Editoriale 272: Ricordati di finanziare

Date:

editoriale settembre

di Rossano Lo Mele

Che estate è stata quella che va a sigillarsi? Dal punto di vista informativo, s’intende. Oltre a Obama che interviene sull’Iraq e la questione palestinese, s’intende. Paginate di giornali piene di ricicli e ricordi di vacanze andate. TG regionali zeppi di feste organizzate nell’orto vicino al borgo dietro il lago accanto al bosco. E poi ci siamo tutti noi. Come sempre. Con le nostre gabbie dorate “sociali”. Condivisioni di: morsi di Suarez, piedi e smalto al mare in lontananza, iperboli di vacanze sempre cosi evidentemente esplosive. Calciomercato, Allegri, Conte e fronte No Tav (ecchio). Opinionisti del suicidio per Robin Williams (con imperdibili battutone sui Take That) e RIP per Lauren Bacall. Cos’altro? Ah, ma com’è bella la città vuota, ah quanto ho bisogno di staccare la spina, meno tre, due, uno. Strumento diabolico, lo ribadiamo, i social. Potentissimi nella chance di condivisione culturale. Drammaticamente loffi nel momento in cui diventano ombelicali.

Così, fra le mille notizie di cui non si è trovata traccia gratuita né lì né genericamente in rete, in estate è accaduta una piccola grande cosa che funge da specchio dei tempi e che perciò merita di essere raccontata. Il governo del Galles ha deciso di chiudere la cosiddetta WMF, ossia la Welsh Music Foundation. Si trattava di una fondazione che – attraverso un flusso economico garantito dalla politica nazionale – supportava la nuova musica locale. Il Galles, si sa, è un paese relativamente piccolo. E la musica negli ultimi decenni è stato uno degli asset principali del paese. Non è un caso che sull’argomento sia intervenuto (con un editoriale sulle pagine del “New Musical Express”), proprio Nicky Wire: gloria locale, in quanto bassista dei Manic Street Preachers (a proposito di nostalgia del Britpop, uno dei temi del numero di “Rumore” che avete tra le mani). Da sempre coscienza critica del comparto musicale (una volta gli Assalti Frontali avrebbero detto “a sinistra dell’estrema sinistra“), Nicky ha enucleato il problema. Grazie alla Welsh Music Foundation negli ultimi anni hanno esordito ottime band, come i giovanissimi Joanna Gruesome, supportati anche su queste pagine. Investimenti mirati, sostegno economico e pubblicitario, non flussi di denaro sperperati.

Il senso del discorso di Nicky è semplice semplice: l’unica industria nazionalizzata in Galles è quella bancaria. Niente auto o acciaio. Un paese in dismissione e caterve di persone che perdono lavoro. La musica gallese continua invece ad andare forte, anche nel 2014. Con i ritorni di Gruff Rhys (ex Super Furry Animals), Manics e il fantastico album di Cate Le Bon, solo per citarne tre. E il governo cosa fa, si chiede Wire? Chiude l’unica istituzione che a fronte di un investimento minimo portava in dote un valore culturale aggiunto enorme, dando (anche) lustro alla nazione.

La cultura costa. Non essere tutti uguali, al fine di non ripetersi tutti le stesse bufale su Schettino a La Sapienza, costa. Ma nessuno vuole pagare. Nessuno vuole pagare per un concerto. Per un disco. Per la musica. Per la cultura. Per l’informazione. Un paese senza cultura assomiglia in modo sinistro a quella cosa chiamata Italia. Devastata da un ventennio di disprezzo per la materia (fatevelo un bel giro in università a sentire come parla, scrive, analizza, si esprime e cosa sogna la nostra “futura classe dirigente”; o leggete l’ultimo libro di Enrico Deaglio, Indagine sul ventennio, Feltrinelli). Proprio questo mese parliamo su queste colonne di un riuscitissimo progetto (Rocky Wood), finanziato da soldi pubblici svizzeri. Ma lasciamo perdere i paesi evoluti del Nord Europa e concentriamoci su di noi. La soluzione ci sarebbe. Provò a sintetizzarla nel dopoguerra lo scrittore Henry Miller. Non esattamente un bacchettone, ma uno che ha passato la vita a surfare da un letto all’altro. Scrisse nel saggio “L’artista e il pubblico“: “Dare a ogni artista, buono o cattivo, meritevole o immeritevole. Ogni artista potenziale dovrebbe avere una possibilità. L’uomo che non è artista a tempo debito si stancherà di fingere d’esserlo (…) La prima cosa è dare. In seguito potrete chiedervi se ne valeva la pena o meno (…) Il vero artista vuole produrre, non arricchirsi. Non ci interessano i mediocri che si prostituiscono al gusto del pubblico: a loro provvederà generosamente il pubblico”. E ipotizzò, guarda caso, la nascita di una fondazione apposita. 70 anni dopo siamo punto e a capo. Si vive perlopiù di espedienti: “È difficilissimo costruirsi una vita esprimendosi nell’arte”, ha chiosato Wire. Ma una musica fatta di espedienti ha i giorni contati. Più o meno come il paese in cui viviamo.

Post Scriptum: come vedrete abbiamo deciso di cambiare alcune rubriche. Salutiamo il ritorno di due amici e grandi professionisti come Giorgio Gianotto (a zonzo per il web con “Netiquette”) e Carlo Bordone (che in “Spotificio” parlerà del rapporto tra musica e pubblicità). “Fotoromanzo” si chiamerà “Cinema Club” e racconterà la storia di una band/musicista, ritratta mentre sullo sfondo viene proiettato un film “consono” all’artista in questione. Più spazio ai fumetti. Ricordate infine un vecchio servizio chiamato “La corazzata Potëmkin”? Dove si massacravano gli intoccabili “rumorosi”? Da lì nasce “Disco Ring”. Ogni mese due delle nostre firme si sfidano (pro e contro) su un album classico. Buona lettura.

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