampate venga venduta personalmente da me, a un concerto. Penso che la situazione sia diventata un po’ più complicata per quei pochi artisti che hanno raggiunto un successo maggiore”.

Trovate l’articolo completo di Segal a questo link. Qua sotto trovate The Shield Around the K, un documentario sull’etichetta pubblicato nel 2000.

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