Live Report: Mark Lanegan @ Union Chapel, Londra, 08/11/2013

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lanegan union chapel

di Stefania Ianne

Dopo un eccellente album solistico (Blues Funeral) lo scorso anno, e un 2013 che ha visto ben 2 pubblicazioni da parte di Lanegan – l’ottimo Black Pudding composto insieme all’enigmatico Duke Garwood, e un album di cover la cui scelta ha lasciato molti perplessi – cosa aspettarsi da questo tour europeo autunnale? La scelta della sala per la tappa di Londra è rivelatrice. Una cappella molto suggestiva ma dalla capienza molto limitata si dimostra il posto adatto per il set acustico presentato da Mark Lanegan e il suo quartetto. Archi sul palco a destra, violoncello e violino. Nessuna percussione. Il basso e la chitarra di Jeff Fielder alla sinistra di Lanegan, Duke Garwood ospite eccezionale alla chitarra e vari strumenti a fiato alle spalle. Lo spazio è meraviglioso, l’acustica perfetta.

Il pubblico educato a dismisura. Pochi riflettori rossi a stento illuminano il profilo intenso di Lanegan, quasi immobile al microfono, occhiali da vista con montatura nera: l’unico accessorio inaspettato. Il pulpito ornato alle spalle dei musicisti, l’atmosfera austera della performance, il silenzio rispettoso del pubblico, sono tutti anni luce lontani dalle tempestose performance con gli Screeming Trees. Ma in fondo l’immobilità di Lanegan al microfono non è cambiata. Gli anni sono passati, i musicisti sono cambiati, ma Lanegan appare indistruttibile e di una creatività ed ecletticismo imprevedibili per un cantante che aveva iniziato la sua carriera come il frontman di una delle band secondarie del grunge di Seattle. Stasera l’inizio appare stentoreo. Sarà l’inaspettato set-up acustico, classicheggiante. Sarà la voce ancora fredda, più cupa e ruvida del solito. When your Number Isn’t Up non sembra convincere, manca qualcosa. La scelta di una cover di un canto tradizionale come secondo numero, The Cherry Tree Carol, spiazza il pubblico ancora più a fondo. Ma i musicisti sul palco ci stanno lavorando ai fianchi e già la versione acustica di Gravedigger’s Song fa dimenticare l’esistenza della versione su disco. Per tutta la durata del concerto i musicisti sul palco da veri camaleonti passano da un ritmo e uno stile all’altro, senza soluzione di continuità. Intenso il passaggio del concerto che rivisita le canzoni di Black Pudding, con Duke Garwood in grande evidenza. Non per nulla mi sembra uno degli artisti più rispettati e richiesti in sala d’incisione al momento a Londra. Impensabile la trasformazione dei due musicisti classici in una band di mariachi per la versione acustica di Mescalito. Lanegan ancora immobile si trasforma agevolmente in un tipico crooner americano perfettamente a suo agio nei panni di Frank Sinatra o Andy Williams. Ma le sorprese non sono finite con le prime note di Satellite of Love in una versione omaggio alla recente scomparsa di Lou Reed da brivido.

Il finale con la sola chitarra impazzita di Fielder è un ritorno al passato con la minimalista Bombed e il saluto finale con l’epica Halo of Ashes, omaggio alla non dimenticata carriera con gli Screaming Trees. Impensabile che il concerto sia già terminato. Il pubblico inglese educatamente si mette in fila per aspettare Lanegan e sperare in una firma sul proprio disco, preferibilmente vinile. Tra i banchi della chiesa m’imbatto in Jehnny Beth, la minuscola cantante delle Savages, intenta in una conversazione fitta con Duke, “my brother, Duke Garwood”, come è stato presentato sul palco da Lanegan. Bello vedere dei musicisti seguire e apprezzare i propri colleghi semplicemente tra il pubblico.

Qua sotto, il video di I’m Not the Loving Kind.

Redazione Rumore
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