Intervista a Lee Ranaldo: “Se non avessi suonato nei Sonic Youth non lo avrei fatto con nessuna band”

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di Nicholas David Altea

Lee Ranaldo e l’infinita ricerca sulla circolarità del suono, la sua passione per la beat generation, il reading e per le installazioni video e audio condivisa con la moglie… (Le Guide Pratiche di RumoreSonic Youth, a cura di Andrea Prevignano, 2011)

Vedere i Sonic Youth insieme, per ora – e forse per sempre –, sarà pressoché impossibile, vista la separazione tra Thurston Moore e Kim Gordon. Dalla frammentazione della band, oltre ai relativi progetti, quello di Kim, il duo Body/Head e quello di Thurston, i Chelsea Light Moving, ce n’è un terzo di progetto, quello di Lee Ranaldo, che sta acquisendo sempre più la forma di una vera e propria band insieme ai Dust, dove spicca anche il batterista dei sonici, Steve Shelley. Lee Mark Ranaldo in effetti è un personaggio vasto, da esplorare e da guardare da più angolazioni: artigiano avanguardista del suono, amante del cinema, cultore del disegno. Un insieme di più filamenti artistici che hanno reso Lee uno dei chitarristi più influenti al mondo, e i Sonic Youth, una di quelle band fondamentali, trasversali e in perenne progresso.

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Nel tuo ultimo album Last Night on Earth parli appunto dell’Italia, Lecce, Leaving racconta di una vacanza qui da noi. Che rapporto c’è tra te e la nostra penisola?

Lee Ranaldo: “In questa particolare canzone ho voluto omaggiare un certo periodo che ho trascorso in Puglia e una delle spiegazioni, mentre ci stavo lavorando con la band, era che la mia famiglia è di origini italiane e in Italia ci sono venuto molte volte. Ho scelto questa canzone appunto per una sensazione familiare: parte delle mie radici sono lì e quando ci ritorno ho le stesse sensazioni di allora.”

Rispetto a Between The Times and Tides, questo disco, Last Night on Earth, ha un suono più solare, meno cupo e si sente molto di più l’impronta della band attorno a te. Qual è stato il processo di scrittura di questo lavoro?

Lee Ranaldo: “Il processo di scrittura per il disco è stato molto simile al primo e la maggior parte delle canzoni le ho scritte io con la mia chitarra acustica; il processo di costruzione e registrazione del disco, invece, è stato molto differente: quando ho fatto Between The Times And Tides avevo appena le canzoni e nessuna aspettativa. C’era l’intenzione di fare un disco acustico ma poi ho semplicemente iniziato a invitare alcune persone a suonarlo con me ed è divenuto un disco che suona come quello di una band vera e propria. Consapevoli di questo, insieme a Steve Shelley (batterista dei Sonic Youth) e Alan Licht, volevamo fare uscire il secondo album entro l’anno successivo così da poter suonare fin dall’inizio le canzoni. Ci abbiamo lavorato e abbiamo arrangiato assieme i brani per il gruppo: è stata una sensazione molto diversa rispetto al primo lavoro. Mi è piaciuto molto fare Last Night On Earth e questa è stata la grande forza del disco.”

Sia coi Sonic Youth che da solo, hai sempre avuto un forte interesse nell’unire più discipline artistiche. Quanto le altre discipline influenzano la tua composizione musicale?

“Non sono sicuro di questo, la mia vita è costantemente coinvolta nello scrivere, fare musica, disegnare e facendo molte cose sono in contatto con moltissime persone, giovani o meno giovani. Così prendo la mia ispirazione da qualsiasi cosa trovi intorno: eventi quotidiani e cose che ho visto, che quando lavori duramente tendi a dimenticare. Cerco sempre di tirar fuori quello che ho dentro.”

Ad esempio: Richard Kern, Dave Markey, Spike Jonze e Harmonie Korine sono stati alcuni dei video maker piuttosto alternativi che hanno lavorato con voi. Quanto era importante questa cura anche nei video clip?

“Sono stati molto importanti e non lo sono stati per nulla allo stesso tempo. Lo erano per le persone ossessionate che avevano interessi cinematografici o che lavoravano nei media visivi. Realizzarne tanti li ha fatti diventare un prodotto commerciale per le band nel mondo di MTV e quello che è venuto dopo. Non sarebbe male, quando si fa un video, trasformare la canzone in un in un clip simpatico. Adesso, specie nel mondo del pop, sono realizzati come dei film, con tempi di produzione velocissimi. Sono interessanti ma sono presi troppo seriamente”.

Anche tu sei stato regista di un video dei Sonic Youth?

“Sì, ho anche lavorato nel cinema per molto tempo, faccio qualche film quando ho tempo.”

Se tu non avessi suonato nei Sonic Youth, di quale band avresti voluto far parte?

“Non lo so! Penso che se non avessi suonato nei Sonic Youth non lo avrei fatto con nessuna band”.

Alcune tue dichiarazioni in merito al futuro dei Sonic Youth non fanno ben sperare come era immaginabile. Tu e Steve Shelley (batterista) non vi sentite un po’ come due bambini che vedono davanti ai loro occhi i genitori separarsi e non possono fare nulla?

“No, nulla di tutto questo, né per me, né per Steve. Siamo quattro persone cresciute che possono avere dei problemi, ma ora son contento per tutto quello che ognuno di noi sta facendo”.

E con tua moglie, Leah Singer, continui a fare delle date?

“Sì, le stiamo facendo, abbiamo due date in Cina e l’inizio del tour in Islanda a Reykjavík. Riusciamo ancora ad esibirci insieme.”

Le tue opere, Lost Highway Drawings, mi hanno immediatamente portato a pensare al film Lost Highway di David Lynch. C’è qualche collegamento anche col cinema in questi disegni?

“Mi piace molto quel film ma in realtà quando ho dato il titolo a questa serie di disegni, ho pensato alla canzone di Hank Williams (Lost Highway), e le strade sono una metafora che intrattengono il musicista, il viaggiare su percorsi diversi, andare in nuovi luoghi e conoscere gente”.

Lee ranaldo - Photos by Jake Giles Netter

(Photography © Jake Giles Netter all rights reserved)

In Italia è uscito un libro dove si ripercorre il ricordo degli anni ’90 (ma anche ’80) in maniera viscerale, legando ricordi e band, si intitola Non Ti divertire Troppo. Che ne pensi di questo ritorno dei ‘90?

“Non so, penso che per i più giovani che guardano indietro di circa 20 anni, non sia facile capire cosa sia accaduto. Ciclicamente le persone vogliono capire cosa è successo vent’anni prima di loro. È stato un periodo interessante quello: c’erano i Nirvana, il movimento grunge, le band di Seattle e i Mudhoney. Sono stati anni in cui la musica indie e underground, agli occhi del pubblico stava, diventando più popolare. La gente ripensa onestamente a quello come un buon periodo. Una volta si riguardava indietro al punk, alla new wave e poi ai sintetizzatori, adesso ai primi anni ’90. C’è un libro che si chiama Our Band Could Be Your Life: Scenes from the American Indie Underground, 1981-1991 (di Michael Azerrad) e che guarda alle carriere di una manciata di band indie americane come Butthole Surfers, Dinosaur Jr, Mission of Burma e altri”.

Nel film 1991: The Year Punk Broke sono ben rappresentati quegli anni. Buona parte del lungometraggio è dedicato al tour vostro e dei Nirvana. Qual è il primo ricordo che hai di quei mesi?

“Avevamo suonato coi Nirvana prima del tour, quando erano una piccola band di Seattle ancora agli inizi e poco dopo abbiamo fatto il tour assieme. Nessuno si aspettava quello che sarebbero diventati. Eravamo già amici da tempo e abbiamo passato dei bei momenti mentre giravano quel film.”

Che ricordo ti è rimasto di Kurt Cobain?
“Ho molti ricordi di lui, era sempre pronto a scambiare qualche battuta. Voi lo conoscete come una persona molto privata, non la persona più facile da capire ma allo stesso tempo era un chitarrista di una band con cui si poteva fare sempre qualche parola.”

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