Live Report: I Cani + Testaintasca @ Magazzini Generali, Milano, 12/12/2013

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di Mavi Mazzolini

Se ascolto una cosa è perché mi piace. Principio banale, forse, ma non basarsi più su quella Critica del Giudizio (il parere o l’opinione generali su un determinato artista, e su chi l’apprezza) è molto più liberatorio. Forse scorrendo la lista degli artisti sul mio iPod ci saranno un po’ più di nasi storti, ma alla fine la musica è una cosa talmente spontanea e viscerale, che trattenere i propri gusti per tenersi un’aura adeguata intorno, non ha neanche senso. Non dico che sia facile, ma giudicare un gruppo, un album o una sola canzone per quella che è, e non per le voci che gli girano intorno, è sicuramente molto più sincero. E quindi bello. Mi piace chi racconta storie. Mi piace chi lo fa con una certa originalità. Mi piacciono le canzoni che, per capirle, devi cercare su google tutti i riferimenti. E I Cani hanno tutte queste cose.

I Cani sono letteralmente esplosi nel 2011: le loro prime canzoni rimbalzavano da un profilo all’altro, il loro primo live era al Mi Ami, e a tutti piaceva quell’autoironia con cui Niccolò, anima del gruppo, saliva sul palco con un sacchetto in testa per parlare di chi gli stava intorno.Ne aveva una per tutti, ma proprio per tutti: non dico solo gli hipster (che parlarne nel 2011 era molto più sensato di quanto non se ne faccia ora, fenomeno quantomai sfumato) ma anche delle coppie e dei loro eterni tira e molla, o dei pariolini di diciott’anni, o delle cene con le ragazze a Santo Stefano. Il Sorprendente Album d’Esordio dei Cani raccontava storie, come se fosse seduto al bar e si fosse messo a descrivere quello che succedeva intorno, in modo brillante ma semplice, lucido ma cinico, e nello stesso modo con cui ne parlerei io, tu, la mia compagna di banco del liceo o chiunque. Insomma, Il Sorprendente Album d’Esordio dei Cani era davvero sorprendente. E io ero rimasta qui. Mi piace chi racconta storie, e mi piace chi lo fa con una certa originalità, dicevo.

Glamour è apparso per intero su Youtube, un po’ all’improvviso, un giorno qualunque di fine Ottobre. Io ero in metro, stavo tornando dall’università e non potevo ascoltarlo. Era la prima cosa che avrei fatto appena arrivata a casa, ma in quei venti minuti mi sono intrattenuta, volente o nolente, con i primi status e commenti a freddo: i social erano un tripudio de I Cani, che sono bravi, che fanno schifo, che che sfigati. A me, sinceramente, il disco è piaciuto. Tanto. Anche più del primo. Glamour è un po’ Niccolò che chiude le ante della finestra da cui aveva osservato tutti nel disco prima e rimane al buio. E quando sei al buio non puoi che concentrarti su di te, il te sotto la pellicola. Quello di cui si parla è un Niccolò impiegato, che va a lavoro, che appoggia la mano al muro mentre si sente male, che vorrebbe ammazzare i pensieri pratici, di quelli che ti ammorbano e ti tengono svegli la notte, con dischi e videogiochi e cose così.

E insomma, potete capire che ai Magazzini ci sono arrivata carica. Carica e in ritardo, fra l’altro, quindi mi sono persa una buona parte dei Testaintasca arrivo giusto per sentire la fine del loro set, troppo poco per esprimere un giudizio, ma approfondirò. Quello che ho notato, purtroppo, è stato il pubblico: freddo, impassibile, poco aperto alla band d’apertura. Boh. Fatto sta che per I Cani, invece, erano molto più entusiasti: la scaletta, di per sé, ha aiutato. Come prevedibile, la precedenza è stata data al nuovo cd, di cui han fatto praticamente tutte le canzoni, più ripescaggi-classiconi del vecchio come Hipsteria, Le coppie e Velleità ma anche, addirittura, Asperger.

E devo dire che sì, ero partita carica, ma il concerto è andato oltre le mie aspettative: non lo dico solo per una solidità musicale sotto che, attenzione, prevedeva un basso. Un basso di quelli veri, di quell che suonano e strimpellano e corde e non, oh-mio-dio, non quello di Garage band! Quindi hip hip hurrà anche per la batteria, e non di meno per synth e tastiere varie, spina dorsale del gruppo che non hanno deluso. La loro bravura si fa più che mai forte alla fine delle canzoni quando vanno quasi a sfociare in capricci noise, anche nelle più inaspettate, tipo i Pariolini di Diciott’anni. Cornice una voce totalmente all’altezza del registrato, I Cani sono musicalmente impeccabili, e non c’è proprio niente da dire. Il meglio di loro l’hanno dato tanto su Storia di un impiegato quanto su Corso Trieste, dove non hanno fatto minimamente sentire il buco lasciato dall’assenza dei Gazebo Penguins, che presenziano nel disco. Surplus, le visuals: alle spalle del gruppo sono proiettate varie immagini, diverse ad ogni canzone, animate direttamente dal rullante della batteria (almeno, questo è quello che sono arrivata a supporre io). Per dire, durante Post Punk delle linee bianche a sfondo nero andavano a creare -e qua arriva il tocco di classe- la copertina di Unknown Pleasures. O durante Sfortuna la copertina dell’EP dei Fine Before You Came a contrasto. E insomma, io non so davvero in quanti abbiamo capito il collegamento post punk-testo di post punk-Joy Division, o in quanti sappiano che Sfortuna campiona un’omonima canzone del gruppo di quel Jacopo che manda magliette e abbracci; però io lo so, e ho apprezzato molto.

A fine concerto ripenso a cosa, precisamente, dei Cani piaccia a tutti. Un po’ come nell’arte contemporanea, ascoltare testi così sinceri è tutto un “l’avrei potuto scrivere anche io”. Sì, però non l’hai fatto. Spontaneità. Ecco cos’è la parola che cercavo. Il mio coinquilino dice che I Cani hanno fatto successo perché parlano di luoghi comuni, ma non penso sia quello: non è la sottile linea fra il prendere in giro e l’immedesimazione su cui Niccolò cammina che ha reso forti i cani prima, ma il dare alle persone qualcosa in cui riconoscersi. I Cani raccontano delle storie, che saranno sì le storie di un impiegato o di un artista, ma infondo chiunque ha avuto un periodo con poco appetito e sonno cattivo, e anche io, e anche il mio coinquilino, siamo a Milano per sentirci tutto tranne normali.
Ed è questo quello che conta, no? Leggere libri, andare ai musei, ascoltare canzoni… È questo che ci fa ritornare. Riuscire a trovare, sotto tutta quella forma, qualcosa che parli per noi. Qualcosa che parli di noi.

Redazione Rumore
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