Editoriale 282/283: La nascita del curatore musicale

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di Rossano Lo Mele

Ci risiamo. Come ogni estate da ogni estate si riavvia la discussione sui tormentoni dell’estate. Su base mondiale, non ci sono discussioni: ha stra-vinto, stra-cciando tutti, Lean on dei Major Lazer (trovate più avanti, in zona recensioni, la positiva analisi del disco da poco uscito firmata da Paolo Ferrari). In coda per un bonifico, al supermercato, al semaforo, al chiosco gelati del lido, in radio, in tv: l’avete sentita ovunque. E anche se non la conoscete nel senso di titolo e autore, la conoscete comunque perché – anche passivamente – è stata somministrata. Quella col ritornello eh-oh-eh-oh-eh-oh-eh-oh. Ma perché parliamo di questa cosa qui, si chiederà il rumorista storicizzato? In quale maniera ha a che fare con me? Non ha a che fare con te, presumibilmente. Ma ha a che fare anche con te. La nascita di un nuovo tipo di specie musicale: che tutto comanda. Il curatore.

Little Richard è appena più vecchio di Elvis Presley. La sua canzone di maggior successo (Tutti Frutti) è apparsa un pelo prima degli innumerevoli numeri uno di Elvis. Quando è arrivato Eminem, circa 50 anni dopo, all’epoca del mostruoso successo del suo secondo disco, dichiarò qualcosa del tipo: sono il secondo bianco dopo Elvis ad aver rubato dalla cultura afroamericana e averci fatto i soldi. Mi è tornato in mente l’aneddoto leggendo una lunga intervista rilasciata da produttore Diplo al mensile inglese “Q”. Thomas Wesley Pentz – in arte da solo noto come Diplo, a sua volta motore principale del progetto Major Lazer – a un certo punto dichiara, parlando della sua residenza a Las Vegas come DJ hip hop: “Ho un sacco di successo perché sono bianco. Devi essere conscio di questo”. Poi, più avanti, parlando del suo ruolo di ambasciatore mondiale del baile funk brasiliano, ormai anni fa: “Nessuno vuole vedere dei neri che escono dai ghetti del Brasile e sentirli parlare di roba gangsta. Ho imparato molto in fretta cos’è il marketing per il resto del mondo”. Non è perciò sorprendente che Diplo sia stato negli anni anche accusato di sciacallaggio musicale. La stessa Lean on è una canzone dal mood eastie indianeggiante, con tanto di mega clip girato in loco, ma con un flavour destinato a un pubblico occidentale. Cioè, mondiale. Ecco il suo punto di vista: “Non sono così sicuro oggi di quale musica fare. David Bowie ha già fatto tutto con Young Americans, che è in pratica un disco soul. O prendi i Clash: ragazzi bianchi inglesi che facevano reggae nei primi ’80, è stato una figata. Ora non puoi più fare niente del genere”. Diplo si ispira ai suoni giamaicani, ma: “Come Major Lazer non abbiamo alcuna idea di creare un senso di autenticità giamaicana. Lì fuori non c’è alcuna autenticità. La prima volta che siamo stati lì la gente impazziva per Owl City e Miley Cyrus, quindi mi sono detto: ma chi se ne frega, figurati se in Inghilterra o in America pensano a me che vado in Giamaica”. E via così: dall’EDM che è un posto solo per fare soldi alla collaborazione con Madonna, che non è andata bene commercialmente perché lei ormai è fuori moda. Diplo ha le idee chiare, chiarissime, spietate: punta dichiaratamente a fare soldi per poi ritirarsi in fretta e non essere patetico, perché ogni minuto che passa è un minuto perso.

Biondo, fisico da marine, cittadino del mondo, due figli. Ha prodotto, tra i mille, Snoop Dogg, Drake, Santigold e ora ha un progetto con Skrillex. Quando esordì anche su queste pagine era uno dei produttori da tenere sott’occhio. Poi il successo, si sa, nel mondo della musica talvolta opacizza giudizi, valori, sguardo, la musica stessa. Responsabile dell’invenzione di M.I.A., polemista su Twitter. Diplo non suona: inventa mondi, non riconducibili però a nessun punto preciso del mondo. Parlano potenzialmente a tutti, di volta in volta. Quest’anno, nel 2015, la più grande hit mondiale prima di Lean on è stata Uptown Funk di Mark Ronson. Nostra copertina di febbraio. Mark viene dall’underground, ha fatto tutta la trafila: musicista, DJ, producer (ha inventato Amy Winehouse). In copertina abbiamo scritto: professione produttore. Ma abbiamo sbagliato. Avemmo dovuto scrivere: professione curatore. Perché Ronson – come Diplo, pur nascendo musicista – svolge un lavoro di altro tipo ormai. Non produce, e basta. Siamo di fronte alla genesi di una nuova figura. Qualcuno che appone il suo brand a dei progetti. Editoriali. Musicali. Di moda. Di stile. Generando consenso e influenza sui costumi (e consumi) delle persone. Su base mondiale, nel caso di Diplo e Ronson. Certo: occorre, fra le altre cose, averci il fisico, in senso letterale. Essere bianchi. Nascere nel punto giusto del mondo. Attivare contatti. Ma conta tanto pure avere una visione che prescinda dal semplice aspetto musicale. Andare oltre la figura del musicista. E del non musicista. Per trasformarsi in quello che un curatore fa nel mondo dell’arte figurativa, museale. Mettere in comunicazione mondi, senza per forse esserne responsabile: ma sapere come farli cortocircuitare. Figure a cui vengono affidate le chiavi della contemporaneità.

Del resto, come dice il ritornello di Lean on: “Tutti noi abbiamo bisogno di qualcuno su cui fare affidamento”. Buona estate. Buona lettura. Buone vacanze. Anche senza tormentoni.

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