Intervista: Anti-Flag

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Di Luca Minutolo

Siamo agli albori degli anni ’90 quando il nucleo primordiale degli Anti-Flag emette il suo primo vagito. Dopo anni di militanza e scorribande nella fiorente scena punk/hardcore di Pittsburgh, il collettivo arriva a seguito di svariati cambi di formazione al suo primo disco solo nel 1996. Spalleggiati dagli U.K. Subs, Die for the Government raccoglie tutti i brani sparsi negli EP e 7″ pubblicati negli anni passati, presentandosi subito come un manifesto programmatico: punk di stampo californiano veloce e conciso, che non disdegna ritornelli melodici e dispensa denuncia sociale e attivismo politico come se non ci fosse un domani. Portando sempre alto il vessillo della giustizia sociale, gli Anti-Flag attraversano quasi vent’anni di carriera cadenzati da ben dieci dischi e alcune scelte controverse. Famosa e combattuta tra i fan più duri e puri è stata la scelta della band di accasarsi nel roster della RCA nel 2006. Decisioni discutibili che non hanno minato l’attitudine riottosa della punk band americana, che oggi si appresta a pubblicare il decimo disco della propria carriera intitolato American Spring. Primavera e nuova rinascita, per l’appunto, che gli Anti-Flag diramano nella solita e consueta veste di un punk asciutto e fruibile, attaccando la metafora alla speranza di una nuova era per la band e per gli Stati Uniti stessi. Al disco, come sempre imperniato dalla verve politicizzata e accusatoria dei nostri, hanno collaborano anche due vecchie amicizie del gruppo: Tom Morello e Tim Armstrong. Abbiamo approfittato della sortita italiana degli Anti-Flag (il prossimo 29 maggio al Full Tension Festival di Bolzano) per scambiare due chiacchiere con Chris Head, chitarra e motore della band statunitense. Botta e risposta stringato e accusatorio. Proprio come un qualsiasi pezzo degli Anti-Flag.

Innanzitutto state per pubblicare un nuovo disco chiamato American Spring. Come l’avete realizzato?

American Spring è un disco piuttosto unico per noi. Abbiamo lavorato duramente sui pezzi, nella realizzazione dell’artwork e nella stesura delle note di copertina. Abbiamo curato ogni minimo dettaglio come mai fino ad ora.

Come da titolo, American Spring sembra annunciare una nuova era per gli Stati Uniti e anche per la vostra band. Quale significato racchiude il titolo del vostro disco?

Assolutamente sì. Personalmente vengo fuori da un periodo piuttosto buio e pesante. American Spring parla di rinascita in generale, e anche di una mia nuova vita, volendo leggerlo in maniera soggettiva. È il decimo disco della band, il primo dopo il nostro ventesimo anniversario di vita per il gruppo. In America c’è una grande disuguaglianza tra poveri e benestanti, gli omicidi commessi dalla polizia sembrano non aver mai fine, l’ambiente viene sempre più deturpato. Mai come adesso è arrivato il momento della rinascita per lasciarci questo passato pessimo alle spalle.

Nell’album ci sono anche alcune collaborazioni illustri, come ad esempio quelle di Tom Morello e Tim Armstrong. Come li avete coinvolti?

Sono entrambi dei nostri cari amici, ma li vediamo anche come enormi talenti. Tom Morello lo conosciamo da moltissimo tempo. Diciamo che è un nostro mentore, una persona di cui ci fidiamo e che molte volte ci ha aiutato nelle nostre decisioni, indicandoci quali percorsi intraprendere. Anche Tim Armstrong è un nostro amico di vecchia data, ma non avevamo mai collaborato insieme a lui fino ad oggi. Lo abbiamo voluto su questo disco, e per noi è stata un’occasione di confronto davvero speciale.

Nel bel mezzo della vostra carriera siete stati criticati dai vostri fan per il vostro ingaggio tra le fila della RCA. Come mai avete preso questa decisione? Vi ha davvero aiutati a diffondere il vostro messaggio politico e musicale verso un pubblico maggiore?

A dir la verità non si è trattata di una mossa fatta per raggiungere un pubblico più vasto. Abbiamo speso i loro soldi su idee e progetti giusti che meritavano il nostro appoggio. Abbiamo sempre cercato l’opportunità e la possibilità di fare dischi a quei livelli, pur mantenendo integre le nostre idee e la nostra personalità, oltre al fatto di renderli disponibili ad un maggior numero di persone sparse per il mondo. Non c’è stato nulla di male nel nostro periodo con la RCA.

Agli inizi della vostra carriera musicale le cose erano piuttosto diverse rispetto ai giorni nostri. Creare una band e promuoverla sembrava un lavoro molto più difficile e umano. Dal tuo punto di vista, cosa è cambiato adesso?

Oggi ci muoviamo in maniera piuttosto simile. Facciamo concerti, siamo continuamente in giro e condividiamo le nostre idee con la comunità punk che incontriamo ad ogni show. Conserviamo ancora quel forte contatto umano che avevamo agli esordi. I social media e internet sono strumenti utilissimi per connettere e mantenere in contatto persone sparse per il mondo. Questi strumenti possono essere utilizzati in maniera intelligente. Internet è di per sé un mezzo potentissimo per disturbare e scuotere la situazione di stallo in cui ci troviamo.

Gli Anti-Flag hanno sempre diffuso un forte messaggio politico tramite la propria musica. È cambiata anche la maniera in cui la band lancia i propri messaggi politici e sociali?

Beh, adesso possiamo diffondere le nostre idee verso un raggio di persone più ampio. Ma non possiamo fare a meno del contatto reale e umano che s’instaura ai nostri concerti. L’alchimia che scatta quando ci si trova tutti assieme nello stesso luogo per discutere di giustizia e uguaglianza, non è minimamente paragonabile al freddo scambio di informazioni che viaggiano sulla rete.

Il punk è un mezzo molto semplice e diretto di fare musica per veicolare un contenuto politico. Avete mai pensato di accostarvi a qualche altro genere oppure di cambiare la maniera in cui create e portate in giro la vostra musica?

Credo che il punk rock abbia poco a che fare con il sound. È una questione di empatia, comprensione. È ciò che si trova nel tuo cuore e nella tua mente. Qualcosa che trascende un determinato tipo di sound, taglio di capelli o stile ben preciso.

Saprai certamente cosa sta accadendo negli Stati Uniti tra la polizia americana e la comunità afroamericana. Qual è il tuo punto di vista su questa vicenda? Sembra quasi un triste ritorno ai vecchi tempi.

Come ho già detto prima, attraverso i social network e la rete si percepisce questa rabbia scaturita dai cittadini americani verso le ingiustizie perpetrate del nostro governo. Sembra davvero un ritorno al 1968, e questi eventi sono in gran parte il sintomo di un grande passaparola.

Per quanto riguarda invece la situazione politica americana?

La politica americana è governata dalle corporazioni economiche, dalle lobby, dalle campagne finanziarie. Loro dettano le regole. Non di certo i politici. In America la questione ruota attorno a un quesito ben preciso: Coca o Pepsi? Ecco, la nostra band lotta ancora per cambiare tutto questo.

Come giudichi questi anni del governo di Obama?

In sostanza sono stati sei anni deludenti. Sappiamo che i presidenti non cambieranno le sorti del mondo. Solo il popolo può ribaltare la situazione. Comunque Obama ha tralasciato fin troppe questioni. Dalla prigione di Guantanamo, alla tutela della salute e il pazzo sistema sanitario americano, passando per l’istruzione, l’abisso tra ricchi e poveri e la sua mancanza di autorità di fronte ai soprusi portati avanti dalla polizia. Siamo senza dubbio amareggiati da questi ultimi anni di governo.

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