Pechino: il candore della pirateria

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di Lorenzo Barbieri

Xiaozhan è un ragazzo del 1979, viene da una megalopoli di mare che porta il nome di una birra economica e vive in 7 metri quadrati secchi di introversione insieme al cagnetto Yao Yao. Non ricordo come l’ho conosciuto, so che sono passati diversi anni e faceva freddo. Camminavo sulle sponde del Houhai ghiacciato a nord-ovest della Città Proibita, mi sono infilato in qualche stretto hutong e a fianco dell’insegna “Hutong Pizza” (come dire: la pizza del carrugio, o della calle) che non può passare inosservata c’era questa porta ricoperta di adesivi e grafiche di ogni epoca, tema musicale od onirico, illuminate in trasparenza da tungsteno caldo. Mi sono ritrovato a sfogliare pile di cd sul pavimento, insieme al cane Yao Yao, mentre Xiaozhan se ne stava seduto su un micro-divano a inchiostrare astucci di cartone.

Questo suo minuscolo negozio si chiama Rockland, esiste dal 2003 ed è rimasto in piedi, ed anzi continua a crescere vendendo musica. Ha un assortimento sconfinato di soli pezzi unici, non per solo snobismo ma perché dati i sette metri quadri doveva scegliere tra profondità e stock ed ha scelto la prima, con una gamma di cd usati da ogni parte del mondo, cd nuovi sia di importazione e sia locali, e soprattutto una “linea” che produce a suo marchio, in custodie di cartone scritte a mano una per una, da lui che da diciotto anni pratica la calligrafia, con album che vorrebbe la gente ascoltasse, alcuni molto rari ed altri molto famosi, in edizioni singole, cofanetti speciali e, da quando ha compiuto trent’anni, anche in compilation ragionate che rappresentano tappe della sua propria vita. Vende ciò che ascolta, ciò che lo appassiona, ne vive e ci vive.

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Non sono mai riuscito a chiamarla pirateria: sono piuttosto piccoli pensieri, confezionati a mano e fatti per essere ascoltati e vissuti, si confida con la stessa devozione. Molto spesso è arrivato a distribuire band che sarebbero state promosse ufficialmente in Cina solo più tardi, o altre volte semplici chicche introvabili in qualsiasi archivio o discografia.

Perché riesca a viverci devono pur essere piccoli oggetti di valore, con una loro bellezza, anche perché se nel resto del mondo la vendita di musica stenta, per i motivi che tutti conosciamo, in Cina questo è ancor più vero perché l’accesso alla pirateria online è ancora più agevole, così come lo streaming, che ha lasciato pochissimo spazio a qualsiasi supporto fisico. Xiaozhan del resto non ha mai pianificato di vivere e guadagnare facendo questo lavoro. Semplicemente, dopo essersi laureato in grafica ed aver lavorato per tre anni in un’agenzia pubblicitaria, ha aperto il suo proprio studio e ci ha messo la sua collezione di cd, da cui i suoi clienti non toglievano mai gli occhi. Ha iniziato a comprare album per la vendita e tanti altri ne ha disegnati, creando e a tutti gli effetti nutrendo una comunità. Molti musicisti cinesi cresciuti negli ultimi dieci anni gli devono molto: l’estate scorsa, in occasione del decennale del suo negozio, in suo onore hanno suonato in un live club da 600 persone, lui quasi ignaro e silenzioso come sempre.

“All’inizio volevo fare il graphic designer, quello per cui ho studiato e per cui vivevo da bambino. La musica l’ho sempre ascoltata, ma ho potuto rendermi conto di tutto quello che si faceva nel mondo solo quando a 19 anni sono arrivato a Pechino: ai cancelli dell’università a volte si trovavano persone che vendevano musicassette di seconda mano, di quelle rotte [in Cina non è permesso vendere cassette o cd in perfetto stato, ma solo se hanno almeno un difetto – in genere un taglio sul dorso della custodia di plastica], e lì tutto è diventato una cosa sola”. Siamo seduti su un divano della sua seconda creatura, il 69Café, questo 69 dedicato agli anni per lui d’oro di Woodstock, e se conosceste il personaggio eliminereste ogni doppio senso e gli credereste senza dubbio. È il bar che ha deciso di aprire tre anni fa perché “mi andava. Volevo far ascoltare la mia musica alle persone, l’ho voluto e l’ho fatto”. È un posto piccolissimo – di nuovo -, trenta metri quadri di divani, pareti tappezzate delle sue grafiche raccolte in tanti anni e dei suoi rotoli di calligrafia coi caratteri tradizionali, e c’è un minuscolo palco in cui quasi ogni sera ci sono degli artisti invitati a suonare. “Non avevo previsto la musica dal vivo, ma col tempo mi sono accorto che proporre solo musica registrata aveva delle limitazioni. Ho iniziato a invitare alcuni musicisti internazionali per brevi showcase acustici, poi ho attrezzato il locale ed ora abbiamo show quasi ogni sera”. Sono concerti per pochissimi, intimi, ormai tra i rarissimi luoghi di questa parte di città vecchia in cui non si vendano souvenir. Gli affitti hanno costi stellari, per capirci è un’area con l’attrattività di un Corso Como, ma lo stile di un caravanserraglio kazako, ed un bar che deve sopportare questi costi avrebbe dei limiti insormontabili. “Non posso dire che sia un locale profittevole, ma è l’unico in cui si possa ascoltare solo musica indipendente. Sono contento”.

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Dopo la carriera di grafico, il negozio di dischi e il locale, gli chiedo cosa farà domani, o cosa sarà, che è proprio lo stesso. “Rockland e 69Café sono una parte della mia quotidianità cui non posso rinunciare, come al mio continuo fare grafica, e non li abbandonerò mai. Voglio farne un’etichetta discografica, per pubblicare cd che non ci sono ancora. Sinora ho pubblicato opere di altre epoche, che in un certo senso per molti non esistevano, ma adesso voglio produrre quello che non ha mai avuto voce”. È tardo pomeriggio e una ragazza prende il palco con una chitarra acustica, senza saperla suonare, ma certo, lo fa per farsi aiutare da qualche sconosciuto. Xiaozhan sopporta, mette un bootleg di Thom Yorke, alza il volume e fa che succeda in fretta quel che deve, cioè che la ragazza la smetta con la chitarra e si sieda su un divanetto, e si lisci i capelli di fronte a un corteggiatore qualsiasi, lontano dal palco.

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Questo è uno dei posti a Pechino in cui si fa, si tocca, la musica contemporanea, dal folk, al jazz, al rock e alla musica tradizionale cinese. I suoi clienti sono i più vari, tanti ragazzi, artisti, alcuni stranieri, e svariati manager di teatri.

Per avere un’idea su cosa si vende in queste angolo di mondo gli ho chiesto di nominarmi qualche album, non importa se cinese o straniero, che secondo lui dobbiamo assolutamente ascoltare. Su tutto, a tutti, propone Nick Drake, Five Leaves Left, poi prosegue con folk, world e indie da camera: Lhasa De Sela con La Llorona, Syd Matters A Whisper And A Sign, Thee Stranded Horse Humbling Tides, Chris Garneau Music For Tourists, gli Smog di Bill Callahan A River Ain’t Too Much To Love, The XX XX, per finire con un po’ di storia del prog dei Focus di 3 e due band cinesi che conosce sin dagli inizi, e che frequenta anche ora che si sono internazionalizzate: i Carsick Cars con l’omonimo Carsick Cars e P.K. 14 di 上楼往左拐 [Upstairs, Turn left].

Tra gli scaffali mi mostra un cofanetto dedicato al Banco del Mutuo Soccorso, di cui è profondo conoscitore (!), e un altro di Ludovico Einaudi, di cui ha seguito ogni nuovo progetto sonoro, da Ballake Sissoko e i Lippock in poi, uno dei tanti artisti che per primo ha distribuito in Cina. Ricordo quando gli abbiamo fatto avere un originale autografato dallo stesso artista, che di mano in mano aveva ricevuto il cofanetto “piratato” e non gli era dispiaciuto vedersi registrato in tanto candore.

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Redazione Rumore
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