Intervista: Baio

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di Tommaso Tecchi / foto di Starfooker

The Names è un romanzo del 1982 dello scrittore italo-americano Don DeLillo, che tratta della vita di un cittadino statunitense in Grecia. The Names è anche il titolo del disco d’esordio come solista di Baio, all’anagrafe Chris Baio, noto ai più per essere il bassista dei Vampire Weekend. Come il protagonista del romanzo, anche Chris è uno statunitense fuori sede: si è infatti recentemente trasferito da New York a Londra, ed è stato proprio questo cambiamento a permettere la realizzazione dell’album. I precedenti di quest’ultimo sono due EP: Sunburn, pubblicato nel 2012, e Mira, del 2013. Vanno poi aggiunti i tre dischi dei Vampire Weekend, band che negli ultimi mesi ha dovuto affrontare la partenza di uno dei suoi membri fondatori, il tastierista e chitarrista Rostam Batmanglij. In questo momento però non si tratta dell’indie rock dei Vampire Weekend, né del futuro di Rostam come artista solista, ma di Baio: un producer che riesce ad essere convincente indipendentemente dagli altri suoi progetti. I brani di The Names, uscito il 18 settembre via Glassnote, sono infatti una bellissima combo di techno da club e cantautorato pop. Ci ha messo del tempo, Baio, per raggiungere la confidenza necessaria come produttore e soprattutto come cantante in grado di reggere un palcoscenico da solo; a giudicare dai risultati ottenuti finora pare però che la determinazione dell’artista lo porterà lontano.

Mercoledì sera si è esibito all’Arci Biko di Milano, in occasione della rassegna Prima a cui ha partecipato anche la cantante Sara Loreni, e prima del concerto ho avuto modo di fargli qualche domanda. Durante la conversazione sono emersi parecchi argomenti, dalla musica che ha ispirato The Names al futuro dei Vampire Weekend, passando per la passione di Baio per la corsa ed il suo trasferimento in Europa.

Qui trovate inoltre tutte le foto dell’evento, realizzate da Starfooker.

Questa è la seconda volta che suoni qui in Italia da solo, ed è passato molto tempo dall’ultima volta che i Vampire Weekend si sono esibiti nel nostro paese. Hai paura che nel pubblico ci saranno persone che sono qui principalmente per vedere finalmente un membro dei Vampire Weekend suonare dal vivo, piuttosto che per il tuo progetto solista?

Sai cosa? Per me è ok. Sono in tour da un mese – il tour è iniziato a San Francisco – e ci sono molti posti in cui ho suonato dove effettivamente sono venuti molti ragazzini che amano i Vampire Weekend. La musica che faccio,  alcune canzoni sono molto pop e orecchiabili, ma altre sono sperimentali e techno, un suono molto diverso da quello dei Vampire Weekend. Basandomi su quello che ho visto sembrava che si stessero divertendo anche loro; non mi è mai capitato che qualcuno dopo un concerto mi venisse a dire “perché non hai suonato nessuna canzone dei Vampire Weekend?”. Ieri sera ho suonato a Zurigo e mi pare che l’ultima volta che siamo stati là con i Vampire Weekend fosse sette anni e mezzo fa. Non c’era un pubblico molto numeroso, saranno state sessanta persone, ma dalla seconda canzone in poi hanno ballato tutti fino alla fine, ed era come un piccolo dance party di martedì sera a Zurigo. Il tecnico del suono del locale mi ha confessato che è una cosa che non succede mai, e un ragazzo mi ha detto che era stato anche all’ultimo concerto dei Vampire Weekend a Zurigo e che ha molto apprezzato il mio show da solista. Non vuoi mai che la gente se ne vada infelice dal tuo spettacolo.

Una delle cose che ho più apprezzato di The Names è che, sì, si avverte un’influenza degli anni ’80 e del synth pop, ma tutto è riportato comunque in chiave moderna e originale. Sembra come una via di mezzo fra i New Order e SBTRKT. Quando hai realizzato il disco, e quando produci musica elettronica in generale, quali sono gli artisti a cui fai riferimento?

Apprezzo molto quello che hai detto perché voglio che i miei dischi abbiano un suono attuale, volevo che si sentisse che The Names è un album del 2015, perché ci sono già qualcosa come dieci album dei New Order. Ho davvero bisogno di fare una versione peggiore di un album dei New Order? No, non è questo lo scopo, non è quello per cui mi sono messo al lavoro; anche se mi piacciono i New Order e sono sicuramente un’influenza, così come i Depeche Mode. Seguo molto la Kompakt Records; c’è Kölsch, un producer danese che fa queste grandiosi canzoni techno da cui ho tratto ispirazione. Ascolto molto anche i Moderat, nel secondo disco c’è un brano techno di dieci minuti, Milk, che amo molto. Ovviamente ascolto Four Tet e Caribou, che hanno molta influenza sulla mia produzione. Seguo anche la Running Back Records, mi piace molto Ragysh, l’EP di Todd Terje dove c’è Snooze 4 Love. L’idea, per il mio disco, era che fosse moderno e influenzato da produttori attuali, ma con canzoni che forse ricordano i Depeche Mode di Violator, i Roxy Music e David Bowie; questa combinazione era il mio obiettivo mentre realizzavo il disco.

Il tuo trasferimento a Londra è stato fondamentale per la tua carriera e per The Names in particolare. Quali sono le più grandi differenze tra il vivere a New York e a Londra?

Ci sono tante piccole cose. Passare da New York a Londra non è così estremo: sono entrambe città con otto milioni di abitanti, dove ci sono eventi tutte le sere, musica incredibile e molte cose da fare. Sarebbe stato molto più estremo trasferirsi ad Upstate New York e vivere nella foresta. Trovo che una grande differenza sia che a Londra la gente parla dei viaggi, ci si sente molto più vicini al mondo, è una realtà più globale e senti molti accenti diversi. La maggior parte della gente in America tende a restare in America, e questa è una cosa un po’ opprimente; a Londra invece le persone parlano sempre di dove andranno o di dove sono state. Inoltre direi che vivendo a Londra, rispetto a New York, riesco a percepire molto di più il cielo, anche se molti si aspetterebbero il contrario. Per via dei numerosi grattacieli c’è meno cielo quando sei per strada a New York, Londra invece è più piatta e questo ha i suoi pro e contro: quando c’è un tempo di merda è tutto scuro e negativo, mentre quando è bello c’è il sole fino alle undici di sera ed è una cosa incredibile. Non credo che avrei realizzato questo disco se non mi fossi trasferito, quando sono arrivato a Londra mi sono sentito molto ispirato. Ho vissuto tutta la vita a New York e anche se ho viaggiato molto non sono mai stato via per un periodo così lungo, questo mi ha dato molto su cui riflettere per l’album.

Tempo fa ho letto un’intervista a Kevin Parker dei Tame Impala in cui descriveva la sua routine durante la realizzazione di Currents, ed era abbastanza strana: è rimasto isolato dal mondo per molto tempo e, a parte fare musica, tutto il resto consisteva più o meno nell’andare a nuotare e fumare erba. Dato che anche tu hai composto e prodotto The Names da solo, vorrei sapere come fosse la tua routine.

Direi che la mia routine era molto meno isolata, stavo a casa nel mio studio a lavorare alla mia musica. Mi svegliavo la mattina, bevevo due tazze di caffè, guardavo il notiziario e poi cominciavo a fare musica; facevo una pausa per andare a correre – mi piace molto correre, vado a correre al parco – poi tornavo a casa e riprendevo a fare musica finché mia moglie non rientrava. Ho scoperto che cucinare è una grande cosa da fare dopo aver lavorato al disco, perché quando suoni tutto il giorno non hai voglia di ascoltare musica anche alla sera, ma vuoi qualcosa che ti occupi la mente e ti faccia smettere di pensare al suono a cui stai lavorando; così scendevo di sotto e iniziavo a preparare la cena per mia moglie, mentre guardavo la TV. Questa era più o meno la routine quando ho lavorato da solo; poi ho avuto delle sessioni con un tecnico per registrare le parti vocali, e andavo a West London di prima mattina e lavoravo con lui per dieci ore circa. Infine c’è stato il mixaggio, che è stato fantastico: abbiamo mixato da questo ragazzo che ha una casa pazzesca a Malibu con uno studio privato, e abbiamo affittato un appartamento a Venice. Così mi svegliavo al mattino, prendevo il caffè, andavo a correre anche solo per otto minuti, mangiavo cibo messicano e poi guidavo fino a Malibu per riprendere a lavorare. Ho pensato molto a The Names come ad un disco in corsa, con una pulsazione costante, volevo che il disco avesse un battito continuo per tutta la sua durata.

È da questo che viene il titolo del brano I Was Born in a Marathon?

No, quello è perché quando mia madre era incinta di me è entrata in travaglio il giorno della Maratona di New York. I miei genitori hanno dovuto affrontare questo viaggio difficile in mezzo al traffico per arrivare dal West Side di Manhattan all’East Side, passando in mezzo alla maratona, ed erano molto stressati dal fatto che sarei potuto nascere in un taxi; ma sono riusciti ad arrivare in ospedale, ed è questa la ragione del titolo.

Hai detto che l’idea di The Names era nella tua testa già da molto tempo prima della realizzazione del disco. Quell’idea era già lì quando hai pubblicato i tuoi primi due EP, tra il 2012 e il 2013?

Sì, assolutamente, e non avrei potuto scrivere le melodie di The Names prima di quegli EP. Avevo idee per le canzoni, ma non sapevo proprio come concretizzarle: non sapevo niente di produzione mentre stavo scrivendo le melodie. Così sapevo che se avessi voluto far uscire fuori queste melodie, avrei dovuto farlo con le mie mani, partendo dal diventare un produttore decente. Ci sono voluti tre anni per essere in grado di pubblicare il mio primo EP Sunburn, il passo successivo era che volevo la mia voce su un disco, ma non ero a mio agio con il mio cantato e con la produzione vocale e ci sono voluti altri tre anni. Per un brano come The Names, ho avuto l’idea nel 2009 e non sono riuscito a finirla fino al 2014: mi ci sono voluti cinque anni per completare quel puzzle. Alcune canzoni invece sono state più facili, Sister of Pearl, per esempio, l’ho realizzata in un giorno.

Parliamo un po’ dei Vampire Weekend, la notizia più recente è ovviamente l’addio di Rostam Batmanglij. Puoi raccontarci come sono andate le cose? Come vi ha comunicato la sua decisione e quali sono state le reazioni?

È stata una specie di conversazione, una decisione presa in comune accordo un po’ di tempo fa in realtà. Rostam non vuole avere il peso del tour e ha bisogno di più tempo per produrre e scrivere nuova musica. A pensarci bene, anche nei nostri primi anni lui non voleva fare tour. Sono un suo grande fan e sono contento perché avrà modo di fare più dischi, ha già pubblicato qualche brano incredibile e ci sono due sue collaborazioni nel nuovo album di Santigold. Lo stavo ascoltando ieri a Zurigo e ce n’è una – credo la terz’ultima o la penultima (Outside the War o Run the Races, nda) – e ho pensato “cazzo questa è davvero una bella canzone”, così ho controllato e ho visto che Rostam è uno dei co-autori di quel brano. Avrà molte più opportunità del genere adesso. In realtà non sapevo che avrebbe annunciato il suo addio quel giorno; ha inviato un SMS al mio telefono americano il giorno prima, ma visto che mi trovavo a Londra non era acceso. Stavo provando con George (il chitarrista live di Baio, nda) per questo tour, e quando ho riacceso il telefono c’erano tutte queste persone tristi e io non avevo idea di cosa fosse successo. Ho parlato con lui poco tempo dopo e sembra felice, questa è la cosa più importante.

Pensi che portando avanti il tuo progetto solista potresti arrivare anche tu un giorno a prendere una decisione simile a quella di Rostam?

Onestamente non credo, ho scoperto che amo lavorare con la musica in modi differenti. Ho realizzato due colonne sonore e in quel processo sei al 100% al servizio della visione di qualcun altro, fai tutto quello che dice il regista e non riguarda quello che vuoi fare tu. Suonare nei Vampire Weekend è cercare la miglior linea di basso o il miglior groove per una canzone, ed è una cosa che amo; non sono un autore in quel progetto, ma mi piace servire le canzoni, servire le visioni di altre persone. Ora con questo progetto riesco a creare questo intero mondo e a fare tutto da solo. Non so, la vita è lunga e c’è tempo a sufficienza per fare tutte queste cose, più o meno ogni due anni passo da un progetto all’altro. Ora sto vivendo uno dei periodi più belli della mia vita, suonando le canzoni di questo disco e stando in tour per portarle alle persone.

Ezra Koenig ha detto che arriverà presto della nuova musica dei Vampire Weekend, puoi dirci di più sul nuovo album?

Beh, in realtà non so quanto presto. Potrebbe non arrivare così presto. Succederà con il tempo necessario. Credo che ciò che volesse dire è che inizierà a lavorarci, ma ci vorrà un po’.

E lo lascerai davvero chiamare il disco Mitsubishi Macchiato, come ha detto?

Certo (ride, nda)! Non credo che alla fine si chiamerà così, ma se è quello che vuole, sicuramente.

L’ultima domanda è sul futuro di Baio come artista solista. Hai già qualcosa in mente per il tuo prossimo album?

Sì, decisamente. Mi sono ritrovato spesso a pensare a cosa voglio fare con il mio prossimo disco, che suono voglio cercare, come voglio che sia e che immaginario voglio che abbia. Quando vado a correre è quello a cui pensa la mia mente: sono andato a fare una corsa a Zurigo ieri e mi sono venute in mente un paio di idee. È interessante, avrò l’opportunità di pubblicare un altro album probabilmente fra tre anni, ma non vedo davvero l’ora di iniziare a lavorarci e di farlo uscire.

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