Intervista: Prophets Of Rage

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di Davide “Deiv” Agazzi

Inevitabilmente è un qualcosa che, chi si occupa di musica, si trova a dire o a scrivere spesso, ma davvero i Prophets of Rage non hanno bisogno di grandi presentazioni. Figli di tre band che hanno letteralmente disegnato gli standard sonici degli anni ’90, Rage Against The Machine, Cypress Hill e Public Enemy, si portano dietro un fardello non semplice: quello di essere sempre all’altezza della propria eredità artistica. Cosa non esattamente facile da fare. Il progetto nasce all’alba dell’ultima campagna elettorale americana, nel momento in cui Trump viene confermato dal partito Repubblicano come proprio candidato alle presidenziali contro la favoritissima Hillary Clinton. L’idea era quella di essere una spina – in quattro quarti – nel fianco del magnate americano. Sappiamo bene com’è andata a finire.

Non è chiaro se si trattasse solo di una riuscita trovata promozionale da parte del proprio ufficio stampa o se, una volta visti gli esiti, i Profeti abbiano in qualche modo deciso di ritrattare, ma diciamo che le cose non sono andate come sperato. Poco male, resta la musica. Che è un po’ quella di sempre, e questo costituirà la felicità di molti ed il disappunto di altri, ma l’unica nota reale di novità nel progetto Prophets of Rage rispetto all’ingombrante passato, sta – appunto – nelle due nuove voci scelte per veicolare la propria voglia di rivoluzione, quelle di Chuck D e di B Real. Per completezza d’informazione è giusto segnalare anche l’arrivo di Dj Lord (Public Enemy) ai piatti, per quanto il suo impatto risulti minore nell’equazione finale.

In tema di certezze, invece, troviamo ancora alle pelli Brad Wilk, fantasioso e palestratissimo batterista che siede in fondo al palco dai tempi dei Rage (prima) e degli Audioslave (poi). Le voci di queste due band ritornano in questa intervista, realizzata durante i giorni della prima edizione di Firenze Rocks, con un riferimento allo stato attuale di Zack De La Rocha che tradisce una certa distanza fra le parti e un omaggio sincero e sentito al recentemente scomparso Chris Cornell a chiusura della chiacchierata.

Come procede il tour?
“Siamo qui con questa formazione per la prima volta, non diamo niente per scontato e tutto è andato alla grande. La connessione fra di noi e col pubblico è stata fantastica”.

Immagino non sia facile girare con un nome così. Voglio dire, il progetto Prophets of Rage è figlio di tre band che hanno scritto la storia della musica. Come vivete questa cosa?
“Cerco di non pensarci. Non penso a chi siamo o a cosa abbiamo fatto nel passato. Penso solo che siamo sei musicisti, chiusi in una stanza, che cercano di scrivere musica. O che siamo sei fratelli che si prendono cura l’uno dell’altro, influenzandosi a vicenda, suonando assieme, in situazioni che ci piacciono. Questo è quello che sta succedendo in questa band adesso, questo è il modo in cui abbiamo scelto di viverla. È una bella sensazione”.

Quali invece le tue aspettative per questo progetto?
“Prima di tutto, tornare a fare musica con questi ragazzi. Quindi, quando ho ricevuto la telefonata di Tom (Morello) all’inizio della campagna elettorale presidenziale.. perché sì, sicuramente c’è stato anche quello, ma principalmente c’è stata la voglia di tornare a suonare per continuare quello che avevamo iniziato. Abbiamo un singolo fuori adesso, Unfuck The World, che parla anche di questo: se vuoi un cambiamento, devi cominciare a farne parte. E magari, in futuro, avremo un sistema migliore”.

Oltre alla voglia di tornare a suonare coi tuoi compagni, quali altre motivazioni c’erano dietro al progetto Prophets of Rage? L’idea era effettivamente quella di boicottare – passami il termine – in qualche modo la campagna di Trump o..
“No. Non quello. Non voglio neanche parlare di lui, non farò neanche il suo nome. Quindi no, davvero. Credo che comunque abbia fatto qualcosa di positivo: se avesse vinto Hillary, non sarebbe cambiato nulla, l’America sarebbe sempre il solito paese. E invece la sua vittoria, la vittoria di quel tizio (‘that guy’) ha risvegliato molte coscienze, di tantissime persone che erano letteralmente addormentate. E questo è buono, è un qualcosa che ci porta più vicino ad uno scenario di rivoluzione negli USA”.

Tutto questo è molto karmico. Detto ciò, quindi, che paese è oggi l’America?
“Come ho detto, ci sono molte persone che si sono risvegliate. Guarda cosa ha combinato quel tizio a Parigi: si è alzato e se ne è andato. Non vive i problemi di tutti, quelle che sono le problematiche condivise, non ha neanche un’opinione sulle problematiche legate al clima, non gliene frega niente. Il suo atteggiamento ha mostrato, a livello globale, quello che lui è realmente. Ha dei figli, ma non si preoccupa minimamente del loro futuro. E poi ci sarebbe anche quel gigantesco pezzo di ghiaccio che si staccherà dal resto entro i prossimi dieci anni ed alzerà ulteriormente il livello del mare di almeno dieci centimetri. C’è il problema dei rifugiati, di tutte queste persone che non hanno più una casa e.. niente, questa è la mia hit estiva che la fa prendere bene (ride)”.

Ok torniamo al singolo, Unfuck the World. Da che parte si comincia?
“Io sono un musicista, io suono la batteria. Il mio contributo è quello di fare musica, e di farla in una band che denuncia le ingiustizie del mondo e di coloro che cercano di approfittarsi del prossimo in maniera pericolosa. E ho sempre fatto parte di band che avevano questo tipo di attitudine. Cerco, cerchiamo, di portare avanti la scintilla del cambiamento: se anche una sola persona, dopo aver sentito una nostra canzone, o aver assistito ad un nostro concerto, comincerà a pensare diversamente, a preoccuparsi di alcuni temi, se anche in quella sola persona avremo acceso la scintilla del cambiamento, allora avrò fatto quello che dovevo fare. Ma questo sono io. Per tornare alla tua domanda, ognuno deve trovare la propria strada in questo, una strada positiva. E’ il tuo percorso, non posso essere io a dirti cosa fare”.

Quindi ti riferisci ad una rivoluzione personale.
“Se la nostra musica, la nostra arte o una nostra intervista ti ispira in qualche modo – o anche se non lo fa, perchè no, non deve succedere per forza – dipende tutto da quello che prendi da noi e dalla reazione che questo scaturirà in te. Sta a te decidere come diventare una persona migliore”.

Ci avete messo un mese per registrare il disco, giusto?
“Circa tre settimane”.

Era il tempo di cui avevate bisogno o quello che avevate a disposizione?
“Entrambe le cose. È semplicemente il tempo che c’è voluto. Abbiamo lavorato un tot di ore ogni giorno, siamo arrivati in studio con 14 pezzi, se non ricordo male, e poi sul disco ne sono finiti 12”.

Musicalmente parlando, mi ha portato indietro ai tempi di The Battle of Los Angeles. Sei d’accordo?
“Questo disco? Wow. Sì, su alcune cose posso essere d’accordo.. ma fondamentalmente la vedo come me, Tim e Tom che suoniamo assieme e ci conosciamo da anni, c’è chimica fra noi e sappiamo che quando entriamo in studio assieme cerchiamo sempre di fare cose nuove anche se altre, inevitabilmente, si ripeteranno e saranno, magari, riconoscibili. Mi piace lavorare con musicisti che non danno niente per scontato”.

Qual è, ad oggi, la situazione dei Rage Against The Machine? Vi vedremo ancora assieme, in futuro? O consideri quello un capitolo chiuso e adesso ci sono solo i Prophets of Rage?
“No, no. L’ultimo show che abbiamo fato assieme è stato nel 2011 ed è stato grandioso. Mi piacerebbe suonare di nuovo con quella band. Siamo passati attraverso tante cose assieme, sono legato a queste persone. Ma al momento non ci sono piani per dischi o tour”.

Parlate ancora con Zach?
“Si”.

Cosa sta facendo?
“Credo stia lavorando al suo disco”.

Come cambia il vostro modo di scrivere musica a seconda di chi è al microfono? Avete scritto musica quando c’era Zach, poi Chris Cornell, adesso B Real e Chuck D. Come cambia il processo creativo?
“Personalmente ti direi che quando suono con uno come Zach, lui ha dei ritmi incredibili, alcuni connessi direttamente con alcune parti della batteria, mentre con Chris, beh, lui è un cantante, usa note lunghe, e quindi la mia idea era di creare maggior spazio nella musica che andasse di pari passo con la sua voce meravigliosa. Era quindi una questione di spazi e di note. Adesso siamo di nuovo a lavorare coi rapper, Chuck D e B Real, e posso dirti che questi sono i due MC che ho ascoltato maggiormente in tutta la mia vita e quindi la loro ritmica è nel mio DNA. Quelli erano i dischi che ascoltavo quando andavo in macchina verso lo studio a provare coi Rage. Quindi il fatto che adesso questi due rapper siano nella band ha assolutamente senso, niente potrebbe avere più senso di questa scelta. Pensa che il primo tour coi Rage lo facemmo proprio coi Public Enemy, furono loro a chiamarci per aprire i loro concerti. B Real, invece, appare nel nostro primo video, Killing In The Name. Abbiamo una ricca storia in comune, e quindi sono davvero felice della piega che han preso gli eventi e del nostro disco, che suona fantastico. I toni dell’album sono incredibili, abbiamo allargato le nostre sfumature di sound”.

Torniamo sulla campagna presidenziale. I media erano, bene o male, praticamente schierati compatti a favore della Clinton, e sappiamo bene com’è andata. Questo, secondo te, cosa ci dice dello stato di saluto dei media? Hanno smesso di influenzare le persone?
“Non lo so, credo che si possa leggere questa cosa in più modi. Forse è come dici tu, o forse è stato davvero Putin, o forse a nessuno frega un cazzo di queste elezioni. Qual è il vero valore di queste elezioni? E qual è il suo valore sugli altri paesi? Cos’è una vera elezione? Ce n’è mai stata una? Quindi, torniamo al concetto di prima: il mondo non cambierà da solo. Mi auguro che le cose positive sovrastino quelle negative, ma non è detto che avvenga. Ognuno deve provarci: cosa significa essere una persona migliore? Cosa significa essere una persona positiva nella tua comunità? Provateci, potrebbe piacervi!”

Vorrei chiudere con una domanda più personale. Hai voglia di condividere un ricordo o un pensiero su Chris Cornell che è recentemente scomparso?
“Penso che Chris Cornell sia stato uno dei più talentuosi, se non il più talentuoso, musicista col quale abbia mai avuto a che fare. Era una persona dolce e generosa, amavo suonare con lui così come ho amato esser stato un suo fratello, compagno, amico. Ci mancherà. Questo è quanto, questo è quello che mi sento di dire: ci lascia una quantità incredibile di musica che ha influenzato moltissime persone. Voglio solo omaggiare la sua eredità e la musica che ci ha lasciato”.

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