Live report: Testament + Tragodia + Lehmann @ Festival Radio Onda d’Urto, Brescia, 18/08/2014

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di Francesco Bommartini

Le vecchie cariatidi del metal sono impagabili. Pur avendo ormai 50 anni, i Testament non si risparmiano la classica calata europea, conclusa lunedì 18 agosto nel festival bresciano di Radio Onda d’Urto. Li attendevo al varco: per me sono uno dei cosiddetti “Big Four” del thrash metal. Questo nonostante non siano mai stati inseriti tra Slayer, Metallica (indiscutibili), Megadeth e Anthrax (già più sostituibili). La band condotta da Chuck Billy, sempre più grosso e padrone del palco, ha declinato il sottogenere metallico inserendo – nel corso degli anni – qualche influenza death. Specie, appunto, a livello vocale. Ma la forza del progetto, nato nel 1983 a San Francisco, rimangono i riff e le parti soliste di Alex Skolnick, che si affrancano dalla visione solo speed di tanti altri complessi. Non che il chitarrista biancocrinito manchi in velocità d’esecuzione, ma la sua propensione non si ferma a questo, cercando di rendere riconoscibili e memorizzabili le sue scorribande sui tasti piccoli della chitarra.

Ma partiamo dalle band di apertura: Tragodia e Lehmann. Entrambe hanno fornito una prova più che sufficiente. I Lehmann, con il loro metal intessuto con sfumature electro, hanno qualche somiglianza con certi Rammstein. Anche se il cantato è in inglese e il risultato non così marziale. Masottolinerei la bravura dei Tragodia: il loro è un metal con sfaccettature prog e voce che si barcamena – con dedizione – tra clean vocals e ringhiate più aggressive, anche se nemmeno paragonabili al growl di certi progetti death metal. Tante le aperture strumentali, suoni adeguati. Le capacità strumentali ci sono, altrettanto la qualità – innanzitutto estetica – degli album che battevano alla grande l’artwork capeggiante sulla maglietta ufficiale dei Testament. Venduta a soli 15 euro, positivo, ma davvero poco appetibile. All’esterno il merch non ufficiale costava 10 euro di più.

Se l’esibizione del quintetto, che oltre al già citato solista ed agli storici Billy e Peterson (un po’ in ombra) annovera due leggende del calibro di Gene Hoglan e Steve Di Giorgio, è stata all’altezza delle aspettative, altrettanto non si può dire della resa audio. La voce di Chuck Billy sormontava tutto. In qualsiasi punto del grande spazio concerti ci mettessimo la sua tonalità e le basse avevano la meglio. Il delay esagerato sulla sua voce è stata una scelta che non ha pagato. Lo stesso discorso vale per il volume solista di Skolnick: quantomeno fastidioso. Peccato. Ho avuto modo anche di assistere ad un battibecco tra fonici italiani e americani al termine dell’esibizione. Un membro della crew dei Testament ha preso a male parole un tecnico italiano reo di aver abbassato il master sull’ultimo brano. Posso confermare il “fattaccio”, ma la giustificazione c’è, e riguarda i limiti di orario imposti per il live. Durante lo stesso non sono mancati sbrodolamenti vari, specie in qualche ingresso di basso.

Seppur sotto l’occhio dei riflettori, l’ultimo album Dark Roots Of Earth ha goduto di tanti estratti (4) quanti sono stati quelli dedicati a The Gathering e The New Order. Due brani a testa sono stati suonati anche dall’esordio The Legacy e dal penultimo The Formation Of Damnation, destinando uno slot anche alla titletrack di Practice What You Preach. Into The Pit, Over The Wall, The Preacher, Disciples of The Watch sono grandi classici del thrash metal. Le corna alzate si sono sprecate, e le prime 7-8 file si sono impegnate in un furioso pogo. Durante Alone In The Dark Chuck Billy, imbracciando la mezz’asta con il suo microfono, ha spinto i presenti a dividersi in due fazioni che successivamente si sono scontrate nel cosiddetto “Wall of death”. Insomma: cliché rispettati. Compreso l’”Italia” ripetuto fino alla nausea dal frontman. Proprio quest’ultimo – forse a causa dell’audio sul palco? – ha mancato di precisione in un paio di parti cantate, palesemente fuori tempo.

Concludendo: i Testament ci sono. Nonostante tutto. Ma il “mestiere” ha ormai sostituito la freschezza degli esordi. Ovvio, probabilmente. Ma certe cose, un metallaro di lungo corso, le sente.

Redazione Rumore
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