Intervista: Three in One Gentleman Suit

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Three In One Gentleman Suit

Di Luca Minutolo

Capita sempre più spesso, ormai, che molte band nostrane facciano un percorso all’inverso. Partendo fuori confine, si torna in patria da vincitori con il bagaglio pieno di consensi mutuati dall’entusiasmo estero. Una sorta di esame forzato a cui molti devono sottoporsi per far valere le proprie capacità oltre i limiti di un paese (dis)impegnato a seguire altro, repellente alle novità ed estraneo al gusto esotico della scoperta. Non sono stati da meno gli emiliani Three in One Gentleman Suit che, dopo cinque dischi alle spalle e innumerevoli date in giro per l’Europa, si prendono oggi l’attenzione che meriterebbero ormai da tempo. Della loro formula matematica applicata alla materia post-core ne abbiamo goduto a dovere con Pure, disco che ha consacrato il trio nel consunto stivale italiano, arrivato a compimento di una carriera esemplare nel sottobosco alternativo europeo. Giorgio Borgatti (chitarra e voce), Paolo Polacchini (basso e voce) e Federico Alberghini (batteria) sono il motore propulsivo dei Three in One Gentleman Suit, che si apprestano a pubblicare il proprio quinto disco intitolato Notturno. Otto brani dalle atmosfere riflessive, più mentali e meno fisiche rispetto alle scorribande a cui ci hanno abituati in questi anni di onorata carriera. Un capitolo nuovo, che parte dall’autoproduzione per arrivare, tramite un filo fragile, fino alla ricostruzione dalle macerie emotive e fisiche. Un disco innescato come immediata reazione al terremoto emiliano del 2012 e arrivato, dopo tre anni di lavorazione, a catarsi di un bisogno impellente: la necessità di suonare come spinta vitale. Di Notturno, vizi e virtù italiane, terremoti interni ed esterni e del ruolo salvifico della musica abbiamo parlato con Giorgio Borgatti nella lunga intervista che trovate qui di seguito, assieme ad un piccolo assaggio tratto da Notturno.

Notturno è un capitolo nuovo nella vostra carriera. Rispetto al passato, il vostro ultimo disco suona molto meno diretto e più ponderato. Come vi siete approcciati alla sua realizzazione?

Non so se effettivamente si tratta di un capitolo nuovo. È sempre molto difficile avere un punto di vista oggettivo su ciò che creiamo. Ovviamente, per noi l’ultimo disco che facciamo è sempre il più bello. Quando si arriva alla realizzazione di un disco, lo si fa prima di tutto per dare sfogo ad una necessità, e perché evidentemente quello precedente non ti basta più. Abbiamo bisogno di comunicare altre cose e di scrivere in un altro modo. Per questo disco abbiamo avuto un approccio alla realizzazione completamente diverso rispetto al passato. A differenza degli altri, che abbiamo partorito in sala prove per poi registrarli e mixarli affidandoci ad altre figure, questo disco è stato completamente diverso nell’approccio. Abbiamo scritto delle bozze in sala prove, per poi registrare moltissime volte e aggiungere mano a mano dei dettagli tutti e tre assieme. Una volta trovata la quadra, abbiamo affittato uno studio per autoprodurci a tutti gli effetti.

Quindi si tratta di un disco interamente pensato, registrato e mixato da voi tre.

Fondamentalmente non c’è stata nessuna persona esterna che ha interagito con noi per evidenziare un colore piuttosto che un altro. Non l’avevamo mai fatto, anche se nella fattispecie compare il mio nome come produttore del disco, Notturno è il frutto di tutti i Three In One Gentleman Suit. Ho messo più volte mano ai pezzi, stravolgendoli e ribaltandoli continuamente assieme agli altri due mostri che suonano con me. Nel senso che fanno qualsiasi cosa gli chieda in due secondi e nella maniera migliore possibile. Praticamente il sogno di ogni produttore. È stato molto divertente da questo punto di vista. Ragionandoci ad alta voce, si tratta effettivamente di un disco diverso.

Come in passato, avete collaborato con alcuni musicisti della scena italiana e non solo. Per Notturno chi ha partecipato e come ricade la scelta su questi nomi?

Siamo sempre stati un po’ chiusi dal punto di vista delle collaborazioni. Abbiamo sempre fatto fatica ad integrare altre persone all’interno dei nostri dischi. Per Notturno, dato il processo di lavorazione con cui ci siamo cimentati, e per la lavorazione piuttosto lunga e riflessiva che ha subito, ci ha dato la possibilità di scegliere bene quali persone potessero essere adatte da inserire. Quando abbiamo scritto Ashes, probabilmente il pezzo che racchiude più di tutti questo processo creativo, è uscita fuori la necessità di avere un quartetto d’archi o una piccola orchestrina sinfonica. Quindi ci siamo affidati immediatamente a Nicola Manzan che ci ha fatto questo regalo bellissimo. L’ensemble d’archi registrato da lui è il collante perfetto per il brano e una chiave di volta per tutto il disco. Poi c’è Stefano Pilia che compare in Medusa, che dal punto di vista generale del disco è il brano più lontano rispetto al mood che attraversa Notturno. È un pezzo che richiama le primissime cose che abbiamo fatto, dura quasi otto minuti e la seconda parte si tuffa completamente nel lisergico. Avevamo bisogno di qualcuno che fosse sufficientemente in simbiosi con il suo strumento, per lasciarsi andare completamente senza preconcetti verso le sfumature che mancavano nel pezzo. Credo che attualmente, l’unico musicista che conosco in grado di fondersi completamente con il suo strumento e che suoni senza inibizioni è proprio Stefano. Ci ha regalato un’ottima chiusura per il disco.

Per quanto riguarda Arnold e Rene?

Sono due ragazzi olandesi, rispettivamente chitarra e batteria dei Feverdream, un gruppo che ha dominato la scena indipendente europea nei primi anni del duemila. Ci siamo conosciuti in maniera fortuita durante un loro tour italiano dalle nostre parti e presentammo il nostro primo disco di spalla a un loro concerto. Da lì siamo rimasti amici, tant’è che ci siamo ritrovati a sostituirli all’improvviso per un tour di dieci date, dato che un membro della band aveva problemi di salute e quindi le abbiamo coperte noi al posto loro. Siamo rimasti sempre in contatto e, negli ultimi anni specialmente, siamo diventati grandi amici. In un paio di day off dal nostro tour europeo di due anni fa ci siamo fermati da loro a Rotterdam. Ci siamo chiusi nel loro studio di registrazione per suonare un po’ assieme e così è nata Nightshift. L’ultima collaborazione del disco poi è con Lorenzo Borgatti, un polistrumentista giovanissimo di 18 anni che ci ha dato una grande mano sia nella parte tecnica che in quella strumentale. Lo conosco da qualche anno perché è stato mio studente di musica. Un ragazzo formidabile.

Allontanandoci da Notturno, in questi ultimi anni la vostra ascesa è stata piuttosto forte, specialmente in terra nostrana. Avete fatto, come tante altre band italiane, un percorso all’inverso che dall’estero vi ha poi riportato in Italia. Un paradosso che si ripete in moltissimi casi ormai.

Credo che il problema dell’Italia, relativo non soltanto ai Three In One Gentleman Suit, sia nel bisogno di aspettare che altri al di fuori dicano che qualcosa sia figo per potersene accorgere. Questo è legato alla cultura, perché non siamo capaci di valorizzare noi stessi. Mi fa incazzare molto questo vizio. È un processo che non coinvolge solo la musica, ma lo si può allargare anche alla cultura in generale e anche al mondo del lavoro. È un discorso vecchio come il cucco, anche un po’ buonista e demagogico ripetere sempre che molti sono costretti a fuggire all’estero per essere valorizzati. Però la realtà è che qui non c’è un cazzo da fare. Per quanto riguarda la nostra esperienza, molte volte è più facile organizzare date all’estero piuttosto che Italia. Andiamo a suonare ad esempio in Belgio trovando il nostro nome a caratteri cubitali in giro per la città e vengono mille persone a vederci, pagando dieci euro a testa, e poi suoniamo al Magnolia a Milano per esempio, trovandoci davanti a cinquanta persone. Vien da chiedersi il perché, ma la risposta non ancora la troviamo.

Diciamo però che da Pure sembra che qualcosa si sia mosso nei vostri confronti.

Sicuramente aver realizzato il disco con Giulio Favero ha aiutato a far sì che un pubblico più vasto si approcciasse a capire la nostra musica. In Italia davvero pochi sono curiosi di scoprire nuove band. C’è bisogno sempre di un invito che passi attraverso il nome di un produttore o musicista più blasonato. Ovviamente non voglio togliere nulla a Giulio. Credo che sia il migliore produttore in circolazione al giorno d’oggi qui in Italia. Se avessimo avuto le possibilità economiche avremmo realizzato anche Notturno con lui. Alla fine abbiamo dovuto fare di necessità virtù realizzando tutto da soli. Nel bel mezzo di questo percorso mi sono accorto che si trattava della formula perfetta per far sì che questo disco uscisse fuori nella maniera in cui desideriamo in questo momento. Siamo più che felici di questo.

Saltando ancora più in là, come buona parte della popolazione emiliana siete stati colpiti anche voi dal terremoto del 2012. Il Lato B è caduto a pezzi, così come delle abitazioni e delle vite degli abitanti di Finale Emilia. Da questo evento orrendo sono nate iniziative e operazioni per cercare di rimettere in sesto i danni del sisma.

Tra noi tre, indubbiamente Paolo è stato molto più coinvolto rispetto al resto della band, occupando i vertici dell’organizzazione che gestisce il circolo musicale Lato B. È sicuramente stata la più grande tragedia dopo la seconda guerra mondiale, per noi e per tutti gli abitanti della zona. Ci siamo ritrovati dal giorno alla notte con il paese raso al suolo. Anche chi è stato più fortunato a non avere particolari danni, li porta comunque dentro con sé. Molti non ancora riescono a riprendersi da tutto questo, o chi comunque crede di essersi ripreso, torna puntualmente a ricaderci dentro. Più di tutto, in quel momento ci siamo resi conto di quanto fosse importante la musica per noi. Personalmente non avevo più niente, se non pensare a fare qualcosa. Suonare, organizzare concerti per i miei studenti della scuola di musica. Paolo (TIOGS) e Raffo (LatoB), Capra e Sollo (Gazebo Penguis), gli amici dell’Igloo Audio Factory e tantissime altre associazioni amiche hanno realizzato il festival Abbassa!, per raccogliere fondi da destinare alla riparazione del Lato B, la sala prove della nostra area che ospita una quarantina di band che provano e gravitano in questa struttura. Con il festival abbiamo riparato il circolo e siamo riusciti a rientrare, e immediatamente ci siamo prefissati l’obbiettivo di realizzare un altro disco. Notturno  nasce da quei giorni. Anche per questo è stato giusto realizzarlo tutto da noi al Lato B. È stato ovvio fare questo tipo di percorso. Tornando alle iniziative, grazie ad Abbassa! sono stati raccolti 15000 euro da donare al comune per riparare il tetto e rendere di nuovo agibile il Lato B. Da qui poi sono nate le Feste del Ringraziamento, ovvero delle feste sulla falsariga di Abbassa! organizzate nel cortile del circolo, dove in due giorni si susseguono gratuitamente in due palchi i gruppi migliori che ci sono i Italia.

Indubbiamente c’è prima di tutto un legame di amicizia molto forte che lega le band che circolano attorno ad Abbassa! e alle Feste del Ringraziamento.

Vengono i Calibro 35, i Gazebo Penguins, Johnny Mox, gli Zeus! e non aggiungo altri perché sicuramente ne dimenticherò alcuni. Grazie a queste feste sono stati raccolti altri soldi, destinati lo scorso anno alla costruzione della nuova scuola di musica di Finale Emilia che ospita 150 studenti, dato che la vecchia sede non c’è più dopo il sisma. Ci tiriamo dietro queste cose per anni, ma finché facciamo tutto questo col sorriso, con dei concerti e iniziative così va bene.

Certo, in questi casi avere un impegno aiuta anche a superare la durezza di una quotidianità che non c’è più e che va ridimensionata.

Più che mai, a questo giro la musica ci ha salvato la vita e soprattutto la testa. Ci siamo resi conto di avere una cosa importante fra le mani. È stato il modo giusto e naturale per reagire.

Come accade quasi sempre, nel tempo l’emergenza post-sisma è andata via via scemando dall’attenzione pubblica. Ad oggi, quanto è stato fatto a Finale Emilia e quanto ancora c’è da fare?

Ecco, adesso mi svesto dei panni del musicista e scendo un attimo a parlare di politica. Quando c’è stato il terremoto, gli amministratori, i politici, la protezione civile e tutte le persone coinvolte, compresi i cittadini, hanno cominciato a ragionare con la paura che si trattasse di una nuova L’Aquila. Sappiamo tutti che nel capoluogo abruzzese sono successe molte cose che hanno fatto sì che la ricostruzione avvenisse lontana dai centri abitati e dal cuore della città. Probabilmente, partendo da questo ragionamento, a Finale Emilia e dintorni le cose si mosse subito in maniera incredibile. Io abito nel centro storico di Finale, in piena zona rossa. La mia casa fortunatamente non ha avuto grandi danni e sono riuscito ad aggiustare tutto da solo. L’impegno e la trasparenza sono state talmente grandi da far sì che le cose si muovessero fin da subito nel migliore dei modi. A distanza di qualche anno non ancora funziona tutto alla perfezione, altrimenti sarebbe un miracolo. C’è gente che non ancora rientra nella propria casa, in attesa dei vari protocolli regionali per la ricostruzione e messa in sicurezza. Ad oggi il centro storico è aperto, ci sono i mercatini e i negozi sono operativi. Sembra quasi che non sia successo nulla. Poi guardi tre case l’una vicino all’altra e ti accorgi che la quarta non c’è più. Questa è la condizione di Finale Emilia oggi. Poi ci sono stati dei comuni vicini in cui la situazione non è così ottimale, probabilmente per un amministrazione non proprio impeccabile come quella di Finale che invece è stata incredibile, e lo dico con fierezza.

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