Intervista: Mellow Mood

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di Davide Agazzi

“La verità è che siamo semplicemente un gruppo di amici che amano il reggae.” È così che i Mellow Mood, reggae band di Pordenone in attività da dieci anni esatti, parlano di sé stessi quando chiedo loro di presentarsi. E questo al netto di una rapidissima ma costante evoluzione che li ha portati – nel giro di quattro album – dall’autoprodozione, ai palchi internazionali: Sziget, Sunsplash, Summerjam ed ovviamente il Rototom. L’attuale ensemble è capitanato dai fratelli gemelli Jacob e L.O. Garzia, ma alla formazione – che negli anni si è spogliata dei fiati alla ricerca di un suono più secco – si deve necessariamente aggiungere il fido dubmaster Paolo Baldini che per primo credette in loro, producendone l’esordio.

Il tema della dualità ritorna, quando si parla dei Mellow Mood, in più di un senso: oltre ai gemelli frontman della band, anche gli ultimi due dischi Twinz e 2 To The World rappresentano le due facce di una stessa medaglia sonica che guarda tanto all’Italia quanto alla Giamaica. L’etichetta La Tempesta, che si occupa dei Mellow Mood, ha scelto di avviare una sotto-etichetta, opportunamente battezzata La Tempesta Dub, che si occuperà specificatamente di vibrazioni in levare. Per festeggiare l’evento, ecco pronto un minifestival omonimo, che per cinque date porterà in giro per l’Italia Mellow Mood & soci. Gli italiani Andrew I e Forelock, per fare un esempio, ma anche nomi del panorama internazionale come lo spagnolo Sr. Wilson o il portoghese Zacky Man.

Il focus, però, sarà sull’elemento del dub tramite il progetto Dubfiles pensato dallo stesso Baldini, che sposta l’attenzione dal palco alla cabina di regia, in un vero e proprio ritorno alle radici. Un progetto così riuscito che è stato esportato con successo anche là dove tutto ha avuto inizio, la Giamaica, con tantissimi artisti locali che si sono prestati per parteciparvi. L’esperienza caraibica del progetto Dubfiles è stata raccolta in un documentario, Dubfiles at Song Embassy, Papine, Kingston 6. A rispondere alle mie domande, dall’altra parte dello schermo, c’è Giulio Frausin, bassista della band dal giorno uno.

Perché uscire con due dischi a distanza di dieci mesi? Come ha reagito il pubblico, ed in seguito il mercato, a questa scelta?

“Quando nel 2013, concluso il tour del secondo disco, abbiamo guardato il materiale inedito che avrebbe composto l’album successivo, ci siamo trovati davanti a più di una ventina di brani. All’inizio abbiamo ipotizzato un doppio ma poi, d’accordo con La Tempesta, abbiamo optato per un’uscita separata a distanza ravvicinata. Un po’ come Exodus/Kaya, per sparare un paragone azzardato. Direi che il pubblico ha reagito bene: abbiamo fatto nel frattempo così tante date, che i dischi hanno avuto tempo di maturare a dovere. E poi il reggae è un genere molto spesso prolifico, quindi chi ci segue, forse, se l’aspettava anche.”

Proviamo ad allargare il tiro: pregi e difetti della scena reggae italiana. Cosa esportare all’estero, cosa invece non ripetere più.

“Tra i pregi dobbiamo assolutamente includere il talento: abbiamo un sacco di realtà validissime dal punto di vista artistico. Forse manca un po’ di organizzazione all’interno della scena a livello nazionale. Un po’ di campanilismo probabilmente. Ma penso sia anche un riflesso di un fenomeno che riguarda il Paese intero.”

A proposito di estero: perchè la lingua inglese? Come influisce l’utilizzo di un idioma “altro” sulla vostra scrittura?

“A volte è limitante, perché se non si padroneggia l’inglese (o il patwa) ci si può trovare in difficoltà, finendo per usare più o meno sempre le stesse espressioni. È anche vero che però si tratta di un idioma molto sintetico (aiuta a condensare concetti in frasi più brevi) e musicali, quindi si presta molto alla composizione.”

Una cosa che non ho mai capito: nel 2006, anno di esplosione del nuovo rap italiano, la scena reggae nazionale godeva di numeri ben più grossi e “radicati”. Perchè, a vostro dire, il rap italiano è diventato così celebre e non il reggae? Forse non ci sono i giusti artisti? Forse c’è un’integrità di fondo che impedisce alcuni compromessi con, ad esempio, le major del disco?

“Innanzitutto perché stavano nascendo nuove realtà che si esprimevano in inglese, e la lingua italiana per le major è una conditio sine qua non (anche comprensibilmente, forse). Promuovere in italia musica anglofona non è sempre scontato. Nel 2006 c’era già forse stato il passaggio: i Reggae National Tickets erano sciolti da tempo, gli Africa Unite uscivano con Controlli, che è il loro disco con più ampio uso dell’inglese. In più il pubblico del rap è molto giovane, e si è venuto a creare senza sostituire o sottrarre nulla al pubblico reggae già esistente. Nel momento in cui l’hip-hop italiano riscoprisse una sua “blackness” sarebbe più facile una sovrapposizione tra i due pubblici: il reggae è pur sempre inglobato nella categoria world music.”

La Tempesta Dub: cosa dobbiamo aspettarci?

“L’evento propone in una serata unica il meglio di quanto si è costituito sotto l’egida de La Tempesta Dub. Inizialmente il progetto LTDUB è partito per catalogare le dub version realizzate nello studio di Baldini, ma di fatto ha preso la forma di una sotto-etichetta che ci permetterà in futuro di gestire un catalogo parallelo per le nostre uscite (e del nostro team di lavoro). Nella tradizione giamaicana il dub è una componente indissolubile della reggae music, e non uno scomparto separato.”

Presentateci gli artisti che divideranno il palco con voi per la data fiorentina del vostro festival.

“Sr. Wilson sta diventando un numero uno nella scena dub/soundsystem europea ed è ospite dei nostri progetti da diverso tempo ormai, perché è un artista che si muove alla riscoperta di uno stile vocale molto old-school e a noi simile per passione, età, influenze. I gemelli The Gideon & Selah ci hanno effettivamente ispirato molto da un punto di vista estetico/artistico e nella sinergia che c’è tra di loro. Zacky Man è un giovane artista dancehall portoghese ma assolutamente versatile. Ha partecipato alla session di DubFiles al Rototom Sunsplash lo scorso agosto ed è stata una gran sorpresa. Collaboriamo con Andrew I da molto tempo ed era impossibile non averlo nel team di questa tournée! E in apertura avremo Forelock & Arawak: Forelock è forse la voce più bella del reggae italiano, e i suoi Arawak una delle backing band più solide della penisola.”

Che cos’è il progetto Dubfiles?

“DubFiles è il progetto di Paolo Baldini, che pone l’accento sulla post-produzione come performance artistica. Anche i suoi live si svolgono in regia: è un po’ un ribaltamento del concetto di concerto, che non avviene sul palco ma dove solitamente stanno i tecnici.”

Come è stato accolto in Giamaica?

Quando siamo andati in Giamaica lo scorso febbraio abbiamo filmato le registrazioni di quello che sarà il nuovo disco di Baldini: abbiamo montato uno studio mobile in una yard a Kingston 6 e lì abbiamo ospitato (e intervistato) più di trenta artisti che si alternavano al microfono durante quelle che erano le sessioni di registrazione, ma che in realtà erano strutturate come una vera session di soundsystem durata una settimana intera. Siamo stati accolti molto positivamente, e proprio dalla gente del ghetto, che il reggae lo vive nella propria realtà quotidiana. Penso che la cosa che hanno apprezzato di più è che non abbiamo cercato lo studio bello, e/o gli artisti famosi, ma ci siamo immersi nella realtà del ghetto e abbiamo registrato proprio quei talenti che purtroppo non ricevono esposizione mediatica.

Potete vincere a questo link biglietti per alcune date dal vivo de La Tempesta Dub. Qua sotto, un video di presentazione delle serate.

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