Intervista: AlunaGeorge

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Di Tommaso Tecchi

Avete presente White Noise dei Disclosure? Molti di voi sapranno che il merito di aver realizzato uno dei singoli più memorabili del 2013 non è stato solamente dei giovani fratelli Lawrence, ma anche di un altro duo inglese: gli AlunaGeorge. Composto dalla cantante Aluna Francis e dal producer e polistrumentista George Reid, il gruppo negli ultimi quattro anni si è fatto strada nel panorama mainstream a suon di hit e collaborazioni di spessore. Per citarne un paio, il singolo You Know You Like It, estratto dal loro disco del 2013 Body Music, e To Ü, probabilmente il miglior brano presente sull’album dei Jack Ü. Oltre la patina della musica da classifica c’è però molto di più, e prima di ogni drop ruffiano gli AlunaGeorge sono due artisti perfettamente coscienti di come si realizzi del pop di qualità.

Il 16 settembre i londinesi sono tornati con I Remember, seguito di Body Music e loro sophomore album, come dicono negli Stati Uniti. Il disco è stato uno dei più anticipati di quest’anno e tra la pubblicazione dei primi singoli e quella dell’LP sono trascorsi diversi mesi, durante i quali la data di uscita è rimasta avvolta nel mistero. Non esiste che il disco si chiuda prima che Aluna e George abbiano limato anche l’ultimo piccolo dettaglio rimasto: è questo il messaggio che passava quando i due rispondevano a chi impaziente gli chiedeva quanto ancora ci sarebbe stato da aspettare. Questo perfezionismo non gli ha comunque impedito di svelare parecchi singoli durante l’anno, come Supernatural, I’m in Control (con il cantante giamaicano Popcaan), I RememberMy Blood (con il producer americano-cinese Zhu) e Mean What I Mean (con le rapper statunitensi Leikeli47 e Dreezy).

Tra i due componenti il volto del gruppo è sicuramente la Francis, un po’ per il suo carisma e un po’ per la sua innegabile prestanza fisica. Così, durante il periodo di ultimazione dell’album e mentre Reid stava probabilmente perfezionando gli ultimi beat, ho avuto modo di scambiare qualche battuta con la cantante: avvolta nel suo lungo cappotto argentato mi ha raccontato davanti ad una tazza di tè chi sono gli AlunaGeorge, del loro approccio professionale alla musica e di quanto sia difficile far convivere pop e tematiche più serie rispetto agli standard canonici del genere.

Quando gli AlunaGeorge si trovano in studio l’obiettivo è sempre mantenere un equilibrio; ricercando un suono innovativo, ma senza l’ossessione di dover stare a tutti i costi alla larga dai parametri classici: “L’originalità pura non è necessariamente ciò che la gente apprezza, non vogliamo essere come Philip Glass o qualcosa del genere”, spiega la Francis, “è un processo di storytelling, è qualcosa che deve unire le persone, in cui la gente si può riconoscere. Quindi non ci preoccupiamo di essere originali; iniziamo con qualche piccola cosa che non si era mai sentita, ma poi la mischiamo sempre con una struttura più tradizionale. Se usiamo dei beat hip hop magari li mandiamo fuori tempo, ma non così tanto da non rendere più il brano ballabile”. L’esperienza dei due artisti è maturata anche attraverso i loro progetti passati: Reid era il chitarrista di una band indie rock chiamata Colour, mentre la cantante era nel duo My Toys Like Me. Parlando del suo vecchio gruppo Aluna racconta quanto sia stato decisivo per la sua carriera conoscere il suo attuale collega: “nei My Toys Like Me non c’era nessuna preparazione tradizionale per la musica, si basava tutto sui synth e sull’improvvisazione e solo dopo si andava a sviluppare il songwriting. Questo approccio rendeva difficile scrivere una canzone pop, perché per farlo bisogna essere onesti, chiari, è necessario raccontare una storia che non sia né banale né smielata; tutto questo va fatto contemporaneamente e non è così facile. Con George invece sono in grado di comunicare su un altro livello e quando ci siamo conosciuti abbiamo iniziato subito a scrivere: You Know You Like It e Body Music sono tra le prime tre canzoni che abbiamo composto insieme, ma nonostante abbiamo lavorato così rapidamente ci sono comunque voluti due anni per pubblicare il nostro primo album”. L’alchimia che c’è tra i due artisti li ha inoltre resi così sicuri dei propri mezzi da potersi permettere di relegare un collaboratore d’eccezione come John Hill (già produttore e autore per M.I.A., Santigold, Florence + the Machine e Rihanna) ad un ruolo di semplice supervisione, mentre li aiutava a scrivere uno dei brani di I Remember: “quello che Hill e tutti gli altri produttori devono fare è cambiare approccio in base a chi entra nel loro studio. Tutte le volte che io e George siamo arrivati John faceva un passo indietro e si limitava ad incoraggiarci”.

Inizialmente anche To Ü avrebbe dovuto far parte di I Remember, ma il temporeggiare degli AlunaGeorge ha fatto sì che la canzone finisse sul disco di Diplo e Skrillex. “I Jack Ü non erano ancora pronti con il loro album, mentre noi lo eravamo”, spiega, “poi abbiamo deciso di prendere tempo e nel frattempo loro hanno finito: così abbiamo dovuto prendere una decisione. È stato come quando devi scegliere con quale dei tuoi genitori vivere, e sembrava che il brano ci stesse dicendo ‘voglio andare con Jack Ü!’. Alla fine abbiamo firmato per l’Interscope e abbiamo deciso di scrivere del nuovo materiale, dopo questa iniezione di nuove energie e opportunità”. Questa continua rielaborazione ha toccato anche I’m in Control, quello che senza dubbio è il singolo di punta dell’LP. La hit dancehall à la Major Lazer, con tanto di video girato nella Repubblica Dominicana, era in realtà nata come una semplice canzone dance, senza tentativi di sperimentalismi tropicali: “non aveva lo stesso ritornello, io ho riscritto il testo e George aveva questo riff, ma quello che abbiamo fatto è stato semplicemente rallentarlo di 10 bpm ed è così che è diventato un pezzo dancehall. È stata una sorpresa anche per noi”.

Ascoltando bene I Remember e leggendo i suoi testi è abbastanza facile notare che dietro i ritornelli catchy sono celati dei messaggi ben più seri, che vanno dal femminismo alla politica. Riuscire ad inserire delle tematiche simili in brani che possano passare in radio o essere suonati ad una festa è però molto rischioso, come spiega la Fracis: “ho sempre avuto paura di mettere troppa enfasi politica nelle mie canzoni. Non è la piattaforma corretta al momento, perché nessun artista si sente abbastanza al sicuro per dire coma la pensa politicamente. Con un brano come My Blood puntavo più che altro ad un dibattito filosofico, a chiedermi ancora una volta chi sia il mostro in queste guerre che combattiamo e chi invece ne stia beneficiando. Se tu fossi al fronte e ti fermassi a chiedere alla persona che ha iniziato la battaglia se verrebbe con te a combattere, cosa pensi che ti risponderebbe? Ci battiamo tutto il tempo nelle nostre comunità, a Londra abbiamo avuto le rivolte e nessuno è riuscito veramente a capire quale fosse il loro scopo. È un sintomo del fatto che abbiamo affrontato delle guerre che non siamo stati noi a vincere; qualcun altro lo ha fatto e ci ha guadagnato, e ora è come se la gente volesse smettere di lottare per qualcuno e si volesse limitare a lottare e basta”.

Per quanto riguarda invece il tipo di mercato in cui I Remember è andato ad inserirsi, la Francis ha una visione decisamente disincantata – e anche un po’ drammatica, a dire il vero – dell’industria discografica odierna, nonostante il suo album sia uscito per una major: “credo che siamo in un periodo di transizione. Una volta giravano troppi soldi, ma molti venivano investiti per sviluppare abilità e buone idee; in quel periodo sono usciti molti album bellissimi. Ora, non sono dispiaciuta che la gente possa ascoltare dei dischi gratuitamente; ma credo che dovremmo tutti ricordarci che non possiamo vivere in una cultura in cui solo le persone benestanti riescono a fare musica, perché loro sono le uniche che possono sopravvivere ad una realtà in cui si passano dieci anni a scrivere canzoni e realizzare album senza essere mai pagati. D’altra parte non vogliamo neanche abbassare gli standard discografici, quindi dovrebbe esserci una continua discussione riguardo agli incassi e a chi li utilizza. Dobbiamo essere molto cauti, perché la musica deve restare creativa non deve essere influenzata da motivazioni aziendali”.

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