Intervista: Buñuel

Date:

bunuel_band

di Luca Minutolo

Tornare alla terra è una necessità. In fondo, l’essere umano è spinto dalla pulsione alla scoperta tanto quanto dal bisogno di trovar pace nel proprio ambiente familiare. Il percorso di Pierpaolo Capovilla, stando al suo ultimo passo discografico in ordine di tempo, si trova evidentemente al punto del ritorno alle origini. A ben sentire, il progetto Buñuel è quanto di più classico e viscerale ci si possa aspettare, accompagnato a casa per mano del suo basso e da una compagnia di tutto rispetto.

Per A Resting Place For Strangers entrano in gioco tutti amici fidati. A partire dalla batteria potente e chirurgica del sodale Franz Valente, efficacissimo nel dettare i tempi mefitici e ossessivi della macchina assemblata per l’occasione. Segue a ruota Xabier Iriondo degli Afterhours, sempre pronto a far la sua parte intessendo dissonanti trame noise e violente scorribande elettriche, con tutto il suo carico di rumorismi ed esperienza avanguardistica che sono ormai un marchio di fabbrica. Completa la formazione un altro amico di vecchia data: Eugene Robinson. Nerboruto leader degli Oxbow, tra i paladini post-core d’oltreoceano. Tramite le sue violente nevrosi, i brani di A Resting Place For Strangers trascinano senza chiedere permesso dentro un velocissimo calderone hardcore.

A suo modo, un supergruppo privo di ambizioni pretestuose. Eppure efficace e dritto al nocciolo della questione: dare un senso alla violenza e alla rabbia che ci circonda ogni sacrosanto giorno. Suonando forti e duri. Abbiamo cercato di capire da dove nasce e qual è il fine ultimo del progetto Buñuel dal suo protagonista, che per l’occasione decide di mettere da parte la propria voce (se non nello psicotico blues Me+I) per tornare, appunto, ad imbracciare quel basso che mancava dalle gesta degli One Dimensional Man. Questo è il risultato della nostra chiacchierata con Pierpaolo Capovilla.

Innanzitutto come nasce il progetto Buñuel? Conosci Eugene Robinson da molto tempo. Come mai hai deciso solo adesso di realizzare un disco con lui?

A volte le cose capitano un po’ per caso. C’è una grande dose di fortuità nella vita di ogni persona, figuriamoci in quella degli artisti. Avevo una grandissima voglia di rimettermi al basso e di fare coppia in sezione ritmica con Franz Valente e non con qualcun altro. La scelta è dettata specialmente dalla voglia di suonare. Da questo sentimento ineludibile. È inevitabile, non si riesce a farne a meno, il rock n’ roll è una malattia. Io e Franz insieme siamo una vera potenza. C’è qualcosa che ci lega. Ci sono delle affinità elettive per quanto riguarda l’ambito musicale e la maniera in cui si suona che non ho mai rintracciato con nessun altro batterista. La stessa cosa mi è successa con Dario Perissutti ai tempi degli One Dimensional Man. Da lì abbiamo cercato un chitarrista che ci desse una mano. La prima idea ricadde su Xabier, che in un primo momento rimase sorpreso, ma accettò subito. Una volta finiti i nostri impegni con le rispettive band principali, in tre giorni e mezzo abbiamo registrato questo repertorio. A quel punto la domanda è stata “Chi canta questa roba?”. Io ho pensato ad Eugene Robinson perché lo conobbi quando suonammo di apertura agli Oxbow con gli One Dimensional Man. Gli eravamo piaciuti moltissimo e da lì ci tenemmo in contatto per poi rivederci al Magnolia di Milano qualche tempo fa. Mesi dopo provai a mandargli una messaggio via mail per proporgli la faccenda, e la sua risposta fu spettacolare. Gli mandai alcuni pezzi e lui mi rispose di sì immediatamente. Il suo entusiasmo fu davvero sorprendente. Abbiamo lavorato a distanza. Lui in pochissimo tempo ci ha mandato le sue parti vocali. Il tempo di assemblare il tutto ed eccoci qua.

Questa urgenza esce fuori molto chiara da A Resting Place For Strangers. Di fatto, si tratta di un disco ben più violento rispetto agli ultimi capitoli de Il Teatro degli Orrori.

Sì, è un disco molto diretto. Direi che si tratta di un disco molto delinquente. Buona la prima e molto ignorante. Inteso come termine non troppo negativo. Ha l’ignoranza dei dischi degli Hammerhead o degli Unsane. Anche dei Jesus Lizard. Quell’approccio molto elettrico allo strumento. Meno compositivo e più semplicemente performativo. Esattamente ciò che amo di più. Il Teatro resta ed è un’esperienza per me cruciale. Buñuel non è che un progetto parallelo che occupa i nostri giorni liberi e ci riempie la vita di belle soddisfazioni. Per me suonare con Eugene è un grande onore, davvero.

Il progetto Buñuel ha un’impronta esterofila molto forte. Avete pensato di esportare il disco fuori dai nostri confini?

È esattamente ciò che vogliamo fare. Quando fai un disco è essenziale portarlo in giro dal vivo. Forse una volta, fino ai primi anni 90, si poteva pensare solamente al disco. Oggi bisogna invece darsi da fare prima di tutto per suonarlo in giro, per poi magari poterlo vendere durante le serate e, nella migliore delle ipotesi, poter vivere e arrivare alla fine del mese con il proprio lavoro. Questa è un’ovvietà che alcuni ancora non capiscono e non comprendo il perché. Comunque il nostro obiettivo è fare dischi perché ci piace salire sul palco e suonarli per spaccare il culo. L’urgenza che c’è nel rock sta tutta in quel momento. Questa prima tournée sarà l’inizio di questa avventura. Non so cosa accadrà in futuro, ma il fine ultimo che ci siamo dati per questo progetto è di ottenere un futuro live in Europa quanto prima. In questo ci aiuterà la Indigena degli Uzeda che ci ha dato subito il supporto. E sono felicissimo di questo, perché amo gli Uzeda. Cominciamo da queste date in Italia e poi sarà bellissimo continuare a suonare insieme se Dio vorrà.

Come hai già detto, l’occasione è stata ghiotta per tornare ad imbracciare il basso. L’unico momento in cui canti nel disco è nel brano Me+I, duettando con una voce femminile devastante. Di chi si tratta?

A dir la verità ci ha pensato Eugene. È sua moglie. Si chiama Kasia Meow. La ragazza sembra Lydia Lunch. C’è un demone che ci spinge tutti nella stessa direzione. Tra l’altro quella canzone è stata scritta proprio da lei. Ci ha mandato i files con le sue voci registrate a Los Angeles mentre noi eravamo in studio a Varese. Montandole ho proposto un duetto, ma non volevo cantarla io. Avrei voluto cantasse Eugene con sua moglie. Invece secondo lui era meglio lasciarla così. Spero che la canti lui dal vivo in questo tour (ride, ndr). Proverò comunque per non arrivare impreparato, ma spero si faccia avanti lui.

Le tue scelte artistiche non sono mai dettate dal caso. Per quanto riguarda il nome della band, com’è ricaduta la scelta sul regista messicano?

Il nome è nato da una conversazione via Skype con Eugene all’inizio del progetto. L’idea iniziale era di chiamarci Los Olvidados. Letteralmente “I dimenticati”. Era anche il titolo di uno dei grandi film realisti di Buñuel. Il regista ha avuto due periodi cruciali nella sua produzione cinematografica. Il primo realista. Il secondo invece surrealista. Nel suo periodo realista realizzò molti film in Messico, tra cui Los Olvidados che in italiano venne tradotto come “I figli della violenza”. Questo film è stato anche incluso tra le grandi memorie dell’umanità dall’UNESCO. Si tratta di un grandissimo film. Parla d’infanzia violata. Una grandissima poesia. Eugene però mi fece osservare che i Los Olvidados sono una band di San Francisco con all’attivo già un paio di dischi. Quindi abbiamo deciso immediatamente di escludere la prima opzione. Abbiamo optato per Buñuel direttamente. E chi s’è visto s’è visto. Il nome è stato scelto da Eugene ed è secondo me geniale. Si tratta di una sola parola che racchiude in sé un determinato riferimento culturale e letterario. Anche filosofico, se vogliamo.

Il disco è mosso da una sorta di umore sinistro, infuso specialmente dal timbro imponente e nevrotico di Eugene e dagli inserti noise di Xabier. Si tratta di un mood molto violento. C’è un’idea di fondo che lega tutti i brani tra loro a livello di contenuti?

I testi ci arrivarono da Eugene ancor prima dei file vocali. Leggendo questi pezzi senza ancora ascoltare le registrazioni delle voci, assumono un significato diverso. È naturale. D’altronde il significante nasconde il proprio significato dietro la sua enunciazione. Se dico “vaffanculo” in maniera gentile, nessuno si offende. Se invece dico “vaffanculo” urlando verrebbe immediatamente da pensare “ma che cazzo c’ha questo?” (ride, ndr). Quando lessi i testi dunque restai a bocca aperta. Pensai subito “ma che diavolo ha dentro questo qui?”. Perché c’è una visione della vita quotidiana a dir poco spaventosa. Sembra una prigione. Un isolamento. Qualcosa di terribile.
Inoltre i testi sono molto corporali. Inevitabilmente si capisce che Eugene considera molto importante la sua organicità e la sua persona al livello fisico. Per citare Deleuze, considera sempre molto la sua “macchina desiderante”. Lui è indubbiamente una macchina desiderante. Non è soltanto un demone del palcoscenico, ma è anche una persona che tiene molto al proprio fisico. Adesso se non sbaglio fa Ju-Jitsu. Ho pensato a quest’uomo che ci racconta che cos’è in realtà l’America. Un posto spaventoso. Vive in un posto spaventoso, nonostante abbia tre figlie, una moglie e una vita normalissima. Leggendo una sua vecchia intervista ho capito molte cose. Spiegò che la sua disperazione è in realtà ottimismo. Cerca la sopravvivenza nell’azione in questa prigione in cui bisogna solamente lavorare. Questo è il punto. Negli Stati Uniti la situazione dei lavoratori è decisamente peggiore della nostra. Anche se noi ormai ci stiamo americanizzando sempre più. Ultimamente ci sta pensando un signore che si chiama Matteo Renzi, ma forse è meglio lasciar perdere la politica per ora. Sento una grande affinità tra i suoi testi e la mia visione del mondo. Penso che il nostro sia veramente un mondo mostruoso. Non per niente la mia band principale si chiama Il Teatro degli Orrori. Non è un caso.

Una visione del mondo assolutamente realistica.

Bisogna essere un po’ allucinati per vedere le cose chiaramente. Bisogna vivere sempre alla ricerca di un riconoscimento vero di ciò che viviamo o non viviamo. Noi non stiamo vivendo. Vivacchiamo. Siamo senza passato, perché ce lo siamo dimenticati. Siamo senza futuro, perché non ce ne frega più un cazzo. Viviamo sempre e soltanto in questo eterno e reiterato presente. Ed ecco la prigione di cui parla Eugene. La prigione è il presente e senza futuro non c’è fuga.

Come dicevi, il punto di vista di Eugene è prettamente legato alla sua nazione, anche se ormai ci siamo “americanizzati” anche noi. Volendo evitare il discorso strettamente politico, secondo te questo eterno presente dove ci sta portando?

Difficile non cadere in politica, perché in realtà tutto è politica. La risposta è comunque lapidaria. Stiamo andando verso la catastrofe. Né più né meno. Ci rubano le speranze ogni giorno. Ci raccontano che il 900 è roba da parrucconi e intellettuali che mettono il bastone fra le ruote dello sviluppo. Il ceto politico e gran parte di quello intellettuale confonde la parola “sviluppo” con la parola “progresso”, che sono due termini distinti. Quante cose inutili dobbiamo ancora comprare per aumentare il PIL? Viviamo di bisogni che sono diventati assolutamente superflui. Siamo schiavi delle stesse merci che ormai non produciamo più nemmeno noi, perché le lasciamo fare altrove. Noi ci occupiamo del loro marketing e comunque sempre schiavi siamo. Queste cose le diceva Karl Marx, quindi si tratta di un argomento antico. Lo sviluppo ha dei limiti e questo mondo collasserà a causa nostra. Siamo in un momento di fine della storia e di catastrofe imminente. Non so se riusciremo a fermare questo processo. Viviamo i nostri tempi in una quotidianità sempre simile a sé stessa. Ma prima o poi tutto questo finirà. Il genere umano così com’è arrivato può anche sparire. Nei tempi geologici del pianeta terra, noi non siamo altro che una breve parentesi.

Il tour della band partirà giovedì 28 gennaio dal Bloom di Mezzago, per proseguire serrato nelle date che trovate di seguito:
28 Gennaio 2016 – Mezzago (MB) // Bloom
29 Gennaio 2016 – Pordenone // Il Deposito
30 Gennaio 2016 – Prato // Capanno Black Out
31 Gennaio 2016 – Parma // Arci_APP_colombofili
01 Febbraio 2016 – Bologna // Freakout Club
02 Febbraio 2016 – Torino // sPAZIO211
03 Febbraio 2016 – Roma // MONK CLUB
04 Febbraio 2016 – Napoli // Sound Music Club
05 Febbraio 2016 – Marina di Ravenna (RA) // Bronson
06 Febbraio 2016 – Padova // Mame club
08 Febbraio 2016 – Trieste // Tetris

PIÙ LETTI

More like this
Related

Il bianco e il nero di James Jonathan Clancy nel video Black & White, in anteprima

Black & White è il nuovo video di James Jonathan Clancy estratto dal suo primo disco solista, Sprecato

Fontaines D.C.: i dettagli del nuovo album Romance e il video di Starburster

Starbuster è il primo singolo e video estratto da Romance, il quarto album dei Fontaines D.C. di cui hanno rivelato i dettagli

Ascolta in anteprima il nuovo album di Paolo Spaccamonti, Nel Torbido

Il nuovo album del chitarrista Paolo Spaccamonti si intitola Nel Torbido e lo ascoltiamo in anteprima

I Fontaines D.C. pubblicano un breve estratto dal nuovo album Romance citando Kubrick

La band irlandese Fontaines D.C. sta tornando con un nuovo disco ed ecco un primo teaser dal titolo Romance, che sarà il nuovo album