Intervista: Lydia Lunch

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Lydia Lunch - Borderline, London 19/08/2013 | Photo by Eleonora Collini

di Antonella Frezza (Photo by Eleonora Collini)

Parlare con Lydia Lunch è piacere puro. Così tanto da dire, da raccontare, da consigliare. Spiegarla in poche righe non è semplice e soprattutto non sarebbe sufficiente.

Lei è una di quelle che si sono fatte da sole, arrivata in una vibrante New York degli anni ’70 appena ragazzina, ha abbracciato appieno il movimento no wave, lasciandosi travolgere e inghiottire e diventandone una dei massimi rappresentanti. Da allora il suo curriculum è diventato un listone infinito di progetti e collaborazioni tra i più vari, tanto che riassumerlo a parole è praticamente impossibile: musica, poesie, film, libri, sceneggiature e in futuro chissà cos’altro.

La sua prima band sono i Teenage Jesus and The Jerks a cui poi seguiranno Eight Eyed Spy, Beirut Slump, Big Sexy Noise e gli album come solista. Non solo la musica però per urlare al mondo pensieri ed emozioni, c’è infatti anche la Lydia Lunch famosa per i suoi discorsi e le sue letture di poesie rivolti ad un pubblico che cerca in lei conforto e condivisione, e perché no anche puro e semplice intrattenimento; perché lei è una che non si fa problemi a parlare apertamente ed onestamente di sesso, desiderio o dei problemi che attanagliano la società, ieri come oggi. E poi c’è la Lydia attrice e quella sceneggiatrice e quella scrittrice.

Alcune delle citazioni che la descrivono sono “poetessa punk regina dell’estremo”, “una luce negli angoli bui dell’esperienza umana”, “un’icona americana” nonché “una delle musiciste newyorkesi più influenti di tutti i tempi”. Figura di culto, donna, provocatrice, mente creativa alla costante ricerca di nuove forme di espressione in cui riversare il suo estro sfaccettato e multiforme.

Mi piacerebbe iniziare la nostra conversazione chiedendoti com’era essere una giovane donna nella New York degli anni ’70.

Per me era fantastico perché era sporca, pericolosa, piena di sesso, droga e crimine. La adoravo!

Wow, mi sarebbe piaciuto esserci!

Oggi purtroppo non è più così stimolante. È un disastro, una città come tante e costosissima tra l’altro. Sono stata fortunata ad arrivare qui nel suo periodo migliore. Nel 1990 me ne sono andata.

In una recente intervista Patti Smith parlava proprio del declino culturale e creativo di New York.

Ovvio, come fa un’artista a permettersi di vivere qui? Quelli che possono farlo sono quelli che hanno stipendi alti o che vengono da famiglie facoltose, non certo gli artisti. Leggevo un articolo che diceva che il 50% della popolazione di New York vive una terribile povertà. Ma in fondo non importa dove vivi: la gente pensa che qui sia il centro dell’universo, io credo invece che sia l’ano dell’universo! Ci sono tante altre città stimolanti in cui vivere e le persone creative sono ovunque, io stessa come artista ho bisogno di viaggiare ed essere ispirata da cose nuove e diverse, ho vissuto a New Orleans, Los Angeles, San Francisco, Pittsburgh, Londra, Barcellona… la gente ha questo mito di New York che onestamente non so da dove arrivi, non so come questa città si sia guadagnata una tale reputazione. È un po’ come tutte le cose in America, l’opinione della gente è l’opposto di come stanno le cose nella realtà.

Adesso dove vivi?

Ho passato l’ultimo anno e mezzo tra New York e il Kentucky dopo aver vissuto per otto anni a Barcellona. Non posso permettermi di fare l’artista e vivere in America, ho sempre dovuto lavorare e fare tour in Europa per guadagnare abbastanza da potermi sostentare. In questo momento però voglio stare qui per poter dire la mia sul periodo buio che sta vivendo questo paese ed il mondo in generale.

Il Boston Phoenix ti ha inserita nella lista dei dieci performers più influenti degli anni ’90. Che ne pensi?

Lo dicono loro, ma io tutta questa influenza non la vedo da nessuna parte! Mi piacerebbe però avere un impatto su altre donne, sono una persona che si dedica di continuo a cose nuove e vorrei essere un esempio per loro, le vorrei più appassionate e aggressive nei confronti della vita, altro che quella noiosa musica pop che fanno alcune!

Il tuo nome viene quasi sempre associato al movimento no wave. Ti fa piacere?

Assolutamente, è l’unico termine che trovo accettabile per descrivermi perché no wave significa essere l’opposto di ogni altra cosa. Se dici pop, jazz, country o punk sai esattamente di che generi si tratta, ma i gruppi no wave non suonano mai uguali gli uni agli altri. Mi considero no wave per l’anti tradizionalismo su cui si fonda il movimento e dada perché è una corrente che racchiude un forte senso dell’assurdo. Se guardi alla mia musica qualsiasi cosa io abbia fatto contraddice quello che ho fatto prima: dai Teenage Jesus and The Jerks al mio primo disco solista Queen of Siam ad esempio c’è una differenza immensa pur in un breve lasso di tempo. Questa per me è la definizione di artista no wave: contraddittorio, contro le tradizioni in generale e contro le tue stesse tradizioni.

Oltre che per la musica sei molto conosciuta anche per le tue letture di poesia e i tuoi discorsi. Non so perché ma immagino questo tipo di esibizione in un certo senso più intensa rispetto al classico concerto. È così?

Esatto e mi fa piacere che tu mi abbia fatto questa domanda. È un tipo di performance molto intima, potente, in cui metto a nudo i miei sentimenti nel modo più aperto e sincero possibile, vero. Mi considero innanzitutto una scrittrice e una giornalista, perché parlo di me stessa, del mondo in cui viviamo, della situazione attuale e la poesia recitata è un mezzo perfetto per esprimermi e tirare fuori quello che sento e penso.

Sei musicista, poetessa, scrittrice, attrice, fotografa. Da dove ti arriva l’ispirazione per tutte queste cose? E soprattutto trovi mai il tempo per dormire?

Dormo quattro o cinque ore per notte al massimo, non me ne servono di più. Tutto quello che faccio comunque arriva dalla realtà, dalla quotidianità, quindi ho bisogno di vivere la vita e fare esperienze per scrivere. Lo faccio appena mi arriva l’ispirazione, ma non ho un libro per gli appunti in cui conservo i miei pensieri e cerco di pubblicare immediatamente quello che faccio senza aspettare. Prima di mettermi a scrivere però dedico del tempo alla ricerca, ad informarmi sull’argomento che voglio trattare e sul messaggio che infine voglio comunicare. Altri artisti lavorano in maniera molto diversa, scrivendo e riscrivendo le cose; io una volta trovata l’idea scrivo incanalando i miei pensieri e il pezzo viene da sé, poi lascio tutto così senza correggere o aggiustare troppo.

Quando scrivi o ti esibisci lo fai semplicemente per te stessa, per necessità di buttare fuori quello che senti, o pensi anche alla possibile reazione del pubblico?

Le mie migliori esibizioni sono quelle che faccio da sola nel mio salotto quindi se avessi voluto farlo solo per me stessa sarei rimasta lì! In realtà mi sento in dovere di dare una voce a chi affronta i miei stessi problemi ma non ha la possibilità di parlarne pubblicamente come ce l’ho io.

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere a chi ti ascolta?

Beh il mondo è pieno di orrori e cose negative, le conosciamo tutti, per questo voglio cercare di dare un po’ di sollievo alle persone, specialmente a quelle vittime del bullismo, della religione, della politica e della società. Mi auguro sempre che dopo uno dei miei discorsi o dei miei concerti la gente possa sentirsi un po’ meglio.

C’è qualcosa che hai fatto nella tua carriera di cui ti sei pentita?

Abso-fucking-lutely not! No perché tutto quello che ho fatto l’ho fatto spinta dal mio istinto, di cui mi fido, l’ho fatto con onestà e passione e l’ho fatto allo scopo di dare una voce a chi non ce l’ha. Non ho tempo per pentirmi di niente, sono troppo occupata a vivere la mia vita.

Ogni volta che leggo qualcosa su di te in qualche modo salta sempre fuori la parola “piacere”. Quindi ti chiedo: cos’è per te il “piacere”?

Mentre parlo con te sto bevendo del whiskey quindi già questo è piacere! Tu sei italiana e io sono per metà siciliana, noi sappiamo cos’è il vero piacere. Quando vivevo a Barcellona una delle cose che amavo di più era la qualità della vita, anche lì le persone sanno come divertirsi e circondarsi di bellezza. In America invece il piacere è considerato un taboo, per questo la gente è così grassa, mangiano di tutto perché non sanno come divertirsi davvero e godersi la vita.

A che progetti stai lavorando adesso?

Ho appena finito di scrivere una sceneggiatura che spero possa essere usata per uno show televisivo, dopo Dexter, Breaking Bad, True Detective e Sons of Anarchy penso sia proprio ora di vedere qualcosa che sia raccontato dalla prospettiva di una donna! Sto anche lavorando con alcuni architetti per costruire un’istallazione che rappresenti New York nel 1977 durante il blackout, te lo immagini quanto sarebbe bello? Poi sto facendo un album per funerali, visto che sono sempre così cupi e noiosi voglio scrivere delle splendide canzoni ben lontane da quelle tristi e malinconiche che di solito di suonano in queste occasioni.

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