Intervista: Casa del Mirto

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Casa del Mirto

di Mavi Mazzolini

Attivi da dieci anni, i Casa del Mirto hanno pubblicato il loro primo album nel 2009, e sono arrivati alle attenzioni italiane (ed estere) nel 2011; se agli esordi erano più vicini alla house degli ultimi anni ’90, con l’ultimo album, uscito l’anno scorso, si sono stabilizzati su una virata introspettiva. Still, il nuovo album, è collegato alle produzioni appena precedenti solo tramite qualche citazione: “c’è una frase che viene fatta pronunciare dalla mia ragazza – dice Marco- che nel libretto non è neanche riportata. ‘the sound of waves inside of me’ è una diretta citazione da Faces che abbiamo messo in Waves. Altra frase che si trova in Waves è ‘Is the sea everything?’, che era B-side di Invisible. Parlano tutte del mare, in un certo senso…” E già il fatto che loro, uomini di montagna, riconoscano il mare come leitmotiv del loro album la dice lunga. “È che ci piacciono le cose lontane” – ironizzano. Ma lasciano trasparire una certa serietà. Invece, nelle parole che riservano al loro Trentino, c’è un’insofferenza fortissima, un odi et amo perpetuo. Eppure, del loro Trentino, hanno tanto – a partire della mitezza raggelata con cui parlano. Pensano e ponderano molto le risposte, come se avessero una chissà quale epifania personale e dovessero proteggerla subito, cercando il modo migliore per esprimerla. Più parlano e più mettono a fuoco, rielaborano, continuano a perfezionare – così nelle parole quanto nelle loro produzioni ascoltano e si ascoltano. “Pennac sosteneva che la verità sta nelle domande e non nelle risposte” – dice Luigi.

Quella che sentiamo noi, ora, non è la prima versione di Still.

Marco:”Still è una canzone particolare. Riguarda un episodio delicato (troppo, per parlarne – ma si ritrova tutto nel testo) che ho vissuto in prima persona attorno al 2006/2007. La prima versione è andata perduta per un problema tecnico, ma è stata quasi una fortuna: la canzone era più incentrata su un concetto di ritmo che sul concetto e sull’atmosfera che volevamo effettivamente passare. A parte Picture Love, che era ben inquadrata fin dall’inizio, le versioni successive dell’album sono modifiche e miglioramenti attuati seguendo le indicazioni e i consigli di persone fidate. Il nostro problema, che forse è anche un pregio, è che siamo troppo onesti. Tutto parte dalla nostra emotività, che appunto, è bello – ma non ci permette di esser lucidi. Sappiamo cosa dire ma non sappiamo come – anzi, non so come. Per questo, dopo un primo processo di scrittura che maturo io, in prima persona, passiamo a quello che è un vero processo di lavorazione: continuiamo a lavorare su un brano, sulla sua musica, sulle parole, su come starebbe meglio, su cosa starebbe meglio… ci lavoriamo incessantemente.”

La prima parola del disco è Fathers: una parola abbastanza potente, soprattutto vista l’accezione negativa che le viene data.

Luigi: “Assolutamente. L’idea che volevamo dare è quella di quando metti anima e corpo in qualcosa, però non ti viene riconosciuto alcuno sforzo. È un fathers un po’ sterile, un po’ padrone – gente che ti guarda da sopra, che vuole giudicare e mettere del suo quando invece tu hai solo bisogno di essere più libero. Una figura che non ti viene incontro, a cui continui a dare, a cui dai troppo ma verso cui ti senti sempre in debito… e qua entra in gioco l’insoddisfazione, quello che più ci tormenta. Ti faccio un esempio: per noi, Still è già vecchio. Lucidamente, sappiamo che non è vecchio, anzi – l’abbiamo suonato pochissimo live, è più che nuovo – ma il nostro processo creativo ci porta a proiettarci in avanti rispetto a quello che abbiamo appena concluso. È un modo di approcciare le cose: per l’emozionalità di cui parlavamo sopra, per mesi siamo dentro al disco, siamo immersi in quello che vogliamo trasmettere e investiamo tutto su quello. Una volta che il disco viene chiuso, forse anche per metabolizzare e rielaborare quello che abbiamo tirato fuori, abbiamo bisogno di staccare, andare oltre.”

Quindi siete soddisfatti?

Luigi: “Subito, su due piedi, no. Il grande classico vuole che appena chiudiamo il disco nuovo andiamo a risentire quello vecchio e a piangerci sopra, perché era meglio, perché era più bello. Siamo dei malinconici – Reflex racchiude bene questo sentimento, ed è la risposta a Where You Stand. A un certo punto i padri smetti di vederli. Sarà il cerchio delle montagne che ci fa sempre rimbalzare addosso il passato e ci schiaccia…”

Non date un’immagine rosea di quella che è “casa vostra”…

Marco: “Per niente. C’è una mentalità talmente ottusa… L’uomo, ad esempio, è visto come la scultura marmorea che non può avere emozioni. Se mostri solo un minimo di sensibilità – nei gusti, o anche solo nel voler fare musica, vieni subito etichettato e guardato male. Oltretutto è difficilissimo suonare: lì c’è ancora l’idea di band con strumenti classici, quindi l’elettronica è un oltraggio. Figurati due che fanno elettronica e si rendono anche vulnerabili….”
Luigi: “Ad esempio, io mi sento molto più a casa al Sud. Non so, anche il solo fatto della posizione del pubblico rispetto al palco: stando dalla nostra parte si nota tantissimo come, quando suoni da noi, stiano tutti ad un metro almeno dall’inizio del palco. Più andiamo a Sud più vediamo che questa distanza si accorcia… alla fine facciamo più date lontani da casa che date vicine. Però qua entra in gioco la nostra malinconia: ti allontani e ti manca. Sei finalmente uscito di casa e non vedi l’ora di tornarci…. è un rapporto strano, quello con la nostra terra. So che a molti sembra strano, perché quello che esce sono le eccellenze – il Mart, Arte Sella… però vivendola trovi tante contraddizioni, che alla lunga rischiano di soffocarti.”

Il contesto emotivo da cui sembra uscita la copertina del vostro disco.

Marco: “Il dipinto ci ha colpiti da subito, appena l’abbiamo visto su Tumblr, che è dove abbiamo scoperto l’autrice, Alyssa Monks. È un’immagine perfettamente sospesa, a metà fra qualcosa e qualcos’altro, fra il meglio e il peggio senza sapere quale dei due stia arrivando e quale sia già stato. Quella ragazza sta affogando? Sta riemergendo? È in uno stato di quiete o è turbata? Non si sa cosa stia succedendo esattamente. Questo sentimento rientra perfettamente in linea con Still, che è nato dopo un periodo travagliato per entrambi. Quel momento in cui qualcosa è successo e ti fermi un attimo per vedere cosa hai fatto fin’ora prima di andare avanti.”

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