Leggi un estratto in esclusiva della biografia dei Baustelle, scritta da Federico Guglielmi

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È in libreria L’amore e la violenza (Giunti), la biografia dei Baustelle scritta da Federico Guglielmi. Qui sotto potete leggerne un estratto, introdotto dall’autore:

Quello tra l’inizio del 2003 e l’estate dell’anno seguente fu un periodo fondamentale per la vicenda dei Baustelle, che dalla forzata autoproduzione del secondo album si trovarono a ottenere un contratto major. Una fase “di passaggio” molto significativa e interessante, qui raccontata da Francesco Bianconi e dall’ex manager Roberto Trinci con i contributi dell’ex discografico Paolo Bedini, di Rachele Bastreghi e Claudio Brasini. Come sempre, la mia è la voce fuori campo che introduce gli argomenti specifici. – Federico Guglielmi

A 2002 non ancora concluso, i Baustelle hanno in mano il master del loro sospirato nuovo CD. Contrariamente alle previsioni, quando nel maggio dell’anno seguente il disco vedrà finalmente la luce, non sarà per Baracca & Burattini.
PAOLO BEDINI: “Nel 2001 avevamo cominciato a confrontarci sul secondo disco, e quella volta avevo ricevuto alcune decine di provini. In seguito mi era stato comunicato che Mirko e Michele non facevano più parte del gruppo e lì avevo capito che, nonostante i contratti vincolanti, la logica di ristrutturazione avrebbe presto coinvolto anche me: non avevo in mano la squadra e l’esonero era nell’aria, e in fondo avevo altri progetti di vita che quei brani (e tutto il contorno) avevano rallentato. Cercai di accelerare e alla fine venne fuori la loro proposta di risoluzione del contratto; ci fu una breve trattativa con Claudio, che per via del suo lavoro in banca era il più esperto di queste cose, e concludemmo tutto senza animosità, nel gennaio del 2003. Contestualmente ci si accordò per la vendita del master del sussidiario e stabilimmo di vederci nello stesso luogo del primo incontro, il casello dell’A1. All’appuntamento non si presentò nessuno ma, mentre me ne stavo andando, vidi in lontananza Claudio e Francesco che arrivavano di corsa a piedi. Erano rimasti senza benzina qualche chilometro prima!”.
FRANCESCO BIANCONI: “Sì, fu sempre a Bettolle-Valdichiana. Io e Claudio con in tasca i cinquemila euro che avevamo concordato e lui con la solita macchina, come sempre tutto vestito di jeans. Ci siamo rivisti dopo anni in occasione del tour di fantasma, è venuto a salutarci a una data in Liguria. Quando lavorava con noi era un po’ casinista, probabilmente voleva fare più di quello che gli era possibile, ma è stato un personaggio importante nella storia dei Baustelle e del rock italiano di quegli anni. Gli vogliamo bene”.
ROBERTO TRINCI: “Non ha senso negarlo, eravamo rimasti tutti delusi dal rapporto con l’etichetta; da qui la risoluzione consensuale del contratto, andata tranquillamente in porto. A quel punto ho cominciato a proporre il disco alle solite major e a collezionare le solite porte in faccia; alla BMG Ricordi mi dissero che sembravano Garbo ma del resto erano gli stessi che avevano rifiutato i Subsonica nell’anno di Sanremo. Ci sono stati anche tanti complimenti, sia chiaro, ma quando si trattava di quagliare… nulla”.
FRANCESCO BIANCONI: “Diversamente dal sussidiario, in questo caso ci aspettavamo un trattamento diverso, anche perché il nuovo album ci sembrava più bello e tecnicamente non aveva pecche di sorta. Fu allora che Trinci volle prendere il toro per le corna”.
ROBERTO TRINCI: “Anche se la pubblicazione di un disco da parte di un editore musicale va contro tutte le regole delle multinazionali, convinsi il mio capo, l’amico Paolo Corsi, a compiere un azzardo stampando e distribuendo sul circuito indipendente settemila copie di la moda del lento. Utilizzammo il marchio MIMO, che apparteneva proprio alle Edizioni BMG Ricordi”.
FRANCESCO BIANCONI: “Il titolo dell’album era lo stesso di una sua canzone a proposito dell’entrare in crisi in varie maniere. L’immagine che avevo in mente scrivendone il testo era quella dell’attesa di una sorta di era mitica e felice nella quale sarebbero accadute le cose più belle, come il ritorno dei balli lenti. Mi piaceva il suo suono: era vagamente come l’era del cinghiale bianco di Battiato ma con meno pretese. La copertina fu disegnata appositamente da un’illustratrice e pittrice francese, Florence Manlik, che avevo conosciuto grazie a un doppio album di Momus: il musicista britannico si era impegnato a comporre e pubblicare su stars forever, il suo disco in via di realizzazione, canzoni intitolate con i nomi di chi gli avesse inviato tre righe di note autobiografiche e mille dollari. Florence Manlik aveva aderito, il suo pezzo era bellissimo e io, curioso, andai a vedere chi fosse e cosa facesse. La sua arte mi piacque e le scrissi, spiegandole la connessione, raccontandole di la moda del lento e chiedendole due alieni danzanti”.
ROBERTO TRINCI: “Le recensioni furono di nuovo eccellenti ma l’esito generale dell’operazione fu frustrante: non si vide un soldo. Tra l’altro quella mia autonomia mi avrebbe portato ad avere dissensi con la direzione della BMG e a lasciare il mio posto da editore nel 2004, per circa due anni. Sarei rientrato nel giro alle Edizioni EMI, dove avrei subito portato i Baustelle. E i Subsonica, nel management dei quali avevo lavorato durante la pausa”.
FRANCESCO BIANCONI: “la moda del lento fu importante: non fece breccia ma fu utile. Le radio non ci trasmettevano perché, nonostante il nostro sound accattivante, venivamo accomunati al rock alternativo tipo Marlene Kuntz, che per il grande pubblico non andava bene. L’unica era cercare di arrivare a MTV, ma al tempo i videoclip dovevano essere realizzati in un certo modo e noi non potevamo permetterci quei budget”.
ROBERTO TRINCI: “Chiesi a Carlo Bertotti dei Delta V se secondo lui Lorenzo Vignolo, che con loro aveva fatto cose ottime, sarebbe stato disposto a un’operazione con pochi, pochi soldi. Carlo lo descrisse come una persona umanamente fantastica che, se avesse apprezzato il progetto, si sarebbe prestata di sicuro”.
FRANCESCO BIANCONI: “Lo incontrammo e scoprimmo un ragazzo di un’innocenza, di una purezza, di un entusiasmo così belli che a ripensarci commuovono tuttora. Non per nulla è stato lui a dirigere il maggior numero di nostri video”.
ROBERTO TRINCI: “Portai il suo clip di Love Affair a MTV, e piacque: festeggiammo, quando cominciò a passare in daytime. Inoltre affidai ai Delta V un remix di Arriva lo ye-yé, che incredibilmente conquistò qualche passaggio a Radio Deejay. Insomma, facevo da editore, manager, produttore esecutivo e discografico. Tutto quello che riguarda la moda del lento è il motivo per cui non ho dubbi di essere stato una figura di rilievo nella storia dei Baustelle. Peccato che non abbia potuto risolvere il problema dei live, che erano divertenti ma ancora incerti: i ragazzi provavano poco e non riuscivano a sviluppare tecnicamente le tante idee che mettevano in campo”.
RACHELE BASTREGHI: “Dei nostri video, quello di Love Affair è uno dei miei preferiti, mi piace molto l’interazione fra musica e immagini. E amo moltissimo anche la canzone: fosse per me la eseguiremmo in ogni concerto ma gli altri non mi danno retta. Quando passò per la prima volta in televisione, la mia famiglia la visse con grande partecipazione emotiva. Non pensavo per nulla di ‘avercela fatta’, ma fu un segnale che forse si stava davvero muovendo qualcosa”.

Per promuovere in concerto la moda del lento la band si avvale della sezione ritmica composta da Stefano Vivaldi al basso e Roberto Forlini alla batteria, con quest’ultimo ben presto sostituito per causa di forza maggiore da Samuele Bucelli, introdotto sempre da Vivaldi. Complici il sito e l’appoggio di MTV, che trasmette spesso anche il video di Arriva lo ye-yé (diretto da Lorenzo Vignolo, come il precedente), i Baustelle raccolgono un bel seguito di fedelissimi ma la loro notorietà non è abbastanza ampia da permettere l’organizzazione di un tour propriamente detto. Le uscite sul palco sono così più o meno episodiche, con i saliscendi emotivi ad andare a braccetto con l’abnegazione. Alla fine dell’estate del 2003, a dare un’ulteriore iniezione di fiducia provvede il PIMI, il neonato Premio Italiano Musica Indipendente istituito dal solito MEI di Faenza: per la giuria di giornalisti della stampa specializzata i Baustelle sono “gruppo dell’anno” e Amerigo Verardi è “produttore dell’anno”. A giugno del 2004 l’uscita di una convincente versione di Latte 70 di Giorgio Gaber (unica incisione del sestetto Bianconi-Bastreghi-Brasini-Massara-Vivaldi-Bucelli), nel CD tributo un’attrazione un po’ incosciente allegato al trimestrale di approfondimento musicale Mucchio
Extra, precede di poco un evento a lungo sospirato.
ROBERTO TRINCI: “In una data del tour di la moda del lento, a Brescia, Amerigo mi aveva preso da parte e mi aveva detto qualcosa tipo: ‘Ma lo sai che stai facendo del male a questi ragazzi? Sono bravissimi ma in Italia non ce la faranno mai… perché li illudi?’. Aveva tutte le ragioni per pensarlo ma per fortuna non fu un buon profeta. Ricevetti infatti una chiamata da Tino Silvestri, il direttore artistico della Warner, che conoscevo da quando gli avevo proposto con successo Massimo Volume e Sistema Informativo Massificato. Luca De Gennaro, il direttore artistico di MTV, gli aveva parlato benissimo dei Baustelle e voleva sapere se io fossi il loro manager. Ci vedemmo, parlammo e riparlammo e, dopo una faticosa trattativa condotta via fax perché per tre mesi mi trovavo a Parigi, i ragazzi ebbero quello cui avevano sempre aspirato, un contratto con una multinazionale”.
CLAUDIO BRASINI: “A metà luglio del 2004, pochi giorni dopo il mio ritorno dal viaggio di nozze, suonavamo a Genova, al Goa Boa Festival. Come nelle migliori tradizioni del rock degli anni ’70, nel backstage si materializzò Trinci e ci comunicò la notizia della chiusura dell’accordo con la Warner. Roberto ci diede le carte dicendo di firmarle immediatamente e noi lo facemmo senza esitare”.

Redazione Rumore
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