Intervista: Laibach

Date:

Laibach_DPRK_Jørund_F_Pedersen

di Stefano Morelli

Negli anni Ottanta i Laibach incarnarono lo sviluppo più radicale e visionario della cosiddetta corrente industriale, in loro l’elemento elettronico e rumorista rintracciò difatti nuove sintesi con l’impeto romantico della tradizione sinfonica europea, e in particolare quella wagneriana. Nati nell’alveo del collettivo d’avanguardia NSK, la proposta degli sloveni si distinse immediatamente per la poderosa e monumentale natura marziale, codice in grado di traslare con fare provocatorio e iconoclasta i simboli dell’oppressione totalitaria novecentesca usandone argutamente i medesimi codici estetici con l’intento di dissacrarli e al contempo condurli a una più feroce coscienza globale. A ben vedere un’esegesi della dinamica sociale del controllo approntata poi anche a ridosso del meccanismo mediatico e consumistico occidentale – il Kapital, sorta di altra faccia dell’Akropola – tramite la decontestualizzazione della popular music & culture (in seno a Queen, Opus, Europe, DAF, Beatles, Rolling Stones, il musical Jesus Christ Superstar o agli inni nazionali della fase Volk). Nel pianificare tale rivolta i Laibach non hanno mai smarrito il senso del codice disvelante tipico delle avanguardie del secolo scorso dove suprematismo (come dimenticare l’artwork del primo album, dove a ridosso della Croce di Malevič compare dilaniato e impotente l’Uomo-Cristo) costruttivismo, dadaismo e futurismo, permangono imperituri in un codice fattosi oggi più esplicito ma non per questo meno affascinante, disturbante e perché no, ironico (pensiamo alla parodia nazi ufologica per la colonna sonora di Iron Sky, di cui è prossima la definizione del secondo capitolo).

L’eclettismo sintetico futurista colto in Spectre ci ha ammaliato giusto due anni fa ma il colpaccio più recente e inatteso di Novak, Fras e soci, resta quello dell’estate scorsa: il concerto a Pyongyang nella Corea del Nord con a braccetto il tema cinematografico di Robert Wise. Dal “cari amici soldati i tempi della pace sono passati” al “tutti insieme appassionatamente” il gioco situazionista permane decisamente efficace e visto che tra un paio di giorni saranno al Magnolia di Milano per l’unica data italiana del Sound of Music tour abbiamo pensato bene di raggiungerli.

Il nome dei Laibach pare essere diventato, a un livello strettamente popolare, più rilevante dopo la vostra esibizione nella Corea del Nord lo scorso agosto. Quali differenze avete riscontrato rispetto al vostro messaggio musicale e sociale e a che punto siete col documentario previsto per la primavera prossima?

“Il documentario girato nella Corea del Nord non è ancora ultimato, aggiungeremo ancora dei filmati ma indicativamente sarà pronto verso la seconda parte dell’anno. La Corea del Nord è un mondo completamente diverso da tutto ciò che potete immaginare secondo una prospettiva europea e suonarci è stata un’esperienza decisamente surreale. Le persone con cui siamo entrati in contatto, decisamente affettuose e gentili, ci hanno dimostrato anzitutto un approccio più concreto alla realtà rispetto agli europei o ai nord americani. Sebbene il paese sia povero e isolato, sottoposto a un sistema politico molto oppressivo, le persone sono fantastiche e rivelano una saggezza preziosa difficilmente rintracciabile nel resto del mondo. Non abbiamo colto alcun cinismo, sarcasmo, ironia, volgarità o altre ‘caratteristiche occidentali’ a Pyongyang, ma solo una sincera modestia e gentilezza unita a orgoglio e rispetto. Lo troverete strano ma sono anche molto divertenti, si vestono con eleganza e accuratezza e studiano le lingue straniere… i bambini, per dire, iniziano a studiare l’Inglese già all’età di sette anni”.

Sin dai tempi di Baptism, Laibach e Nova Akropola, la forza teatrale e architettonica delle performance live ha avuto sempre un ruolo centrale nella vostra poetica, a questo riguardo che tipo di scenografie adotterete per The Sound of Music? State pensando di contestualizzarle rispetto ai tour di Spectre e Liberation Day?

“Ci siamo da sempre posti l’obiettivo di fare qualcosa con The Sound of Music di Wise, amiamo quel film (dalle nostre Tutti Insieme Appassionatamente, nda) e non appena ci è stata confermata l’esibizione in Corea del Nord l’idea di programmare qualcosa in tal senso è sorta spontaneamente. I nord coreani conosco questa pellicola molto bene perché è uno dei film americani verso cui è permesso un accesso e infatti lo usano per imparare la lingua inglese, addirittura esiste una versione coreana della colonna sonora con brani scelti appositamente dal regime. La storia del film si adatta con la situazione della Corea del Nord e può essere intesa in modo costruttivo o sovversivo, dipende ovviamente dal punto di vista con cui la si guarda. Attualmente The Sound of Music, col suo subliminale tocco freudiano, si associa perfettamente anche con la realtà politica dell’Europa, non a caso tratta della vita dei rifugiati. La scenografia resterà fedele allo stile europeo ma con un tocco di Nord Corea, specie nei luoghi dove suoneremo questi brani per la prima volta”.

Quindi c’è un nesso con l’idea di riproporre alcuni brani da WAT… rimane da chiedersi se chi gestisce le redini comprenderà davvero che ora Siamo Noi il Tempo, giusto?

“Come disse Albert Einstein ‘il tempo è sostanzialmente un’illusione’ ma tutti noi viviamo questa illusione come la nostra realtà. Ergo, abbiamo la possibilità di cambiarla altrimenti sarà lei a cambiare noi. Quindi sì, siamo noi ad essere definitivamente il tempo. La scelta di riproporre brani come The Great Divide e Now You Will Pay non è casuale, la prima tocca il tema dello sradicamento dei profughi e dei rifugiati mentre la seconda ha un testo che ben si associa alle attuali problematiche legate al Medio Oriente. Sono episodi che trattano la perdita di responsabilità e coscienza presente nel contemporaneo piano geopolitico-sociale”.

Che sia la coscienza del principio il punto nevralgico? Pensate che i movimenti antagonisti odierni sapranno trovare il principio comune, quell’unità naturale che possa generare una reale trasformazione politica-economica?

“La situazione interazionale è oggi estremamente tesa ad ogni livello ma ci sono stati momenti anche peggiori nel nostro passato e non dobbiamo smarrire la speranza di poter mutare in meglio la situazione. L’Europa e il mondo intero hanno bisogno anzitutto di una vera rivoluzione culturale, economica e politica, la vera utopia è raggiungere quell’unico obiettivo definito da giustizia sociale, stabilità finanziaria e sviluppo sostenibile, che può essere regolato anche attraverso i parametri del ‘principio comune’ espresso dal sistema capitalistico globale. Un sano equilibrio tra le istanze politiche di destra e sinistra dovrebbe essere necessario per la stabilità. La storia politica italiana ad esempio ha dimostrato che una coalizione simile può sussistere (ci riferiamo alla collaborazione tra cristiani democratici, comunisti e socialisti, durante e dopo il secondo conflitto mondiale). Sfortunatamente il più grande problema odierno è che le opinioni politiche della cosiddetta sinistra sono più disorganizzate e disorientate di quelle destrorse, ecco perché ultimamente l’intero spettro politico si sta spostando pesantemente e pericolosamente a destra. Questa non è certo una circostanza positiva”.

Non c’è il rischio che possa generarsi un nuovo ‘grande altro’ artificiale preposto a imporsi sulle persone? Quella dinamica che Albert Camus definì come ‘tradimento della rivolta’?

“Dopo tutto, le vere cause della povertà e delle tensioni politiche e culturali non sono semplicemente date dalla corruzione di poche centinaia di politici, dal fallimento di poche migliaia di banche o da un manipolo di fanatici religiosi che stanno combattendo la loro guerra santa, ma principalmente dalle dinamiche strutturali che abilitano e premiano tali comportamenti. La crisi odierna non può essere risolta attraverso regolamenti o chirurgie plastiche come le guerre dirette nei ‘territori in difficoltà’, serve una completa trasformazione in un diverso sistema e ci auguriamo che questa possa verificarsi il prima possibile. Dobbiamo trovare una nuova identità che generi significato e senso di eccitamento verso il futuro. Questa rivoluzione dev’essere spirituale e prendere il via necessariamente dalle strade di Parigi, Berlino, Atene, Amburgo, Istanbul, Barcellona, Lubiana, Madrid o Milano. L’avanguardia di questa rivoluzione saranno i giovani e chiunque abbia davvero a cuore il futuro. Oggi più che mai la risposta alla crisi dell’umanità deve essere internazionalista e universalista, rispetto alla visione universale del capitale globale, e permeare tutti gli aspetti della società”.

Quindi condividete il principio di Žižek secondo cui le rivoluzioni odierne devono porsi il principale obiettivo di riparare gli errori commessi dalle rivoluzioni precedenti?

“Sì, come suggeriscono Eat Liver! o Americana siamo convinti che l’unica via per mantenere la stabilità sociale e politica nel mondo sia praticare l’eterna rivoluzione, che poi è ciò che la natura e l’universo attuano da sempre. L’unica variante però sta nel farlo ‘con un sentimento’, allora sarà possibile uscire dal caos attuale”.

Nell’ambito dell’azione simbolica, a più livelli, avete portato nuovamente alla luce l’intima connessione tra espressione umana, arte e politica. Come mai nell’ultimo Spectre avete sentito l’esigenza di riproporre un manifesto d’azione? L’approccio ci ha ricordato da vicino i tempi di Nato…

“Come Thomas Mann ebbe modo di ripetere più volte, e dopo di lui anche il vostro Pasolini, ‘la politica è ovunque e ogni azione pubblica o artistica è anch’essa atto politico’. Siamo coscienti del potere della politica sin dalle nostre origini, dunque analizziamo il linguaggio della politica in relazione con la cultura. L’arte può agire, dovrebbe agire, in questa direzione meglio di qualsiasi altro sistema di codificazione. Certo è necessario che sappia sfidare, che sia coraggiosa e, se necessario, che miri a proiettarsi ad-absurdum come negli insegnamenti dei dadaisti e dei futuristi. Spectre musicalmente procede sulla linea tracciata da Kapital, Nato e Wat, ma allo stesso tempo incarna concettualmente una sintesi di questi – per esempio in merito alla guerra, al collasso socio-politico ed economico in occidente, alla liquefazione dei rapporti interpersonali (l’impossibilità di amare nella distopia odierna colta in We Are Millions and Millions Are One) – e simultaneamente postula il generarsi di una nuova percezione della realtà, l’esigenza di cambiamento di cui parlavamo prima. Per queste ragioni abbiamo dato vita a un nuovo ‘Party’ politico internazionale dei Laibach”.

Sotto alcuni aspetti l’ultimo lavoro, nel suo linguaggio industrial pop marchiato di attitudine punk autorale, sembra ricondursi con forme differenti all’impeto delle origini…

“Immaginiamo ci sia in questo la tentazione di associarci per analogia ai territori di KMFDM o Atari Teenage Riot. No, non abbiamo concepito l’album secondo queste direttive però si tratta di un’osservazione interessante e per niente irrilevante. Grazie”.

Se in Eurovision sottolineate la condizione caduca dell’odierna Europa con No History ipotizzate una risposta citando la ‘saggezza degli antichi come via per trarne nuovi eroi’. Considerando che nell’attuale dimensione comune e globale i problemi non sono più particolari e nazionali, a quale tipo di saggezza bisogna attingere per i giusti eroi visto che le ultime dighe spirituali sono franate?

“La saggezza degli antichi è la base, il fondamento archetipico della saggezza umana che alberga in ognuno di noi quando ci ascoltiamo, se sappiamo come arrivarci. Una volta che troviamo quella strada possiamo chiamare gli eroi che dimorano nel nostro profondo. Comprendiamo l’interrogativo guénoniano ma nessun falso idolo può avviare o inficiare quel processo al nostro interno, dipende unicamente da ognuno di noi”.

Ci è giunta voce che elaborerete anche la colonna sonora di The Coming Race, il secondo atto di Iron Sky…

“Confermiamo e ne siamo entusiasti! Lavorare alle colonne sonore per noi è motivo di sfida oltre che di vanto e piacere. Abbiamo conosciuto Timo Vuorensola circa due anni fa durante un tour nei paesi scandinavi quando Iron Sky non era ancora in lavorazione. Fu lui a chiederci di concepire la colonna sonora, è da sempre un fan dei Laibach e senz’altro la nostra visione ha dato un forte contributo all’assetto operistico del film”.

Chiudiamo ponendo il ‘dubbio’ lanciato da Baudrillard anni addietro, ossia che ormai sia tardi per l’arte… a ben pensarci fa molto “Europe is falling apart” non trovate?

“Vero, in molti casi l’arte è senza significato e priva di utilità. Ogni forma artistica è soggetta alla manipolazione politica (e non serve a nulla in questo caso, eccetto che alle logiche dell’establishment), tranne quella di coloro che usano il linguaggio della manipolazione stessa. I Laibach ad esempio si muovono da sempre in questa direzione. Non ci siamo mai considerati degli artisti, piuttosto potete definirci come ‘ingegneri delle anime umane’”.

PIÙ LETTI

More like this
Related

Fra i riverberi gelidi del nuovo video Grandine dei Neraneve, in anteprima

Il nuovo video estratto dall'EP dei Neraneve è Grandine, e lo potete guardare in anteprima su Rumore

Nick Cave & The Bad Seeds: la data italiana e il tour europeo

In occasione dell'uscita di Wild God, il nuovo album di Nick Cave & The Bad Seeds arriva anche il tour autunnale

Il tour estivo dei CCCP in Italia

Ora ci sono le date ufficiali del tour italiano dei CCCP

Good Track è il nuovo video di Charlie Risso, in anteprima

Il nuovo singolo della cantautrice Charlie risso si intitola Good Track e ci guardiamo il video in anteprima