Editoriale 302: Tornare indietro di 200 anni in 48 ore

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(via: Seicorde)

di Rossano Lo Mele


La macchina del tempo dell’ENEL e della TIM. Ho pensato molto in questi giorni. Perché ho avuto un sacco di tempo per pensare. Ho fatto un viaggio indietro nel tempo. Prima lentamente, poi sempre più velocemente, fino a spegnersi di colpo con un Click. Sono passato da una società iper-tecnologica a una situazione di un inverno rurale contadino dell’inizio ‘800. Tutto in meno di 24 ore.

Abito da qualche anno in Abruzzo. Una vecchia casa, sulla cima di una collina. La strada provinciale passa a 300 metri di distanza, e la mia strada continua in discesa, attraverso boschi e altri piccoli insediamenti urbani. Il paese più vicino è Cellino Attanasio, circa tre chilometri. Una piacevole passeggiata di un’ora, tra andare e tornare.

Il meteo prevede neve. È normale, in inverno, e in Abruzzo è ancora più normale. Non c’è stato anno che io ricordi da quando sono qui, che l’aria fredda dei Balcani, sorvolando l’Adriatico, non si carichi di umidità e ricopra il centro Italia di neve. Ripeto: è normale!

Inizia la prima nevicata, abbondante ma soffice, portata da un vento teso, e subito si fa buio. Mi affaccio alla finestra e vedo tutta la valle scura senza illuminazione. Sono le sei di pomeriggio di un gennaio alle nostre latitudini. Cerco una candela nel cassetto delle emergenze. Ne è rimasta qualcuna da Natale. Quelle che metti a tavola per dare l’idea della festa. Più lumini che candele, ma va bene lo stesso, un po’ di luce la fanno.

Aspetto. Di solito, durante un temporale a volte fa così. Va e viene, ma poi si stabilizza. Guardo un po’ preoccupato la carica del cellulare. L’ho caricato stanotte e ora sta al 60%.

Ok ce la posso fare, e poi ho la linea fissa per eventuali emergenze. Prendo carta e penna e mi trascrivo qualche numero importante dal cellulare. Parenti, amici… E chi si ricorda più un numero a memoria? Poi mi accorgo di un altro problema. Il telefono fisso è un cordless e funziona pure lui con la corrente elettrica. In cantina, con una candelina in mano, ritrovo il buon vecchio Sip con la rotella. Ok. questo funziona.

Sono le otto e mezza di sera. Ho la stufa a legna, ma forse è meglio che faccio un po’ di scorta dalla legnaia. Non ho voglia adesso, lo farò domani mattina. Tanto è di fronte a casa, dieci metri. Che ci vorrà mai? Fa un po’ freddo. il riscaldamento non funziona. In teoria va a metano, ma il bruciatore senza corrente non si accende. Aggiungo un altro piumino nel letto e vado a dormire. Sono le nove di sera. Mi giro e rigiro nel letto. Poi mi alzo. Non sono abituato ad andare a letto con le galline. Ma che posso fare? Fuori nevica a vento e non si vede nessuna luce.

Prendo in mano il vecchio telefono fisso, alzo la cornetta e sento silenzio. È caduta anche la linea telefonica fissa. Riaccendo il cellulare, 50% di carica, chiamo il 187. Una vocina allegra femminile registrata mi dice che ci sono problemi sulla linea, e di collegarmi al loro sito per sapere l’avanzamento dei lavori. Con cosa mi collego? Non con il cellulare, vorrei risparmiare la carica, e poi sicuramente vorranno codice fiscale, password e login, iscriviti, accetti i cookie? Vedi le nostre offerte etc. Ci vorrà un’ora per avere una qualche risposta. Spengo e torno a dormire. Fa sempre più freddo.

Alle sei sono sveglio. Ovvio. Non dormo mai più di otto ore. È buio e fuori nevica ancora, o almeno credo, perché le finestre sono tutte coperte di bianco e non si vede nulla alla luce della candela. Mi vesto bene, con due maglioni e preparo il caffè. L’alba dovrebbe essere verso le sette e qualcosa. Appena fa luce, prendo la cesta e mi avvio alla legnaia. La porta di casa non si apre. Il vento ha accumulato un metro di neve sul portoncino. Spingo con tutte le forze e riesco ad aprire un varco di 30 centimetri. Ne cade in casa mezzo metro cubo, accidenti! Ma esco, e mi trovo davanti un paesaggio incredibile. La neve si è accumulata in dune altissime, portate dal vento. Arrivare fino alla legnaia significa sprofondare fino al petto nel manto nevoso. Mi viene in mente il film Revenant, il redivivo; solo che lui aveva le racchette da neve, io ho solo degli scarponcini invernali che si bagnano subito.

Ci metto mezz’ora a farmi strada. Riesco ad aprire la porta della legnaia, e scopro che il vento è riuscito ad accumulare attraverso le fessure 20 centimetri di neve anche lì. Con il cuore in gola per lo sforzo carico la cesta e rientro a casa. Ma non basta. Faccio cinque o sei viaggi, e accumulo legna vicino alla stufa. È bagnata, ma riuscirò ad accenderla con quella secca che già avevo. Telefono? Muto. Corrente elettrica? Nemmeno l’ombra. Strano. Sono le due cose primarie in ogni emergenza, la comunicazione e l’energia. Invece sono le due scomparse per prime.

Mi piacerebbe avere qualche notizia, ma senza corrente non funziona nulla. Accendo il telefonino e mi arriva qualche messaggio su whatsapp. Tutto bene, poca carica al telefono, niente internet né corrente. Tranquilli, ho la stufa e da mangiare. Da mangiare pasta e riso. Però ho anche fagioli secchi e qualche chilo di farina. I miei nonni dicevano che se hai la farina, puoi sopravvivere alla guerra, e perciò io ne ho sempre un po’ di scorta.

Sulla strada la neve si è accumulata e non è passato nessun mezzo comunale. Di solito, gli altri anni, un trattore con la pala passava una volta al giorno, per evitare gli accumuli, ma da ieri non si è visto nessuno e il livello sta diventando preoccupante. Chiamo un mio amico in paese, che mi comunica una notizia sconcertante. Il nuovo sindaco ha dichiarato che lo spazzaneve è guasto! Wow! Penso, questa si che è una notizia. Normalmente in questi casi un amministratore ne affitta tre, o ne precetta 20, ma il problema lo risolve, mentre qualche meccanico aggiusta il mezzo del comune. Continua a nevicare e non si distinguono più i bordi della strada. Il telefonino è quasi senza carica. Sono passate solo 24 ore dall’inizio della nevicata, e sono già isolato e al buio. Penso a quei poveracci in paese che non hanno una canna fumaria e una stufa a legna. Io almeno sto al caldo. Una stanza sola, al buio di nuovo, ma al caldo.

È già passata una giornata e non so cosa fare. Ho cercato di spalare per fare un sentierino verso la legnaia, ma la neve lo ricopre ogni tre ore. Smetto. Spalare neve e uccidere mosche è un mestiere talmente infinito da risultare inutile. Alle otto di sera sono di nuovo a letto. Sono stanco e stavolta mi addormento subito. Ovviamente mi sveglio alle cinque. Nella stufa ancora braci. Aggiungo legna, e faccio il caffè. Arrivare alla provinciale nemmeno parlarne.

Alla luce del fuoco impasto un po’ di farina e preparo il pane arabo. Alle sette quando il cielo schiarisce, faccio una bella colazione con pane, burro e marmellata, ed esco armato di pala. Mi è venuta un’idea stanotte. Se riesco a entrare in macchina, e se riesco ad accenderla, potrò ricaricare il cellulare, avere notizie e darne. La situazione qui è di completo isolamento, e siamo a 400 metri sopra il livello del mare, figurarsi quelli in montagna. Infatti, dopo aver scavato per ore, arrivo alla portiera della mia vecchia Volvo 740. Libero il tubo di scappamento (non mi voglio suicidare) e il radiatore dalla neve. Si accende quasi subito. Accendo la radio e attacco il cavetto di ricarica nell’accendisigari. A fatica sento Radio Uno.

C’è una radio privata che trasmette musica da discoteca che si sovrappone spesso alle frequenze. Eccola la tragedia: La valanga sull’albergo! Sento continuamente la frase “lotta contro il tempo”. Dicono che si potevano salvare se lo spazzaneve che avevano richiesto il giorno prima fosse arrivato. Ma aveva finito il gasolio. Forse era parente del nostro spazzaneve guasto. Rientro a casa tristemente. Il cellulare ha una carica misera del 15%. Riesco a mandare qualche messaggio di rassicurazione ai miei amici. Che si ostinano a mandare video stupidi e gif animate, mentre la carica si consuma a vista d’occhio, quando mi arriva una chiamata con un numero sconosciuto. Chissà perché penso sia qualcuno della protezione civile, dell’esercito, della finanza, chissà. Rispondo con l’ultimo gemito della batteria e una voce femminile con accento rumeno, mi propone un abbonamento a Tim Vision. Click! E con questo finita la civiltà…

In realtà la mia civiltà finisce con un “Vaffanculooo” urlato, ma non è elegante dirlo. Si sono accumulati sei giorni senza corrente elettrica e senza linea telefonica. Sei giorni nella neve, con una stufa a legna, e lampada fatta con olio di oliva e stoppino di cotone. Nessun mezzo antineve sulla strada, nessuna voce, nessun rumore. Sei giorni lavandosi con l’acqua calda del pentolone sulla stufa, e mangiando quello che si stava scongelando in freezer. Che poi è poca roba nonostante tutto. E sapete una cosa? Non ho parlato del terremoto. Tre orribili scosse che ti fanno balzare il cuore in gola e ti uccidono la speranza. Tre orribili scosse che ti fanno gridare: “E adesso basta!”

E perché parlarne? Scappare? E dove? in mezzo a due metri di neve durante una tormenta? Ti raggomitoli come un topo e speri di farcela. Non ce’ altra possibilità. Sì certo, ce la faremo ancora un’altra volta. E quelli che non ce la faranno, avranno la consolazione morale delle parole dei politici Italiani: Stiamo lottando contro il tempo. È una situazione imprevista. Non è il momento di polemiche. Dobbiamo restare uniti. Stiamo facendo il possibile. L’importante è rimanere un paese unito. E forse la più toccante e sentita, pronunciata dal nostro presidente della regione, D’Alfonso: “L’Abruzzo non è abituato alla nevosità”.

Se non sapete esattamente dove si trova questa regione Italiana, andate su Google-Maps (se avete la corrente, e la linea telefonica). E scoprirete che questa ridente regione si trova alla latitudine dei Caraibi.

Mentre andiamo in stampa infinite nuove scosse di terremoto graffiano l’Abruzzo. Interi paesi si svuotano e si spostano sul litorale Adriatico. Cambiano le vita, i costumi e i cosiddetti consumi. Una lunga serata in Abruzzo, chiacchierando col “nostro” Manuel Graziani, è venuto fuori per caso questo intervento riportato qui sopra. L’ha scritto sul suo blog Goran Kuzminac – musicista italiano di origine serba, residente in Abruzzo – all’indomani della vicenda Rigopiano. Kuzminac: 40 anni di carriera solista e non sulle spalle, forse qualcuno lo ricorderà al lavoro con Lucio Dalla e Ivan Graziani. Semplicemente la voce fuori dal coro di un musicista. Un grido unplugged.

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