Anteprima/Intervista: The Pop Group e l’ascolto di Zipperface (Hanz ‘Reducer Dub’ Remix)

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(Foto: Chiara Meattelli & Dominic Lee)

Di Luca Minutolo

Prendendo in esame la band di Bristol, si tende sempre a collocarla nel calderone del post punk. A buona ragione, come non manca Simon Reynolds nella certosina Bibbia di genere chiamata Rip It up and Start Again. In italiano condensata, per l’appunto, in Post-punk. Eppure il Pop Group è stato un mostro indomabile. Un golem, come lo stesso Mark Stewart ammetterà nell’intervista che trovate qui sotto. Una scheggia impazzita. Uncontrollable Urge, per dirla con le parole dei Devo. “La genialità del Pop Group risiede nel modo in cui si lasciarono trascinare in ogni direzione dalla loro passione per la musica nera. Non bastavano, da soli, il reggae, il funk o il jazz: eccoli dunque a cimentarsi in tutti e tre i generi contemporaneamente. Questa crisi d’identità avrebbe provocato la loro fine, ma ciò non toglie che i caotici concerti e gli imperfetti ma affascinanti dischi del Pop Group costituirono un modello ispiratore per innumerevoli altre band in cerca della loro strada”. Sono proprio le parole di Reynolds a raccogliere in poche battute l’essenza stessa del Pop Group. Una banda di scalmanati innamorati della musica black e delle chitarre taglienti. Dub elettrico su cui si stagliano le psicotiche e sarcastiche declamazioni di Mark Stewart. Zeitgeist che farà proseliti negli anni a venire, guidato da quello sguardo obliquo che il Nostro possiede ancora oggi. Breve storia condensata in due dischi seminali a cavallo tra i ‘70 e gli ‘80 (Y e For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder?), poi inevitabilmente risucchiati dal caos da loro stesso generato. Battiti primordiali che tornano sulle scene lo scorso anno con Citizen Zombie, primo disco della nuova era del Pop Group. Oggi il nuovo capitolo Honeymoon on Mars sancisce una seconda giovinezza. Concept che ruota attorno l’alienazione, vista come unica via per la riflessione critica nei confronti di un pianeta in rovina irreversibile. Abbiamo colto l’occasione per fare una lunga chiacchierata proprio con Mark Stewart. Il risultato è questa bizzarra ed esilarante seduta dal terapista.

Brandon Juhans, in arte Hanz, della Tri Angle Records ha realizzato un remix dub di Zipperface, singolo di Honeymoon on Mars. Potete ascoltarlo in anteprima qui sotto:

Dopo la pubblicazione di Citizen Zombie avete cominciato a lavorare di nuovo come band. Avete pubblicato alcune ristampe e raccolte di b-sides, mentre oggi arriva questo secondo disco della vostra nuova era. Da dove scaturisce la necessità di questo ritorno?

Diciamo che si tratta di una serie di strane coincidenze. Qualche anno fa Matt Groening (a cui non servono particolari presentazioni, ma si tratta del creatore dei Simpson, di Futurama e chi più ne ha più ne metta, nda) stava curando la rassegna All Tomorrow’s Parties. Quando si organizzava quel tipo di festival, l’addetto alla scelta artistica compilava una lista con nomi di band contemporanee, ma anche appartenenti al passato che non erano più in attività. Venne fuori che i suoi sogni erano due. Voleva rivedere di nuovo gli Stooges con Iggy Pop. E, guarda un po’, la sua seconda scelta eravamo proprio noi. Iggy rimise in piedi gli Stooges con il mio amico Mike Watt al basso. Io invece non riuscii a rimettere in piedi i Pop Group per quell’anno. Però si è trattata di una strana coincidenza. A quei tempi vivevo a Berlino. Ero in contatto con Gareth (Sager, nda) perché avevamo in mente di pubblicare alcune ristampe, spinti dai continui rimandi di tutte le band che ci menzionavano in qualsiasi intervista. Da quel momento abbiamo pensato “perché non proviamo magari a scrivere qualche pezzo nuovo? Vediamo cosa succede”. Ho cercato di prendere la faccenda nel modo più distaccato possibile. Come se si trattasse di una delle tante collaborazioni che ho avuto in questi anni. Invece quando ci siamo ritrovati in studio è stato incredibile. Un vulcano in piena eruzione. In un paio di settimane sono usciti fuori tantissimi pezzi nuovi. Quindi non si è trattata di una vera e propria necessità. Ognuno stava procedendo per la sua strada personale. È stato il caso che ci ha fatti tornare assieme. Qualcosa di davvero inaspettato. Nel medioevo c’era questa creatura mitologica creata da un alchimista, il golem. Ecco, il ritorno del Pop Group è accaduto per caso e in maniera incontrollabile, proprio come un golem. Quando la band si sciolse cominciai immediatamente a lavorare da solo. Credevo di avere il totale controllo della mia vita e della mia attività artistica. Ai tempi dello scioglimento soffrivamo divergenze caratteriali. Ogni membro della band non andava più d’accordo con l’altro. Quello che è accaduto qualche anno fa è davvero incredibile e folle.

Insomma, possiamo dire che l’alchimista dietro questa rinascita sia proprio Matt Groening. Questa reunion è colpa sua?

Oh certo, è colpa di Matt Groening se assomiglio ad un personaggio dei Simpsons (ride, nda). Quando vedo sui giornali la mia foto da giovane affiancata a quella di oggi mi viene da pensare “chi cazzo è questo vecchio?”. Però dai, credo che Jello Biafra stia messo peggio. Oppure hai visto Mick Jones? Dai! In Inghilterra li chiamiamo OAP, Old Age Pensioner. Qui invece siamo tutti Old Age Punks!

Cosa pensi invece del lavoro di Matt Groening?

Tutto ciò che Matt Groening ha realizzato è sempre stato molto influente. Fa parte dei media e tutto il suo lavoro finisce poi nelle nostre vite. Durante un’intervista su Rolling Stone America un nostro caro amico mi disse che, durante la chiacchierata, arrivarono a parlare di quanto i Pop Group, i Televsion oppure i Suicide e così via segnarono le vite di entrambi. Così come lui influenza quelle di tantissime altre persone. Sono lusingato di aver segnato la vita di chi oggi fa lo stesso con milioni di bambini. Ai miei tempi in tv c’era The Magic Roundabout, un programma francese doppiato in un inglese pessimo. Tutti quelli che guardavano quella trasmissione oggi sono hippie o imprenditori sul lastrico. Direi proprio delle cattive influenze (ride, nda).

Hai sempre avuto un punto di vista ironicamente lucido rispetto al mondo in cui viviamo. Anche per Honeymoon on Mars c’è un forte messaggio sarcastico che vuoi lanciare, giusto?

L’idea di una “luna di miele su Marte” è una figura retorica. Indica la realtà straniante che stiamo vivendo. Oggi più di ieri. Alcuni giorni ci sentiamo come se fossimo catapultati su un altro pianeta. Se un giorno questo accadesse davvero, probabilmente potremmo cominciare a guardare la Terra sotto un altro punto di vista. Inizieremmo a domandarci “perché le persone si fanno questo?”. Vivere una sorta di alienazione per guardare il mondo con altri occhi. Oddio, sembra un misto tra sci-fi e una seduta dal terapista. Vuoi un taccuino? (ride, nda).

Assodato che quel punto di vista obliquo è rimasto intatto, adesso bisogna capire se dal punto di vista del metodo è cambiato qualcosa rispetto al passato. Indubbiamente oggi siete tutti adulti che lavorano in maniera più consapevole rispetto al passato.

Assolutamente sì. Abbiamo sempre mescolato le carte in tavola ad ogni disco. Oggi, più di ieri, abbiamo una consapevolezza nei nostri mezzi e delle nostre capacità che prima non avevamo. Questo è un disco molto mentale. Va preso come un blocco unico di quaranta minuti in cui immergersi completamente. Questo disco per me è come stare seduti da soli in un cinema. Non ascolterete mai un disco dei Pop Group che sia simile al precedente. Questo perché esploriamo costantemente nuove sonorità. Sperimentiamo continuamente. Per Honeymoon on Mars mi sono fatto prendere da tutta quella musica dance che arriva da Chicago. Dal footwork, per intenderci. La cosa che mi ha rapito di più di questo genere sono quei bassi così profondi. Il raggae o la musica footwork si basa su melodie costruite sui bassi. Sono ossessionato dalla dub. Specialmente Honeymoon on Mars si basa sulle tonalità basse e una tridimensionalità sonora come mai prima. Mi piacerebbe suonarlo in qualche festival dance, perché indubbiamente hanno le possibilità tecniche adatte a far suonare i brani così come li abbiamo concepiti. Mi lascio influenzare da qualsiasi cosa ascolto per strada. L’idea è stata di buttare dentro tutto quello che ho captato in questi anni. Dalla dance turca ascoltata per strada, il crunk, la trap, il footwork. Qualsiasi sonorità uscisse fuori dalle strade di Londra. Lo stesso che accadde nel 1978 con il funk, la dub e il reggae. Ci alimentiamo costantemente con ciò che ci circonda. In queste ultime settimane siamo entrati in contatto con alcuni producer per dei remix. Lì fuori è pieno di talenti per la musica dance. Impazzisco quando entro in contatto con molti artisti che apprezzo via Twitter e loro non fanno altro che dirmi “Mark, i Pop Gorup mi hanno aperto la mente. Amiamo la vostra musica da sempre”. È un moto circolare d’influenze che alimenta la nostra musica.

Si tratta quindi di un meccanismo che alimenta la vostra voglia di suonare e andare avanti. Non è così?

Quando amici come Nick Cave, oppure i Massive Attack, ti menzionano tra le proprie ispirazioni è incredibile. Li vedi in tv che dicono “i Pop Group sono stati una grande ispirazione. Ci hanno aiutati a capire la nostra strada”. Non so, è strano sentirsi come un mentore per qualcuno. È una sensazione stupenda, ma al tempo stesso a volte mi spaventa. È uno strano gioco. Lo definirei un Game of Thrones (ride, nda). Rivoglio indietro il mio trono! Nick Cave ci è stato seduto per troppo tempo!.

Per questa reunion avete anche intrapreso l’avventura di un etichetta tutta vostra. Come vi sentite adesso che avete la possibilità di gestire tutto da soli?

La verità è che siamo sempre stati una band indipendente. Y uscì per la Radar Records che era un’etichetta semi-indipendente. Abbiamo sempre avuto il totale controllo sulla nostra musica. Anche con Rough Trade avevamo tutto sotto controllo. La differenza oggi sta nel metodo. I nostri dischi, così come la maggior parte di quelli sul mercato, viaggiano sui pre-ordini. Gli ascoltatori possono darti fiducia ancor prima di possedere il disco fisico e di ascoltarlo. Il problema con le etichette tradizionali sta nel processo di vendita. Possono darti bei soldi, fornirti i mezzi e i produttori migliori. Ma si prendono l’80% del tuo profitto senza farti capire davvero cosa accade non appena il disco viene pubblicato. Così invece siamo collegati meglio alle persone che ci seguono. Ai professionisti con cui lavoriamo. Ai concerti e ai festival in cui suoniamo. E di conseguenza abbiamo un rapporto diretto anche con il nostro pubblico. Ricordo quando abitavo in casa con Geoff Travis e la Rough Trade era ancora un piccolo negozio di dischi. Siamo riusciti a suonare in Francia, in Italia e negli Stati Uniti proprio grazie a questa rete di collaborazioni partita dal basso. Così come accade con internet oggi. Però oggi utilizziamo la nostra solo per i Pop Group. Collaboro con molti altri artisti, da Tricky ad alcuni progetti paralleli ai Massive Attack, ma preferisco rimanere sempre nell’ombra per non mettere in secondo piano i diretti interessati. Mi piace lavorare così, aiutando gli altri per poi instradarli a fare tutto da sé.

Ci sono alcune band che sentite affini per attitudine al giorno d’oggi? Grazie anche all’etichetta e alla rete di amicizie che avete consolidato negli anni.

Adoro The Bug e le sperimentazioni estreme di Aphex Twin. C’è Powell che sta per uscire con un disco clamoroso. Oppure i Factory Floor. Sono felicissimo di aver lavorato con Hank Shocklee della Bomb Squad per questo nostro ultimo disco. Vado sempre alla ricerca del ritmo. Sono un malato dei beat, delle bassline. Stiamo vivendo un momento fantastico in cui c’è davvero di tutto da ascoltare.

Nel 1979 Y è stato sicuramente un disco scioccante. Ti sei mai fermato un momento per pensare a quale risonanza abbia avuto negli anni quel disco?

No. Fermarsi significa anche crogiolarsi. Pensare a quanto sia figo il mio vestito o la musica che faccio. Ciò mi manterrebbe irrimediabilmente fermo. Per me questo non è punk, ma semplicemente “wank” (ovvero farsi una sega, nda). Lo vedo come un eccesso di vanità. Non sono una “Empty Star”, come spesso dice il mio amico 3D dei Massive Attack. L’assunto fondamentale del punk è che le persone tra il pubblico sono importanti tanto quanto quelle sul palco. Sono stato anch’io influenzato da altri, ad esempio dai Throbbing Gristle. Altri sono stati influenzati da me. C’è uno scambio continuo a cui non mi sono mai sottratto. Anzi, questo è proprio il meccanismo che fa andare avanti dopo tutto questo tempo. Se ti fermi a pensare “ah però, ho fatto questo, ho fatto quello…” beh non hai capito come funziona la faccenda. A quei tempi vidi semplicemente i Damned ad un festival e mi sembrarono quattro scimmie che correvano da tutte le parti facendo un casino immane. Allora pensai “beh, posso farlo anch’io”. Oddio, in fin dei conti sarebbe stato meglio se avessi lavorato in un supermercato. Dai su, ci avete scoperti. Davvero non abbiamo la minima idea di cosa facciamo (ride, nda).

Quindi si tratta di uno scherzo?

No, un momento. Torniamo seri. Il post-punk non era uno scherzo. Il post punk è stato un affare molto serio. Se osservi le foto dei Joy Division, dei Gang Of Four e di qualsiasi altra band del periodo noterai una cosa: nessuno sorrideva. Nemmeno un sorriso. Nel 1979 il mondo era in bianco e nero.

Al contrario oggi siete tutte persone adulte. Nel vostro caso, sembra che non abbiate perso nulla della vostra energia primordiale. Da dove arriva ancora tutta questa forza?

Non so davvero da dove arrivi. Probabilmente dalle persone che ci sono accanto. Da chi segue la nostra musica. Da chi alimenta la nostra curiosità musicale. Dovresti domandarlo al mio psicoterapeuta. Adesso mi sveglio al mattino e salto da una parte all’altra di casa come un pazzo. Spesso mi capita di addormentarmi nella stanza dei miei figli. La verità è che non si dovrebbe crescere mai. Diventare adulti è una trappola. Hai mai visto il film Some Kind of Monster dei Metallica? Quando sono sul punto di sciogliersi e interviene uno psicoterapeuta per aiutarli? È così buffo. Diciamo che siamo a quei livelli. Poi vabbè, c’è il documentario sugli Anvil che adoro. Ecco, i Pop Group sono gli Anvil del post punk. Gli Anvil sono la vera mitologia del rock n’ roll (ride di gusto, nda).

Redazione Rumore
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