Home Rubriche Dal vivo Live Report: La Route du Rock, La Nouvelle Vague @ Saint-Malo, 21/02/2014

Live Report: La Route du Rock, La Nouvelle Vague @ Saint-Malo, 21/02/2014

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Warlock

di Stefania Ianne

Non ci sono grandi nomi quest’anno alla Route du Rock a St Malo. La route du rock, non la Route du Rum – evento nautico quadriennale, tutti fraintendono. Vero, St Malo, in Bretagne, covo leggendario di pirati, è sinonimo di mare e barche a vela. Il rock è di passaggio due volte all’anno. Per la collezione d’inverno quest’anno scelgo il venerdì sera. Un miscuglio di nomi internazionali, un grande minestrone musicale.

La sala è piccola, nuova, nera: la Nouvelle Vague, gioco di parole, in periferia, vicino all’acquario. All’ingresso perquisizione ormai di rito. L’agente della sicurezza tasta la macchina fotografica. Fa una faccia perplessa. ‘Camera’ le dico. Capisce ed esclama : “Ah oui. Ça va”. Mi lascia passare con un sorriso…

Il primo sul palco è francese: Piano Chat. Solo, un paio di elementi di batteria, una chitarra e una marea di effetti. Nonostante lo sforzo notevole e gli effetti speciali, compresi i coriandoli sparati su richiesta dal pubblico, mi da l’impressione di essere poco più che un DJ molto ambizioso ma isterico, alla disperata ricerca di attenzione.

La sala è piccola e si riempie e si svuota velocemente tra un gruppo e l’altro, a fisarmonica. È deserta mentre il palco viene preparato per i Traams, inglesi di Chichester. Tre sul palco. Il loro stile è definito un miscuglio tra punk e krautrock. La miscela sembra abbastanza originale ma la performance in Bretagna è sicuramente poco carismatica. Il volume del basso copre tutto per gran parte del concerto, un feedback robotico poi sembra annegare qualsiasi possibilità di suono. L’effetto è più rave agli steroidi che rock, con voce forzatamente stonata che stranamente richiama il ricordo assurdo di Enzo Jannacci.

Nuova pausa, nuovi preparativi per il set dei Thee Silver Mt. Zion Memorial Orchestra. Canadesi di Montreal. Anticonformisti e anti-establishment per eccellenza. Poco convenzionali anche nel line-up con i due violini animati dalle due donne nel gruppo, Jessica Moss e Sophie Trudeau, anche alle voci di contorno alla voce e chitarra del leader Efrim Menuck. Al basso e contrabbasso Thierry Amar, intravisto con sigaretta elettronica sul palco durante i preparativi. Spettacolo ormai raro, il fumo sul palco. La formazione è a semi- cerchio sul palco a mantenere il colloquio aperto tra i vari musicisti. Sono di Montreal, nel Quebec francese, ma Menuck comunica con il pubblico in inglese: il francese, lingua locale, totalmente ignorato. Cerca il colloquio con il pubblico. Ci promette canzoni che sono orecchiabili, “catchy”, ma i temi sono severi, la depressione regna. Take Away These Early Grave Blues è dedicata a Vic Chestnut. Tra il pubblico una voce maschile cerca di intavolare una conversazione: “I love talking about depression” Menuck risponde. Apre un invito ad una conversazione post-concerto. Ci ripensa “Not with depressed people, though”. Le canzoni sono lunghissime, le introduzioni elaborate. Ma il pubblico vuole solo dimenticarsi nella musica, non sembra condividere le preoccupazioni del gruppo. “The planet is going to die in 20 years”, e allora? Il mantra degli SMZ non sta funzionando.

La temperatura è elevata. Si raggiungono temperature tropicali quando la sala è piena. Ma l’effetto dei gruppi sul palco tra il pubblico è glaciale. Mi guardo intorno, la folla sembra distrutta dal calore. L’arrivo dei californiani Warlocks sul palco lascia indifferenti, nella pausa la solita corsa ad aggiudicarsi una nuova pinta di birra non basta più a calmare la sete. Boccheggiante lascio la sala sulle note ripetitive di Dead Generation. Per strada mi imbatto nei SMZ esausti, salgono su un autobus con rimorchio dalla targa tedesca, completamente rosso. Prossima tappa Londra.

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