Live Report: Incubus @ Postepay Milano Summer Festival, 03/06/2015

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di Luca Doldi

Il concerto degli Incubus arriva il giorno dopo il Sonisphere e tutte le polemiche che ne sono scaturite, con accuse spesso sopra le righe e class action alquanto improbabili.

Sono anni che festival e concerti estivi si svolgono su colate di asfalto e luoghi senza alcuna possibilità di avere zone d’ombra, mi pare assurdo che adesso ci si scopra tutti combattenti e insurrezionalisti (da tastiera) per un concerto svolto in un parcheggio.

Le accuse mosse dal pubblico oltre all’inadeguatezza del luogo, sono state i prezzi dei punti ristoro, le code per fare qualsiasi cosa, la mancanza di zone d’ombra: praticamente i problemi che ci sono da sempre nei grandi eventi musicali italiani. Se andate a vedere un concerto all’anno, solo in questi grandi eventi e trovate sempre le stesse condizioni che non vi soddisfano non andateci più, è semplice.

Ci sono un sacco di piccoli festival con line-up ottime in luoghi stupendi ai quali potete andare. Certo non lanciano i palloncini e non ci sono fuochi d’artificio o scenografie da Disneyland, ma c’è bella musica, bella gente, si mangia e si beve bene, il biglietto costa poco e il posto da solo spesso vale il prezzo del biglietto.

L’altra grande accusa è stata l’unica uscita disponibile (come all’Arena Parco Nord di Bologna e in mille altri luoghi dove si svolgono concerti) oltre al passaggio lungo e stretto che porta all’ingresso dell’area. Forse quest’ultima è quella più vera, perché per un evento di quella portata effettivamente può essere un po’ poco. Soprattutto se in fondo si trovano venditori ambulanti che fanno da tappo, venditori (e bagarini) alquanto molesti e insistenti, molto più del solito. Ma in ogni caso non è un corridoio chiuso, in fondo c’è il parcheggio che da sfogo alla folla, basta avere un po’ di pazienza e aspettare che il grosso defluisca prima di portarsi all’uscita.

Questo non vuol dire che bisogna rassegnarsi a vivere i festival in luoghi inadeguati, tutto il contrario, è una vita che mi arrabbio per come vengono gestiti questi eventi, (infatti non ci vado più, a parte rarissime eccezioni) ma queste accuse fuori da ogni logica non fanno altro che portare al risultato opposto di quello che si vorrebbe.

Veniamo alla serata dedicata agli Incubus adesso. Entrando nell’arena si ha l’impressione di entrare in un campo profughi, con la differenza che in fondo c’è il palco. La scelta scenografica dei container non è stata molto azzeccata a mio parere. Esteticamente brutto sì, ma in fondo non peggio dell’area in Rho-Fiera o di altri festival che si svolgono nei parcheggi. Sempre un posto dove si mettono le macchine rimane, partendo da quel presupposto, che sia brutto o meno brutto poco cambia, basta che funzioni.

Arrivo tardi per poter vedere i Last Internationale e mentre varco l’ingresso, si conclude il loro set.

Gli Incubus potrebbero sembrare una band normale, ma la loro storia è particolare. Sono l’unica band di quel periodo ad aver continuato più che onestamente la carriera senza però aver mai fatto il botto vero. Non ho mai ben capito il motivo, perché singoli radiofonici ne hanno fatti molti, ma mai nessuno è riuscito a farli arrivare ad un pubblico diffuso e popolare, soprattutto in Italia. Detto così sembra che sia impazzito, perché Drive è famosissima, lo so, ma non sono mai stati una di quelle band che trovi headliner ai festival, o che riempie gli stadi.

La cosa curiosa è che anche rimanendo inattiva per molti anni, da A Crow Left of the Murder (2006) a If Not Now, When? (2011), non hanno fatto quel salto da band famosa a band di culto, che molte altre band sono riuscite a raggiungere con un periodo di pausa (spesso inspiegabilmente). Cosa che per esempio è successa ai Foo Fighters, da In Your Honor (2005) a Wasting Light (2011).

A vedere loro non sembra ci soffrano, anzi, sono una band che più di ogni altra sembra a suo agio con sé stessa, consapevole delle proprie capacità, soddisfatta del loro percorso artistico e della popolarità che hanno. Questo viene riversato poi sul palco, dove trasmettono una consapevolezza dei propri mezzi e una serenità che non ho mai visto in nessun’altra band.

Inoltre la mancanza di questo status da band di culto, gli permette di rimanere sé stessa in tutto. La cosa si nota soprattutto nello stile, Pasillas sempre con il cappellino con visiera, Kilmore sempre con i suoi dread lunghissimi, Kenney, con la sua barba e il suo cappellino, Brandon sempre a petto nudo dopo un paio di pezzi, Mike sempre con il suo stile da bravo ragazzo di periferia. Non indossano costumi di scena (e con questo non intendo mantelli o altro, ma semplicemente quegli indumenti che i musicisti mettono sul palco per sembrare più rock), gli indumenti che usano per stare sul palco sono gli stessi che usano nella vita di tutti i giorni. Anche il modo di impostare i concerti è molto disinvolto, scenografia praticamente assente, a parte un videowall non molto grande alle loro spalle usato per proiettare immagini del concerto e sfondi scenografici. Anche la scaletta è eseguita senza ansia, senza badare al fatto che ci sia qualche momento di pausa in più o in meno fra un pezzo e l’altro. Brandon non si fa problemi a rimanere in silenzio fra un pezzo e l’altro, a parte i ripetuti “Grazziii” che dopo qualche pezzo si trasformano in un siparietto comico, non dice quasi mai nulla, se non quando si dimentica una parola in un pezzo spiegandolo in modo molto sincero e simpatico o quando scherza con Mike in un’occasione.

Nel mezzo di tutta questa serenità e relax però c’è un concerto incredibile, suonato come veramente pochi sanno fare. Una scaletta che parte subito col botto mettendo in fila una cinquina che lascia senza fiato, il cui culmine è Vitamin. Il resto a parte un paio di pezzi che non capisco perché si ostinino a mettere in scaletta, come In the Company of Wolves e Are You In?, è frutto di scelte azzeccate, esecuzioni di una qualità imbarazzante e grande capacità di creare emozioni. Fra tanti hanno stupito i pezzi del nuovo disco per la resa perfetta dal vivo (immagino che gli ascolti in streaming siano saliti di parecchio dopo i concerti). Su tutti poi, Sick Sad Little World, un pezzo da A Crow Left of the Murder che solo un gruppo come gli Incubus può permettersi di portare sul palco, perché è indubbiamente il più complicato di tutta la loro produzione, uno di quei pezzi che di solito finiscono su disco ma poi vengono abbandonati e mai riproposti dal vivo. Loro invece lo ripropongono sempre e ogni volta riescono a creare qualcosa di unico, facendolo diventare il fulcro attorno al quale si muove tutto il concerto.

In conclusione vi posso dire che andando a vedere un concerto degli Incubus non si sbaglia mai perché si ha la certezza di assistere a un concerto vero, dove al centro c’è solo la musica, fatto per gente a cui piace davvero la musica e non si fa incantare da tute a led, astronavi, pose, raggi gamma e assoli telecomandati.

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