Home Rubriche Dal vivo Live Report: Courtney Love @ Shepherd’s Bush Empire, Londra, 11/05/2014

Live Report: Courtney Love @ Shepherd’s Bush Empire, Londra, 11/05/2014

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Courtney_Love

di Stefania Ianne (foto di Gus Stewart)

Due ore dopo essere atterrata a Londra di ritorno dagli USA, causa un volo notturno ritardato ad oltranza, mi ritrovo nuovamente in metropolitana, la Victoria line che da Brixton mi porta verso Shepherd’s Bush, da sud ad ovest di Londra, verso quello che era una volta lo Shepherd’s Bush Empire, ma oggi tristemente èsemplicemente noto come 02 Empire. Mi ritrovo a vedere Courtney Love dopo aver sentito per caso un’intervista su Radio 4, la radio intellettuale della BBC,  nel programma più sfigato di tutta la programmazione radiofonica: Woman’s Hour.

Sembra tutto sbagliato. Innanzitutto Courtney Love è forse il personaggio della scena rock più odiato dopo Yoko Ono. E poi, Woman’s Hour, il programma per le casalinghe… really? Ma l’intervista mi cattura e quasi senza rendermene conto compro il biglietto per il concerto, il primo di 2 serate, senza convinzione.

All’arrivo all’O2 Empire mi accorgo che il jet lag fa effetto. Mi convinco che non resterò a lungo. I 2 concerti non sono nemmeno sold-out, mi dico: entro giusto per vedere. L’ingresso nel locale è sorprendente. Il locale è pienissimo. E il pubblico è bellissimo. Il posto sembra pieno di rock stars, ma in realtà sono ragazzi normali, solo, sorprendentemente, adorano Courtney Love. Mi rendo conto che esiste una fetta minoritaria di pubblico che effettivamente adora Courtney Love tanto che l’accesso alle prime file è praticamente impossibile. Raramente ho visto un pubblico altrettanto attento e altrettanto adorante.

Arrivo pochi minuti prima dell’inizio, l’attesa è nulla. Le note di Carmen riempiono la sala e annunciano l’arrivo da diva di Courtney Love, rosa rossa in mano, calze a rete e baby doll nero. Non si smentisce. Appesantita dagli anni e da una vita spericolata, Courtney a quasi 50 anni non è uno spettacolo edificante. C’è qualcosa di estremamente inquietante nella sua figura e soprattutto nel viso chirurgicamente ritoccato. Mi pento di essere venuta, l’impressione è che Courtney si stia tramutando a velocità supersonica nel prossimo esperimento di chirurgia plastica a metà strada tra Cher e Liza Minelli. La mente si popola di immagini terrificanti: Seattle tramutata in Courtneyland, il link mancante tra Dollywood e Disneyland nel panorama sintetico americano. Mi sveglio dall’incubo, non c’è nulla di vero. Courtney Love è ancora in carne ed ossa davanti ad un pubblico adorante. Wedding Day, il nuovo singolo, non è per nulla male ma soprattutto le canzoni delle Hole che ci ripropone, eclissate all’epoca dalla celebrità stellare post Never Mind dei Nirvana, sono estremamente potenti. Lasciamo perdere le canzoni post 1994, come Malibu e Celebrity Skin, inevitabili ma inutili. Pezzi come Miss World, Rock Star e Asking for It, lasciano il segno. Sexy, pericolosa, ma estremamente vulnerabile questa è la Courtney Love che ritrovo stasera. E nonostante gli anni inclementi e l’odio riversato da giornalisti e fan, CL è ancora viva, una contraddizione vivente, una facciata ribelle, rivoluzionaria, ma estremamente insicura e pubblico-dipendente, come se la sua vita dipendesse dal pubblico pagante.  Ha nutrito per decenni l’immagine del personaggio cattivo. Anche stasera non si smentisce – è la festa della mamma e ci ricorda che anche lei ha una figlia e che non si è dimenticata di mandarle dei fiori con una nota: ‘Thank you for not breast-feeding’…

Ma in realtà stasera CL mi appare come una vittima, vittima di un sistema quello delle case discografiche che agiva come un rullo compressore, vittima della celebrità, strizzata fino all’ultima goccia di sangue. Soprattutto vittima di un sistema misogino che non aveva previsto la presenza di una donna con una personalità. Le rock star non portavano le minigonne. Non era previsto che il trinomio sex, drugs e rock’n’roll fosse adottato da una donna. Anche gran parte del pubblico misogino rocchettaro non l’ha mai perdonata per essere se stessa. E quindi l’odio a priori. Perché lei è viva e Kurt Cobain è morto. Ma poco importano le opinioni ristrette e bigotte della massa, quel che importa è la musica e quella voce incredibile, ne avevo dimenticato la potenza. Quella voce ti penetra dentro, ti scuote violentemente, ti trasmette un roller coaster di emozioni.

L’indolente Skinny Little Bitch ancora risuona nelle mie orecchie a molte ore di distanza dal concerto. 20 Years in the Dakota, omaggio a Yoko Ono, si intreccia alle note di Hey Jude di beatlesiana memoria. Il pubblico è perplesso, Courtney ci rassicura “Trust me on this”. Le parti meno convincenti del concerto, sono le canzoni più intime, più lente.  Durante l’encore Northern Star con accompagnamento alla chitarra acustica non funziona, non aiuta il fatto che Courtney sia ritornata con un vestito ricamato bianco e con una serie di rose rosse distribuite al pubblico delle prime file, nel suo ruolo da ex-superstar sul viale del tramonto. Ma la conclusione con Doll Parts è di prima classe, ossessiva, dolorosa. Courtney ripete: “Some day you will ache like I ache”. Spero si sbagli, la ferita evidente è ancora aperta, il dolore traspare.

SETLIST

Wedding Day
Miss World (Hole)
Plump (Hole)
Malibu (Hole)
Reasons To Be Beautiful (Hole)
Honey (Hole)
Skinny Little Bitch (Hole)
Rock StarOlympia
20 Years in the Dakota (Hole)
For Once In Your Life (Hole)
Asking For It (Hole)
You Know My Name
Violet (Hole)
Celebrity Skin (Hole)
Northern Star (Hole)
Doll Parts (Hole)

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