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Lemmy Kilmister: la scomparsa di un concetto

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di Mario Ruggeri

Di coccodrilli ne sarà piena la stampa. Così di biografie. Ricostruire oggi la vita di un simbolo della musica popolare del ‘900, non ha alcun senso. Lemmy Kilmister è morto all’età di 70 anni. Sarebbero potuti essere 30 o 120 e non avrebbe fatto alcuna differenza. La notizia è che Lemmy non c’è più o, citando il commiato di Ozzy Osbourne, tra i primi a dare testimonianza di una fratellanza vissuta nel segno del rock “…ciao fratello, ci vediamo dall’altra parte…”. Lemmy, come qualsiasi altro essere umano, oggi sarà proprio dall’altra parte e, c’è da scommetterci, “dall’altra parte” avranno qualche problema di gestione dell’ordine. Lemmy non è morto: semplicemente non suonerà più per noi. Ricevo un messaggio da un amico: Lemmy non era un uomo. Era un concetto. Mi fermo. Rifletto. È vero.

Chiunque abbia seguito il rock, e non solo il metal, per più di due giorni, si è fatto accompagnare dalla sua serena ribellione, dal suo essere ordinario negli eccessi. Già, perché se ci pensate bene, Lemmy non ha mai dovuto eccedere per essere eccessivo. Lui seguiva le sue regole di vita, il suo modello personale di esistenza, legato così profondamente all’essenza del rock and roll: lo ha sempre fatto senza schiamazzi, senza pubblicità o senza doversi accreditare come ribelle. Lemmy era semplicemente il concetto di Rock and Roll, quello che oggi scompare. Le pagine dell’autobiografia La Sottile Linea Bianca (Dalai Editore, 2008), attraverso la voce dell’uomo che ha dato inizio alla sua vita musicale come…”selezionatore di droghe per il tour europeo di Jimi Hendrix…”, hanno detto e raccontato tutto. È importante invece metabolizzare un concetto: se la natura del rock and roll è volume (e non caos), libertà (e non ribellione), energia (e non violenza), anarchia (e non opposizione), edonismo (e non autodistruzione), fantasia (e non disordine), amore per la vita (e non odio), celebrazione (e non ritualismo), allora Lemmy è stato il concetto di rock and roll. Ne ha rappresentato ogni sfaccettatura, ogni valore, ogni elemento, senza risparmiarsi mai nulla, ma con quell’ironia e quell’allegria tipica di chi, in pace con se stesso, ha scelto di essere e non di apparire. Nessuno dei miti del rock che tanto celebriamo, da Hendrix a Cobain, da Barrett a Garcia, da Vicious a Crash, è mai stato così profondamente e intimamente rock and roll. Non sono state le droghe, le donne, le sigarette, i fiumi di alcool ad averlo assurto a mito. È stato il fatto che Lemmy viveva così ogni giorno, perché quella era la sua normalità. Una leggenda della cultura popolare del ‘900 che, rientrando a casa, se ne andava al bar di fronte a giocare alle slot machine, tra un Jack Daniel’s e una sigaretta, parlando con gli avventori come un qualsiasi essere umano terminata una giornata lavorativa. Chi altri lo avrebbe mai fatto? La vita di Lemmy si racchiude nel suo motto “Born To Lose, Live to Win: nato per perdere, vivo per vincere”. È questo concetto che oggi Lemmy si porta via. Porta con sé la cultura del rock and roll che nessuno, ad oggi, ha mai saputo ereditare.

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