La lezione perfetta dell’altro punk: Marquee Moon dei Television

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(Television – Marquee Moon, 1977 – Elektra Records)

Riconoscere immediatamente un suono o un gusto è un riflesso automatico e quotidiano. “Rumore”, in collaborazione con Jameson, vi porta a scoprire ciò che li rende riconoscibili.

di Luca Minutolo

Questione di lana caprina andare a scovare la miccia che innescò la rivoluzione punk. Tra puristi della scuola inglese e inguaribili nostalgici della scena newyorkese della seconda metà degli anni 70. Per non parlare di chi individua nel garage anni 60 le origini del sound sporco e basilare per eccellenza. Probabilmente la colpa potrebbe ricadere su Iggy e suoi Stooges. Quando si parla di punk, ogni teoria è vera e falsa al tempo stesso. Inafferrabile, proprio come il punk del resto. Fermiamoci però dall’altra parte dell’oceano. Nella New York che nutre nelle sue sporche membra tutti i figli illegittimi dei Velvet Underground. Innamorati in egual misura della poesia decadente e di accordi dritti al punto. Attorno al CBGB’S, storico locale culla della new wave della Grande Mela, tra i tanti si susseguono band del calibro di Ramones, Talking Heads, Patti Smith e chi più ne ha più ne metta. Sapete tutti qual è la prima regola Punk? Bene, la prima regola del punk è non saper suonare. Nulla. Nessun tipo di strumento. Nemmeno il citofono di casa propria. In questo senso, i Television sono come un pesce che si dimena fuori dall’acqua sporca di una pozzanghera al 315 di Bowery Street.

Guardandosi attorno dentro e fuori casa, Paul Simonon dei Clash appuntava gli accordi dietro il manico del suo basso. Sid Vicious probabilmente non sapeva nemmeno cosa fosse un basso. Oppure i Ramones, che hanno costruito una carriera intera su due accordi. Due stramaledetti accordi valsi la storia. Difficile, in verità, fare della semplicità un tratto distintivo. Probabilmente è questo l’affare più complicato. Ancor più intricato delle geometrie barocche di Emerson, Lake & Palmer. Ma tutto questo importa davvero poco. Il movimento che brucia dalle ceneri dei Velvet Undergorund è un punto di rottura con l’ampollosità del passato. Eppure, in quel giro c’è una figura che sembra quasi fuori luogo. Un musicista che sa coniugare lunghe jam con l’efficacia del riff. Capace di far convergere sporcizia punk e poesia decadente francese in un amplesso new wave. Si fa chiamare, per l’appunto, Tom Verlaine. Capitano dei Television, tra cui milita agli esordi anche Richard Hell. A delineare le coordinate della preparazione tecnica di Verlaine ci viene in aiuto la Bibbia del Punk Please Kill Me, scritta a quattro mani da Legs McNeil e Gillian McCain, attraverso la testimonianza diretta dello stesso Hell: “Dee Dee (Ramone, ndr) venne all’audizione che Verlaine e io tenemmo quando stavamo cercando un secondo chitarrista per i Television… Cercammo di insegnare a Dee Dee una canzone e lui stava per morire. Suonava solo accordi base barrati, perché conosceva solo quelli… Noi gli dicemmo «Okay, Questo è in Do». E lui cominciò a suonare un accordo barrato. Allora gli dicemmo: «Do». E lui disse: «Oh! Oh!» e continuò a suonare qualcos’altro. Continuava a sbagliare… Dee Dee guardò verso di noi con sguardo interrogativo e mosse un po’ il dito… Noi scuotemmo la testa in segno di dissenso e lui lo spostò un altro po’. Davvero divertente. Era come un cagnolino in quell’audizione. Alla fine fummo costretti a dirgli: «Ci dispiace»”. Secondo lo stesso Dee Dee: “Tom Verlaine e Richard Hell erano persone molto determinate, adulte e calcolatrici. Tutti gli altri musicisti sembravano trascinarsi da una cosa all’altra, ma loro due erano molto diversi. E io che pensavo fossero due beatnik”. Semplice a questo punto dedurre il valore aggiunto di un disco come Marquee Moon, esordio dei Television a cui però non partecipò Richard Hell, uscito poco prima dalla band per avvicinarsi a Johnny Thunders e i suoi Heartbreakers.

Marquee Moon (1977) ha definito in un solo fulminante disco la parabola del rock chitarristico. Dove lo strumento, in primissimo piano, riporta la centralità del riff all’interno della canzone, scovandone nuove prospettive. Soluzioni semplici assoggettate al totale servizio della forma canzone. Le stesse che intraprendono senza paura i lunghi assoli di Verlaine, spuntando in ogni singolo brano di Marquee Moon. Prendete la title-track. Può un pezzo punk durare più di dieci minuti? In barba alle punk attack songs, Marquee Moon è lo stato dell’arte che s’inchina alla risolutezza del punk. Con quel riff portante che gira all’infinito, anche quando la corsa sotto “il tendone della luna” sembra essere terminata. Rientra progressivamente la sezione ritmica e poi il fraseggio in botta e risposta. Di nuovo. Con la stessa naturalezza del ciclo vitale che non si arresta. La lezione perfetta che i Television non replicheranno mai più. Con lo stanco Adventure dell’anno successivo e una improbabile reunion nel ’93 con un disco omonimo di dubbia necessità. Per il suo barocchismo spinto e calato nella semplicità, Tom Verlaine è un virtuoso prestato alle mani del punk. Con Richard Lloyd alla seconda chitarra, Fred Smith subentrato al posto di Hell al basso e Billy Ficca alla batteria, Marquee Moon sancisce lo zenith della new wave. E non vi scandalizzate se leggete le parole punk e prog accostate l’una di fianco all’altra. Perché Marquee Moon ha reso questo accostamento un ossimoro magnifico.

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