Intervista: Spoon

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testo di Luca Minutolo / fotografie di Zackery Michael

All’interno del numero di marzo di Rumore (che trovate ancora in edicola fino alla fine di questo mese) c’è un articolo scritto a più mani dal titolo esplicativo: “2017: l’anno in cui l’Indie Rock si è rotto?”. Ecco, perché parlare di indie rock proprio nell’introduzione di una band che è sempre stata al limite di questo recinto? Perché indubbiamente gli Spoon, band di Austin capitanata da Britt Daniel, giocano in equilibrio sul confine (ormai completamente labile e da molti superato) tra quei due mondi tanto simili quanto differenti chiamati indie e mainstream.

Probabilmente è stata proprio questa versatilità ad assicurare un futuro roseo e duraturo agli Spoon, raffinati abbastanza da soddisfare le strambe esigenze di ogni indie-kid del globo. Attenti alla melodia e all’irresistibilità FM da impattare sulle masse senza particolari stratagemmi. Compromesso raggiunto dopo l’esordio nella seconda metà degli anni 90 in casa Matador (sempre nell’articolo di cui sopra, trovate una bella chiacchierata del nostro Elia Alovisi con Chris Lombardi, fondatore dell’etichetta) per poi traghettare naturalmente sotto l’egida della Elektra e poi tra le fila della Merge. Salti a piè pari, appunto, tra universi paralleli solamente per convenzione, ma non per sostanza. La stessa che si traduce in un sound ormai riconoscibile, cifra stilistica che gli Spoon costruiscono e alimentano disco dopo disco, dai più blasonati Ga-Ga-Ga-Ga-Ga e Transference fino ad arrivare alle coinvolgenti derive pop di They Want My Soul, accompagnati per mano dalla precisione chirurgica dei synth. Un corso nuovo inaugurato nel 2014 e che prosegue oggi con Hot Thoughts, nono capitolo che segna il ritorno, appunto, in casa Matador.

Hot Thoughts è un disco ben lontano dall’urgenza di They Want My Soul, ma che prosegue la realizzazione di un disegno ben più ampio: recuperare le pulsazioni electropop e funk anni 80, declinandole però al gusto melodico e contemporaneo della band di Austin. Abbiamo intercettato Jim Eno, batterista e fondatore degli Spoon assieme a Britt Daniel, per capire lo stato di salute degli Spoon nel 2017 e, di conseguenza, proseguire l’analisi sull’indie rock del 2000 iniziata sul cartaceo.

Gli Spoon passeranno dall’Italia per una sola data alla Santeria Social Club di Milano.

Cominciamo da un breve riepilogo. Hot Thoughts è il nono disco che arriva dopo vent’anni dal vostro esordio. Come vi sentite adesso dopo tutti questi anni?
Mi sento bene. Tutto il resto della band sta passando un periodo magnifico. Sono davvero soddisfatto di questo nuovo disco. Ogni giorno passato con i miei compagni mi fa sentire parte di una grande band in cui ci si diverte e si lavora da matti. Oggi come ieri.

Cosa è cambiato in tutti questi anni di carriera? Mi riferisco alla band, così come al panorama musicale che vi ruota attorno.

Eh, vediamo… [Fa una lunga pausa sospirata, nda] La musica è in continua evoluzione. Nelle sue forme e nella maniera in cui viene fruita, ascoltata e vissuta. Non saprei. Dalla nostra parte continuiamo a cercare di produrre sempre ottima musica al massimo delle nostre possibilità. Abbiamo sempre immaginato un sound futuristico per la nostra musica, specialmente per Hot Thoughts. Abbiamo cominciato a registrare questo nuovo disco immaginandolo proiettato in un futuro immaginario, nei suoni così come nei contenuti. Fantasticando su come sarà composta e suonata la musica del futuro. Questo è il ragionamento che abbiamo cercato di seguire, tenendo conto anche di They Want My Soul, il nostro precedente disco. È stato un processo che ci ha stimolato moltissimo. Spero che questa voglia e interesse scaturisca anche in chi lo ascolterà.

Quindi c’è un filo che lega Hot Thoughts e They Want My Soul. Indubbiamente uno dei legami più forti è l’utilizzo principale di arrangiamenti ed elementi elettronici. In questo caso come vi siete approcciati alla lavorazione? Indubbiamente si tratta di un disco ben diverso dai precedenti. A suo modo è anche il più smaccatamente electropop che abbiate mai realizzato. Probabilmente c’è un percorso di fondo iniziato con They Want My Soul e che prosegue oggi con Hot Thoughts.

“Abbiamo cominciato a scrivere questi nuovi brani nel 2015. Eravamo ancora in tour per They Want My Soul e Britt aveva già cominciato a pensare alle nuove canzoni. Una volta impiantate le basi dei pezzi abbiamo lavorato assieme sugli arrangiamenti. Terminato il tour a metà 2015, ci siamo presi qualche mese di pausa per poi ricominciare a lavorarci su in studio assieme a Dave Friedmann, dividendoci tra New York e Austin. Ci abbiamo messo un anno per sistemare tutto con molta calma, senza farci trascinare dalla fretta che il mondo, specialmente quello musicale, ormai impone. Si tratta di un disco più ponderato rispetto al solito, anche se magari nelle sonorità può apparire più pop, ma non è affatto così semplice come sembra”.

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Come dicevamo prima, c’è una progettualità nel vostro sound che parte da They Want My Soul e procede con Hot Thoughts. In quale direzione si sta muovendo il sound degli Spoon oggi?

A dir la verità non so cosa stia accadendo. Non c’è un preciso disegno stabilito a priori. L’ultima canzone che abbiamo registrato per They Want My Soul è stata Inside Out. Sarà un caso, ma quello è il nostro brano preferito di tutto il disco. Per la sua potenza sonica e l’atmosfera sognante che racchiude in sé. Il suo sviluppo è stato talmente stimolante per noi da finire a lungo termine anche in questo nuovo disco. Non propriamente come mood, ma come approccio alla forma canzone, così piena di effetti elettronici e curati nei minimi dettagli. In quel pezzo ci sono ben tre assoli di tastiere, il che suona abbastanza folle. Lo stesso approccio lo abbiamo utilizzato per Hot Thoughts, ma senza schemi precisi. Saltando tra i vari brani con la stessa voglia di sperimentare senza schemi fissi. Trattandosi dell’esperienza più eccitante e significativa del nostro precedente disco, è stato naturale riprendere il discorso da quel punto. L’anello di congiunzione tra questi due dischi è proprio Inside Out.

Questa scelta di cimentarsi con l’elettronica è stata dettata dal caso, oppure ci sono artisti o determinati ambienti musicali da cui avete tratto ispirazione?

All’interno della band siamo tutti grandi fan di Prince o dei Talking Heads, giusto per citarne un paio. Questa scelta non arriva molto dalla scena elettronica contemporanea. Piuttosto si tratta di influenze più datate. Mi riferisco al sound futuristico di quei tempi a cavallo tra i 70 e gli 80, che mescolavano funk e pop utilizzando sonorità elettroniche. Tutte quelle tastiere ed inserti elettronici che facevano da cornice a brani prettamente pop. D’altra parte Alex Fischel, il nostro tastierista, ha giocato un ruolo fondamentale specialmente in questi nostri ultimi due dischi. È un tastierista fenomenale. Basta descrivergli un mood così, semplicemente parlandone, e lui riesce immediatamente a tramutarlo in musica. Il suo aiuto ci ha aperto le porte a tutte le soluzioni prettamente elettroniche che negli anni e nei dischi passati non abbiamo mai voluto includere, semplicemente perché non ci piacevano come suonavano.

Per quanto riguarda i testi invece, con Hot Thoughts sembra che il linguaggio degli Spoon sia diventato più diretto che in passato. Non è così?

Non saprei. Di solito è Britt che si occupa dei testi. Posso dirti con certezza che in passato abbiamo utilizzato le voci come se fossero un ulteriore strumento. Per Hot Thoughts invece le parole dei brani hanno un significato specifico. Probabilmente sì, anche più diretto e che lega i brani del disco tra loro. Non so, ad esempio la titletrack mi sembra piuttosto esplicita e significativa al riguardo.

Dopo l’uscita del disco ci sarà un tour in giro per gli Stati Uniti e l’Europa. Avete anche in previsione qualche data qui in Italia?

“Sì, tra qualche giorno suoneremo al South By Southwest e poi da lì partiremo in tour per l’America. In estate gireremo per alcuni festival, passando per l’Australia e ovviamente anche in Europa. Per adesso non ci sono date previste in Italia, ma saremo in giro fino all’autunno di quest’anno, quindi c’è una buona probabilità che riusciremo a suonare anche da voi in Italia”.

Specialmente per quanto riguarderanno le date negli Stati Uniti, avrete sicuramente occasione di tastare con mano l’atmosfera e l’aria che si respira lì da voi dopo l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. Qui dall’esterno sembra quasi un incubo ad occhi aperti. Che aria si respira in questo periodo dalle vostre parti? Spesso mi domando come sia stata possibile questa scelta folle da parte del popolo americano. Personalmente sono ancora incredulo di fronte a questa situazione.

“L’atmosfera è piuttosto scura qui. Non ci sono speranze o pensieri incoraggianti sul futuro degli Stati Uniti. Stiamo vivendo una sorta di timore silenzioso di fronte a alle prese di posizione e alle decisioni di quest’uomo folle. Viviamo con la speranza costante che non riesca a fare di peggio, ma sono solo speranze, perché la realtà è ben diversa e peggiore di ogni previsione. Viviamo tempi difficili. I diritti per l’uguaglianza e il rispetto dell’ambiente sono valori che abbiamo sempre tenuto a cuore. Parlo di me e di tutti gli Spoon come cittadini degli Stati Uniti. Tutto quello che sta accadendo con Trump è totalmente folle. Certo, l’elezione di Trump non arriva dal nulla. La sua campagna, il suo insediamento, i suoi primi provvedimenti sono sintomatici di un malessere comune a cui, credo, la maggior parte degli americani ha cercato di reagire seguendo la sua linea duramente conservatrice e nazionalista. Probabilmente molti hanno sottovalutato la pericolosità di un personaggio come Donald Trump. La sua tattica è stata quella di alimentare il caos e le controversie in un America già abbastanza provata”.

“Ormai è inutile soffermarsi sui perché della sua elezione. Altrimenti ci sentiremmo tutti depressi e inermi di fronte a quello che sta accadendo e che accadrà in futuro. Quello che bisogna fare è reagire per far sì che la sua presidenza duri il meno possibile. In qualsiasi maniera. Sensibilizzando il popolo americano. Educandolo. Dalla nostra, come musicisti, fare dischi e suonare in giro il più possibile ci rende molto fortunati. Ci troviamo in una posizione privilegiata in cui ogni parola viene presa con una certa importanza e un grande valore. Cercheremo di sensibilizzare tutti attraverso la nostra idea di libertà e uguaglianza che si riflette in ogni singola nota che suoniamo. Personalmente cercherò di educare le persone, per convincerle che esiste una maniera migliore per risolvere le problematiche degli Stati Uniti, così come del resto del mondo. C’è una direzione migliore in cui andare, e come musicisti cercheremo di sfruttare la nostra posizione per raggiungere e infondere questi ideali a più persone possibili”.

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