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Intervista: Violent Femmes

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violent femmes

di Luca Minutolo

Ora, io non sono il solito ragazzino so-tutto-io-sul-punk. Dopo quindici mesi in una buona stazione radio – KAOS-Fm di Olympia, Washington – a mettere su grande musica da teenager, sapevo di conoscere il rock n’ roll. Voglio dire, conoscerlo. E so qual è il segreto: il rock n’ roll è uno sport adolescenziale, che deve essere praticato dai teenager di tutte le età; possono avere 15, 25 o 35 anni. Quello che conta è che abbiano l’amore nel cuore, quel meraviglioso spirito da adolescenti…

Potrebbero essere le parole dei protagonisti di questa intervista. Invece si tratta di Calvin Johnson, leader dei Beat Happening. Immortalato nella Bibbia indie che risponde al nome di Our Band Could Be Your Life di Micheal Azerrad. In Italia, American Indie – Dieci anni di rock underground. Ecco, probabilmente di tutte le meravigliose storie ripercorse in quel libro, i veri grandi esclusi sono stati proprio i Violent Femmes. Eppure, rileggendo la sentita citazione di cui sopra, nessuno meglio della band di Milwaukee ha saputo incarnare quello spirito rock n’ roll primordiale. Asciugato. Ridotto all’osso. Talmente basilare da aver bandito quasi del tutto la componente elettrica. Tre buskers sgangherati intenti a suonare punk con strumenti acustici. Roba da scapestrati fuori dal mondo. Miscela irripetibile che nessun altro ha saputo esprimere meglio di loro.

Brian Ritchie, Gordon Gano e Victor DeLorenzo. Basso acustico, chitarra acustica (spesso elettrificata) e rullante violentato dalle spazzole. Il resto è una storia magnifica scivolata negli anni tra turbolenze interne e dischi seminali. Dal fulminante esordio omonimo targato 1983, passo obbligato per chiunque voglia avvicinarsi agli albori del rock undeground di stampo americano. Passando per le sponde elettrificate di The Blind Leading The Naked e il ritorno alle origini di Why Do Birds Sing?. Tra continui tira e molla, la band si trascina fino al 2000 con Freak Magnet. Poi arriva lo stop definitivo. Le incomprensioni in casa Violent Femmes pesano sempre di più, e la macchina folk punk viene parcheggiata nel garage da dove era partita a tempo indeterminato.

Questo fino allo scorso anno, quando l’EP Happy New Year sancisce un ritorno sulle scene in forma smagliante. Victor DeLorenzo decide di tirarsi fuori dalla faccenda. Brian e Gordon arruolano Brian Viglione dei Dresden Dolls. Dopo alcune date, la coppia decide di mettere mano ad un vero e proprio disco dopo più dieci anni di stop. We Can Do Anything è tutto ciò che ci si possa aspettare dai Violent Femmes. Alcuni dei brani brani contenuti nel disco risalgono infatti a molti anni fa, come ci ha raccontato direttamente Gordon Gano. Tra rock n’ roll, voglia di suonare e l’eterna adolescenza che racchiude in sé il senso primordiale di un attitudine immarcescibile.

Siete rimasti lontani dalle scene come Violent Femmes per più di dieci anni. Cosa è successo in tutto questo tempo?

Ho vissuto principalmente a New York, in questi ultimi anni. Ho sempre continuato a suonare le più disparate tipologie musicali con altrettante persone differenti. Siamo stati sempre tutti attivi in questi anni, tralasciando la band. Adesso siamo tornati. È ora di riportare in vita i Violent Femmes. Questo è il motivo per cui stiamo chiacchierando adesso (ride, ndr).

Da dove nasce, appunto, la necessità di riportare in vita il gruppo?

Non c’è stata una vera e propria necessità. Abbiamo deciso di ricominciare con i Violent Femmes perché nel gruppo c’era molta creatività. A differenza degli anni passati, in cui non riuscivamo a metterci d’accordo su cosa fare tutti assieme. Eravamo tutti presi maggiormente dai nostri progetti paralleli. Non avevamo la giusta carica e attenzione sui Violent Femmes fino allo scorso anno, in cui ci siamo chiusi in studio e abbiamo tirato fuori l’EP Happy New Year. Adesso abbiamo trovato la strada giusta per fare tutto di nuovo come i vecchi tempi. Per noi è davvero difficile stare senza far nulla. Non ce la facciamo proprio a rimanere fermi. Io e Brian Ritchie abbiamo idee differenti e crediamo in cose diverse. Ultimamente era diventato davvero difficile andare d’accordo e registrare un disco, ma adesso abbiamo ritrovato la maniera per farlo. Di nuovo.

Happy New Year è stata una dichiarazione d’intenti molto chiara e precisa. Si è avvertito un affiatamento e una voglia di suonare assieme che probabilmente mancava ai Violent Femmes negli anni passati. Come vi hanno traghettato quel pugno di brani fino alla realizzazione di un album a tutti gli effetti?

Certo. Abbiamo scelto come titolo We Can Do Anything appunto perché ci siamo resi conto di avere ancora le capacità e soprattutto la voglia di fare musica come un tempo. Scrivere nuove canzoni, registrare nuovo materiale. Tutte cose che ultimamente erano divenute impossibili da realizzare per me e Brian. È divertente, tutto questo. Possiamo fare tutto, veramente. Possiamo scrivere canzoni, pubblicare un disco, suonare di nuovo assieme in giro. È un miracolo. Quindi insomma, l’EP è stato un banco di prova. La testimonianza tangibile del risultato che siamo riusciti ad ottenere tornando a suonare assieme.

Com’è stato lavorare di nuovo a dei brani destinati ai Violent Femmes?

Quando suoniamo assieme, tutto scorre e assume un senso ben preciso. Il rapporto che abbiamo io Brian sfocia in un sound ben definito. È qualcosa che accade solamente tra noi due. Una caratteristica in cui ci riconosciamo entrambi. L’espressione del nostro feeling musicale. Entriamo in contatto attraverso la musica, piuttosto che con le parole. Spesso quando discutiamo tra noi è difficile capirci. Ma tramite la musica tutto fila liscio e funziona alla perfezione tra noi. Basta salire sul palco e siamo entrambi sicuri che andrà benissimo. Siamo contenti di aver realizzato questi nuovi pezzi. Credo si possa ascoltare chiaramente dal disco, ma soprattutto ai nostri show.

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Come hai già detto, in questi anni sei stato sempre coinvolto in altri progetti musicali. In pratica, non hai mai smesso di suonare nonostante la lunga pausa della band. È cambiato qualcosa nel tuo modo di suonare ed approcciarti alla materia musicale in questi anni? Quanto delle esperienze extra Violent Femmes è finito nel disco?

A dir la verità non è cambiato nulla. Siamo una band che registra quasi sempre dal vivo in studio. Facciamo tutto in presa diretta. Crediamo nella miscela live che scaturisce quando suoniamo assieme e in nient’altro. Per esempio in questo disco appartiene maggiormente al metodo e al sound del passato. L’abbiamo registrato dal vivo in studio come facevamo tempo fa. Ci saranno al massimo un paio di brani che abbiamo registrato in più takes separate. Ma in linea di massima abbiamo fatto tutto in presa diretta. Così come accadde per il nostro primo disco. Abbiamo sempre avuto questo approccio con i Violent Femmes ed è rimasto tale. C’è qualcosa di magico che accade nel momento in cui cominciamo a suonare. Quindi vogliamo sempre cercare di immortalare a tutti i costi quel mood anche su disco ogni volta. Per me questo è l’approccio migliore, in qualsiasi caso.

Per quanto riguarda i testi invece? Anche qui è rimasto tutto invariato rispetto al passato?

Dipende dai brani. Ci sono un alcune canzoni su We Can Do Anything che risalgono a 25 anni fa. La maggior parte però sono nate alcuni anni fa. Quelle più recenti sono state scritte assieme ad altre persone che hanno incrociato la mia strada in questi anni. Come Sam Hollander, Dave Katz e Kevin Griffin. Ma non voglio dire in quali canzoni hanno collaborato. Voglio sfidare gli ascoltatori nel tirare ad indovinare (ride, ndr). In queste dunque c’è una struttura nuova nella scrittura. L’approccio rimane però lo stesso di sempre. Spesso scrivo i testi dei brani di pari passo con le parti musicali. Nascono assieme. Non vengono l’una prima e l’altra dopo. Sono entrambe parte dello stesso processo creativo.

Adesso avete un nuovo batterista, Brian Viglione dei Dresden Dolls. Come si è inserito all’interno della band?

È un grande musicista. Lui suona già con i Dresden e segue anche altri progetti. Ha suonato su questo disco, ma non ci seguirà in tour perché ha già molti impegni. Non continuerà ad essere il batterista dei Violent Femmes, nonostante abbia voluto comunque esserci sul disco. Abbiamo cambiato alcuni batteristi in questi anni. Per noi è diventata un abitudine rapportarci sempre con nuovi muscisti. Ma sono davvero soddisfatto del suo apporto al disco. Ha contribuito davvero tanto alla sua realizzazione. Ma non credo che avremo problemi a reclutare un nuovo batterista (ride,ndr).

Ti va invece di raccontarci perché il vostro batterista storico Victor DeLorenzo non ha voluto prendere parte a questa reunion?

Abbiamo suonato con lui per alcune date, ma non siamo riusciti a trovare un punto d’incontro. Nemmeno suonando assieme siamo riusciti a limare i nostri problemi personali e di affari. Certo, Victor è stato con noi per i primi dieci anni di attività dei Violent Femmes. Poi al suo posto arrivò Guy Hoffman, che ci seguì per i successivi dieci anni. Poi Victor è tornato ed ora è andato via di nuovo (ride, ndr). Tutto qui.

A conti fatti, il vostro sound è divenuto ormai un marchio di fabbrica riconoscibile. Ai tempi, come cadde la scelta su una miscela così semplice, ma efficacissima?

È tutta colpa di Brian Ritchie. È stato lui il primo a farsi avanti per far sì che la band suonasse così. Lui ha sempre sognato e creduto nel suonare in maniera acustica. In effetti il suo basso acustico è quello che meglio definisce il nostro sound, senza dubbio. Aveva idee molto forti per le sonorità e l’attitudine dei Violent Femmes. Personalmente, ai tempi avrei preferito avere una line-up classica. Chitarra elettrica e una batteria con tutti i crismi. Il mio animo era ed è tutt’ora più affine all’idea di punk rock band classica. Ma lui ha sempre spinto per suonare punk rock con strumenti acustici, convincendo poi anche me. Direi che ha fatto benissimo. Adoro entrambe le attitudini. Quella elettrica e quella acustica. Con il senno di poi, guardandomi indietro, se abbiamo un sound definito e riconoscibile tra mille, è merito suo e della sua testardaggine. Anche l’approccio di Victor ai tempi è stato fondamentale. La sua batteria scarna suonata con le spazzole è stata fondamentale. Agli inizi dei Violent Femmes ne discutemmo molto, ma fa tutto parte del nostro approccio basilare. Ed è stata la scelta migliore, senza dubbio.

Probabilmente al giorno d’oggi il termine “Indie” viene usato ed abusato fin troppo. Allontanandosi magari da quello che era il suo significato primordiale. Ovvero quello, prima di tutto, di un attitudine che parte dal basso, con pochi mezzi e tanta voglia di suonare. Oggi, alla tua età e con tutta la storia dei Violent Femmes e della tua carriera musicale, quale significato attribuisci alla parola “Indie”?

Mmh. Beh, il vero significato. Mmh (ride, ndr). Non so riuscire a dare una risposta semplice. In realtà sono ben più semplici le sensazioni che questo termine suscita. Esprimerlo a parole, oggi come oggi, non saprei come farlo. Il feeling è molto semplice in verità. È prima di tutto divertimento (ride, ndr). Poi si tratta di un onore e di un privilegio l’aver potuto suonare per il nostro pubblico. Scarno o numeroso che sia. Indie significa condividere una passione con altre persone che amano e apprezzano la musica come noi. Un ottima esperienza per tutti. Per chi suona, per chi ascolta e per chi condivide un attitudine musicale senza fronzoli o pose superflue. Se non ricordo male avevo 17 anni la prima volta che suonammo assieme come band. Sentivo il rock n’ roll come una cosa davvero importante nella mia vita. Sentivo di avere delle cose importanti da dire tramite la musica. Così come lo sento tutt’ora. Oggi l’indie non ha la stessa importanza. Negli anni ha perso la sua urgenza primordiale. Ma si tratta sempre di qualcosa di buono. Buono, ma non importante come prima (ride, ndr). Il rock n’ roll è importante. Il rock n’ roll è divertimento.

Hai sempre trattato tematiche piuttosto giovanili tramite i brani dei Violent Femmes. Anche oggi con We Can Do Anything sembra ci sia una sorta di sogno adolescenziale da mantenere in vita. Probabilmente continuare a suonare vi mantiene in contatto con il vostro lato più giovane, nonostante il passare degli anni.

Secondo me la musica non ha età, appunto perché è sempre giovane, nuova e fresca. Non mi riferisco solamente ai Violent Femmes, ma a qualsiasi genere di musica. Ascolto sempre musica nuova. Provo una costante eccitazione nello scoprire nuove band e nuova musica da farmi sentire sempre giovane e attivo. Ma questo accade proprio perché la musica non ha età. Si rinnova sempre, costantemente.

Probabilmente, il segreto della vostra carriera e del vostro successo, sta proprio nel rimanere sempre giovani e recettivi.

Probabilmente sì. Suoniamo ancora come dieci o venti anni fa. Non è cambiato molto rispetto agli esordi e non vogliamo cambiare nulla. Come musicisti, abbiamo la forza di suonare e andare avanti proprio per questo.

Siete da sempre una band live. Il palco è il luogo in cui la vostra carica esce fuori senza filtri. Prima di pubblicare nuovo materiale avete fatto alcune esibizioni e continuerete anche dopo l’uscita di We Can Do Anything. Come vi siete preparati prima di suonare di nuovo assieme in pubblico?

Il primo live relativo al disco sarà ad Auckland, in Nuova Zelanda. Avremo solamente un giorno per prepararci. Ci sono state altre esibizioni prima, ma erano tutte collegate al nostro vecchio repertorio. Qui invece dobbiamo affinare tutto quello che abbiamo portato in studio. Credo che ognuno farà riscaldamento per conto proprio, perché oggi non viviamo più nello stesso posto. Faremo tutto in fretta e furia. Ma tanto sono sforzi obbligatori, ma inutili. Quando ti trovi davanti al pubblico tutto si rovescia. Si sviluppa una forte intensità, portandoti ad un livello superiore. La preparazione sarà molto personale. Poi ci incontreremo di nuovo solamente per una giornata e lasceremo che le cose vengano da sé quando saremo sul palco. Siamo abituati a questa storia.